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LAVORO, L’APARTHEID ITALIANO

PERCHÉ ABBIAMO DENUNCIATO ALLA COMMISSIONE UE IL REGIME ITALIANO DI APARHEID FRA PROTETTI E NON PROTETTI NEL MERCATO DEL LAVORO

Articolo di Pietro Ichino e Nicola Rossi pubblicato su Europa [1] il 15 settembre 2011 – È disponibile su questo sito il testo dell’atto di denuncia [2], presentato alla Commissione Europea il giorno prima

        Ieri i rappresentanti di alcune organizzazioni culturali, sociali e politiche – da Avaaz alla Repubblica degli Stagisti, da Italia Futura a Libertà Eguale – e, a titolo personale, alcuni parlamentari (fra i quali chi scrive) hanno esposto formalmente al governo dell’Unione Europea i motivi per cui il regime di apartheid fra protetti e non protetti che caratterizza il tessuto produttivo italiano deve considerarsi incompatibile con l’ordinamento comunitario.
        Su questa iniziativa stavamo ragionando da tempo, raccogliendo dati e documentazione. La difficoltà era costituita dalla necessità di dimostrare in una forma efficace anche sul piano giuridico che in realtà milioni di rapporti di lavoro “a progetto” e altre collaborazioni autonome continuative, anche in regime di “partita Iva”, sono sostanzialmente rapporti di lavoro dipendente. La svolta è venuta con la risposta della Commissione Europea [3] al nostro Piano Nazionale delle Riforme, del 7 giugno scorso, nella quale il massimo organo di governo dell’Unione ha manifesta una piena consapevolezza proprio di quello che noi ci proponevamo di dimostrare; e ne ha fatto oggetto di una sollecitazione nei confronti dell’Italia sul piano politico-diplomatico.
        Questi sviluppi ci consentono oggi di chiedere alla Commissione stessa di trarre da quella consapevolezza e dal conseguente richiamo rivoltoci tre mesi fa anche le conseguenze necessarie sul piano amministrativo-giudiziario: quello stesso dualismo del nostro mercato del lavoro che tre mesi fa essa ci ha chiesto di superare – noi lo chiamiamo un vero e proprio regime di apartheid fra protetti e non protetti – costituisce evidente violazione della direttiva europea n. 1999/70/CE, che vieta l’utilizzazione dei rapporti di lavoro a termine come forma ordinaria di ingaggio del personale e vieta comunque ogni disparità di trattamento fra i lavoratori assunti a termine e quelli assunti a tempo indeterminato.
        Nello stesso documento della Commissione del 7 giugno, e poi ancora nella lettera inviata il 7 agosto al nostro Governo dal governatore uscente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet e dal governatore entrante, Mario Draghi, ci viene chiesta una flessibilizzazione delle strutture produttive compensata da una maggiore protezione economica e professionale del lavoratore nel passaggio dal vecchio al nuovo posto di lavoro; e si sollecita inoltre il superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro fra protetti e non protetti. In estrema sintesi: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile; e a chi perde il posto un robusto sostegno economico e investimento sulla sua professionalità, in funzione della rioccupazione più rapida possibile. Di tutto questo nella manovra-bis varata con il decreto-legge di Ferragosto non si trova nulla. L’obiettivo della nostra iniziativa è costringere il Governo e il Parlamento italiani a ridisegnare un diritto del lavoro capace di applicarsi veramente ad almeno 18 milioni e mezzo di lavoratori sostanzialmente dipendenti, e non soltanto a 9 milioni, come accade oggi.
        Pensiamo, con ciò, di dare un segnale di carattere, se possibile, ancora più generale invitando i più giovani a diffidare del pietismo ipocrita che, tanto a destra quanto a sinistra, viene speso a piene mani nei loro confronti. Un pietismo che di fatto consente il perpetuarsi del regime di apartheid ai loro danni.