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L’EREDITÀ DEI PARTITI DEFUNTI

LA DENUNCIA IN AULA DI UN’INCREDIBILE RENDITA ISTITUITA IN PASSATO (E MAI REVOCATA) DAL SENATO A FAVORE DI ALCUNE DECINE DI PERSONE GIÀ DIPENDENTI DA GRUPPI PARLAMENTARI ORA ESTINTI E NON ASSORBITE DAI GRUPPI ATTIVI

Intervento svolto in Senato nella sessione antimeridiana del 22 giugno 2011 – Segue l’intervento, sullo stesso argomento, del senatore Giuseppe Astore, appartenente al Gruppo misto

ICHINO [1] (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, Colleghi, poiché il Senato tra poche settimane discuterà il proprio bilancio, sento il dovere – anche a nome del mio Gruppo – di sollecitare il dibattito in Aula su di una questione sulla quale nelle settimane scorse ho già avuto occasione di attirare in via informale l’attenzione della Presidenza.
            Si tratta della questione dei dipendenti in soprannumero non effettivamente utilizzati dai Gruppi parlamentari. Con una delibera del Consiglio di Presidenza del 1993, aggiornata negli anni successivi con alcune altre delibere di contenuto analogo, è stato istituito un meccanismo volto a consentire ai dipendenti dei Gruppi parlamentari che risultavano non più costituiti, all’inizio di una nuova legislatura, di non essere licenziati, bensì essere – per così dire – assorbiti da altri Gruppi interessati a impiegarli utilmente, anche in soprannumero rispetto all’organico normale determinato in base al numero dei senatori. A tal fine la Presidenza del Senato allora dispose l’assegnazione a ciascun Gruppo di un contributo speciale, commisurato al numero dei dipendenti assorbiti. La stessa delibera disponeva altresì che il personale dei Gruppi disciolti che non fosse stato assorbito da alcun altro Gruppo, confluisse nel Gruppo Misto.
            Il risultato attuale del meccanismo descritto – di questo probabilmente la maggior parte dei colleghi senatori non è a conoscenza ‑ è che il Gruppo Misto si trova oggi ad avere formalmente alle proprie dipendenze un numero molto elevato di ex-dipendenti di altri Gruppi non più esistenti: un numero comunque fortemente sproporzionato rispetto alle dimensioni, alle esigenze operative e alle disponibilità logistiche dello stesso Gruppo Misto. Le sproporzioni, del resto, non riguardano soltanto questo Gruppo. A quanto mi risulta, la situazione è la seguente:
   – il Gruppo del Popolo della Libertà dovrebbe, in base al numero dei propri senatori (131), secondo la regola generale, disporre di 21 dipendenti; ne ha invece 30;
   – il Gruppo del Partito democratico, composto da 106 senatori, dovrebbe disporre di 18 dipendenti; ne ha invece 24;
   – il Gruppo della Lega Nord, composto da 26 senatori, dovrebbe disporre di  9 dipendenti; ne ha invece 10;
   – il Gruppo dell’Unione di Centro, SVP e Autonomie, composto da 15 senatori, dovrebbe disporre di 7 dipendenti; ne ha invece 12;
   – il Gruppo dell’Italia dei Valori, composto da 12 senatori, dovrebbe disporre di 6 dipendenti; ne ha invece 12;
   – il Gruppo misto, infine, composto da 21 senatori, dovrebbe disporre di 8 dipendenti; ne ha invece 21.
          L’intera situazione merita una attenta riconsiderazione, non soltanto al fine di eliminare le sproporzioni evidenziate dai dati ora riportati, ma anche e soprattutto per verificare se e come il personale in soprannumero sia effettivamente utilizzato da ciascun Gruppo. Per quel che concerne, in particolare, il Gruppo Misto, risulta che ci siano diversi casi di persone che, pur ricevendo regolarmente da anni lo stipendio, tuttavia non mettono piede in ufficio. Più precisamente, risulta che siano a libro-paga di questo Gruppo i seguenti ex-dipendenti di Gruppi non più esistenti:
   7 del Gruppo del Partito Socialista Italiano;
   4 del Gruppo di Rifondazione comunista;
   3 del Gruppo dei Verdi;
   2 del Gruppo della Democrazia Cristiana;
   2 del Gruppo del Movimento Sociale Italiano;
   1 del Gruppo del Partito Liberale Italiano;
   1 originariamente dipendente del Gruppo del Partito dei Democratici di Sinistra, poi transitato anche per il Gruppo della Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo;
   1 originariamente dipendente del Gruppo della Lega Nord, poi transitato anche per il Gruppo di Democrazia Europea.
            13 delle 21 persone qui menzionate si trovano formalmente nella situazione di “dipendenti in soprannumero” del Gruppo Misto. Ma è certo che le persone “in soprannumero sostanziale” sono di più. Mi consta che tre di queste persone siano impegnate utilmente nella segreteria di altrettanti senatori. Delle altre, invece, non è dato sapere se, come e quanto esse siano oggi effettivamente utilizzate, e lo siano state nel corso dei diciotto anni trascorsi dalla prima delibera del 1993. La questione si pone anche perché non esiste presso il Gruppo Misto un posto fisico di lavoro ad esse riservato.
            Non mi è dato sapere se e quanto anche presso altri Gruppi si verifichino situazioni analoghe a quella ora descritta, di persone mantenute formalmente in servizio con il contributo del Senato, ma di fatto non utilizzate. Quello che è certo è che presso il Gruppo Misto questa situazione si manifesta con dimensioni maggiori, a causa della disposizione già citata, contenuta nella delibera del 1993 e nelle successive.
            Mi risulta inoltre – ma non sono stato in grado di verificarlo – che qualche cosa di analogo accada anche alla Camera dei Deputati.
            Considerato il vincolo generale di drastica riduzione della spesa pubblica posto con l’ultimo Documento di Economia e Finanza, approvato meno di due mesi fa, mi sembra evidente la necessità e anzi urgenza che l’intera materia di questi contributi forfetari del Senato sia riesaminata attentamente, anche in considerazione dei provvedimenti di più ampia portata annunciati ieri dal Presidente del Consiglio, che dovranno recare una significativa riduzione del numero dei parlamentari e conseguentemente delle dimensioni dei Gruppi. Se, come organo costituzionale dello Stato, il Senato vuole meritarsi l’esenzione dal controllo della Corte dei Conti,  esso deve mostrare di avere la capacità – e, dove occorre, il coraggio – di far luce fino in fondo su queste pieghe del suo bilancio e di eliminare con rigore ogni spreco e ogni posizione di rendita, per quanto risalente nel tempo (alle rendite del genere qui descritto non si applica l’istituto dell’usucapione). Senza questa capacità e questo coraggio, non avremmo neppure l’autorevolezza necessaria per guidare il Paese nel difficile e duro cammino che lo attende nei prossimi mesi e anni per l’abbattimento del debito pubblico.
            Se mi è consentito esprimere un parere sui provvedimenti che andrebbero adottati, mi sembra che la prima cosa da fare sia prevedere, già in sede di redazione del bilancio del Senato per il 2012, quanto meno la cessazione dell’erogazione del contributo speciale almeno per tutti i casi dei quali si accerti l’inesistenza della prestazione, con corrispondente riduzione del fabbisogno del Senato a carico del bilancio dello Stato. Conseguentemente, il Gruppo Misto – al pari di ogni altro Gruppo che si trovi in situazione analoga per uno o più dipendenti in soprannumero sostanzialmente inutilizzati –, adotterà tutte le misure necessarie al fine di addivenire al più presto, e comunque entro la fine di quest’anno, a un ritrasferimento delle persone in questione ai partiti di rispettiva originaria appartenenza, oppure al recesso nelle forme consentite dall’ordinamento.

            Differenza tra il contributo forfetario del Senato e il costo effettivo dei rapporti di lavoro. Oltre agli stipendi che corrono senza che venga svolta alcuna prestazione lavorativa, la prassi instaurata con la delibera del 1993 ha generato un’altra anomalia, che cerco di illustrare il più sinteticamente possibile. Anche questa va affrontata con urgenza, in questo momento in cui giustamente si richiede non soltanto il contenimento, ma una riduzione drastica dei “costi della politica”.
            A copertura dei costi inerenti ai suddetti rapporti di lavoro in soprannumero, la Presidenza del Senato eroga attualmente a tutti i gruppi somme forfetarie che vanno da un minimo di 92.847,64 euro annui a un massimo di 154.122,93. Poiché il costo effettivo dei singoli rapporti di lavoro è per lo più inferiore a questo contributo forfetario, e in alcuni casi anche notevolmente inferiore, ne risulta un vantaggio economico per i Gruppi stessi distribuito in maniera casuale e comunque non trasparente. Sappiamo bene che i Gruppi parlamentari e le organizzazioni politiche che essi rappresentano svolgono anche una funzione pubblica di rilievo costituzionale, che comporta dei costi; ma questi costi possono e devono essere ridotti; e comunque, per la parte che resta, devono essere coperti in modo trasparente e non in modo surrettizio. Lo dico a nome del mio Gruppo, ma la questione riguarda, in maggiore o minore misura, tutti i Gruppi. E devo dire che, avendone parlato con colleghi di tutte le parti politiche, ho constatato un consenso unanime circa la necessità di porre fine a questa prassi che si trascina da molte legislature.
            Nel caso del Gruppo Misto, la somma annua complessiva erogata dal Senato ammonta a 2.547.528,79 euro, che corrisponde a una media di 121.310 euro annui per ciascuno dei 21 rapporti di lavoro che al gruppo stesso fanno capo. Il che significa che il Senato spende mediamente più di 10.000 euro al mese per ciascuno dei dipendenti interessati. Ma il Gruppo non spende la stessa somma per ciascuno dei dipendenti: in alcuni casi la differenza è soltanto di poche migliaia di euro, ma in molti altri arriva a diverse decine di migliaia di euro. Si tratta dunque di un ingente flusso di denaro privo di qualsiasi giustificazione apprezzabile.
            In minor misura, perché minore – in proporzione – è il numero dei dipendenti assegnati in soprannumero sulla base della delibera del 1993 o delle successive, questa stessa differenza tra contributo forfetario del Senato e costo effettivo del rapporto di lavoro si è verificata anche a favore degli altri Gruppi.
            Ci sembra doveroso e urgente, innanzitutto, che sulle situazioni indicate si faccia al più presto piena trasparenza: questo mio intervento precede di qualche settimana la sessione di bilancio del Senato proprio al fine di consentire che in quella sede vengano forniti dal Collegio dei Questori tutti i dati in proposito.
            Per concludere, rivolgo alla Presidenza e all’ufficio dei Questori una proposta circa il metodo con cui affrontare questa spinosa questione. Proprio in quest’Aula, due anni e mezzo or sono, abbiamo deciso all’unanimità di inserire nella legge per la riforma delle amministrazioni pubbliche quello stesso principio di trasparenza totale, della full disclosure, che da molti anni è sancito dai Freedom of Information Acts negli ordinamenti svedese, statunitense e britannico. Trasparenza totale significa piena e immediata accessibilità – anche in rete – di tutte le informazioni concernenti qualsiasi aspetto di una amministrazione pubblica, di tutti i dati, di tutti i documenti. È il principio di democrazia contrapposto al principio di protezione degli arcana imperii, proprio dei regimi autoritari.  Se nel dicembre 2008 abbiamo ritenuto giusto imporre questo principio a tutte le amministrazioni pubbliche, noi per primi dobbiamo applicarlo alla nostra amministrazione; e tanto più dobbiamo farlo ora, in funzione della non facile opera di pulizia che ci si impone, rispetto a queste prassi che ho descritto, consolidatesi negli anni. Lo stimolo del civic audit, di un’opinione pubblica pienamente informata e attenta a ogni nostro passo, può costituire la risorsa decisiva cui attingere per compiere con l’energia e il rigore nececessari questa opera impegnativa di pulizia sostanziale.

[…]

ASTORE [2] (Misto-ParDem). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASTORE (Misto-ParDem). Signora Presidente, con riferimento a quanto detto dal senatore Ichino, chiedo che questo argomento venga portato in Aula e con molta trasparenza si dia il giusto tempo per poter argomentare, e che quindi il testo consegnato venga conosciuto da tutti. Concordo pienamente con il collega, perché credo che il Parlamento debba essere una casa di vetro e che non dobbiamo trincerarci tutti dietro ad ipocrisie verbali, come invece sta emergendo.
Raccordandomi a quanto già annunciato qualche settimana fa, signora Presidente, e cioè che i senatori hanno ricevuto, giustamente, dalla direzione provinciale del lavoro di Roma un invito a presentare la regolarizzazione dei propri collaboratori, io credo sia necessario che di questo argomento si discuta in Aula, perché ci sono senatori che hanno regolarmente assunto secondo le leggi del lavoro, i propri collaboratori, e si evince che ci sono anche senatori di serie A che utilizzano anche personale assunto a suo tempo dai Gruppi.
Credo altresì che nel bilancio una certa trasparenza sull’abbattimento dei costi della politica vada portata avanti. Ecco perché il nostro intervento è volto ad avvisare prima. Penso ad esempio, al personale delle segreterie, spesso assunto e assegnato altrove, o al personale di cui alla delibera del 1993, non tutto presente presso i Gruppi, e senza una certa giustizia distributiva. Questo lo facciamo, cara Presidente e cari colleghi, nell’interesse della trasparenza del Senato, della dignità soprattutto del lavoratore e dignità della politica. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Peterlini e Molinari).

PRESIDENTE [3]. Senatore Astore, come lei può immaginare, alla Presidenza e a me personalmente questi temi sono piuttosto cari, e proprio per questo sono stati oggetto del passato Consiglio di Presidenza. Penso che la relazione dei senatori Questori e il dibattito sul bilancio del Senato saranno l’occasione più propizia per trovare le giuste soluzioni.