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L’AVVENIRE SUL PROGETTO FLEXSECURITY

IL QUOTIDIANO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE PUBBLICA UN ARTICOLO CHE COSTITUISCE UNA BUONA SINTESI DELLA NUOVA DISCIPLINA IN MATERIA DI LICENZIAMENTI, PREVISTA NEL DISEGNO DI LEGGE N. 1873/2009

Articolo di Francesco Riccardi pubblicato su l’Avvenire il 1° novembre 2011

Fuori dalle polemiche ideologiche, come si può aumentare la flessibilità in uscita e allo stesso tempo garantire meglio il lavoratore? In attesa che si precisi la proposta del governo, finora piuttosto nebulosa, l’attenzione si concentra sul disegno di legge (numero 1873) presentato giusto due anni fa al Senato dal giuslavorista Pietro Ichino, assieme ad altri 54 senatori tra i quali Bonino, Ceccanti, Morando, Fioroni, Follini, Marino, Rutelli e Tonini. Una proposta al quale ha fatto un riferimento esplicito lo stesso Silvio Berlusconi come un modello al quale rifarsi.

La proposta Ichino è di fatto la stesura di un nuovo “Statuto dei lavori” – idea alla quale lavorava già Marco Biagi quindici anni fa e ancora oggi il ministro Maurizio Sacconi – attraverso una forte semplificazione del corpus del diritto del lavoro, condensato in 70 articoli “comprensibili” da tutti. L’obiettivo è quello di superare i dualismi attuali tra garantiti e no, tra giovani precari e anziani ipertutelati, prevedendo l’applicazione delle nuove regole, in particolare in tema di licenziamento, solo ai nuovi assunti. Per i quali è previsto un contratto prevalente a tempo indeterminato, salvo eccezioni come i contratti a termine per sostituzione temporanee, picchi di produzione e simili. Al di là delle norme generali, sono tre in particolare gli articoli con i quali si vorrebbe costruire una nuova flexsecurity.

* L’articolo 2118 prevede «il recesso del datore di lavoro o committente» per «mancanza grave del lavoratore» o per «motivi economici, tecnici od organizzativi».
Qualora il licenziamento disciplinare risulti ingiustificato il giudice «condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore, oppure alla ricostituzione del rapporto di lavoro, oppure a entrambe le sanzioni».
Nel primo caso il «danno non può essere inferiore a 5 mensilità più 1 per ciascun anno di anzianità di servizio». La reintegrazione, invece, è prevista necessariamente solo in caso di «violazione di un divieto di discriminazione», mentre negli altri casi «ciascuna delle parti ha facoltà di optare, in alternativa alla ricostituzione (del rapporto di lavoro), per il pagamento a carico del datore di un indennizzo sostitutivo pari a 15 mensilità». Restano le eccezioni oggi previste per le aziende sotto i 16 dipendenti, le onlus, le organizzazioni politiche, religiose, culturali e sindacali.

* L’articolo 2119 regola invece il licenziamento per motivi economici od organizzativi. Esso prevede anzitutto un congruo preavviso (1 mese per ogni anno di anzianità del lavoratore, fino a 12). A questo punto scatta un nuovo «contratto di ricollocazione» con «un’indennità pari a tanti dodicesimi della retribuzione quanti sono gli anni di anzianità di servizio in azienda, diminuita della retribuzione corrispondente al preavviso».

* L’articolo 2120 infine stabilisce quale assistenza debba essere assicurata al lavoratore licenziato nel mercato del lavoro. Il «contratto di ricollocazione» che si è instaurato tra il dipendente e l’azienda che lo licenzia prevede: «L’erogazione a cura e spese del datore di lavoro o committente, per la parte non coperta da programmi statali o regionali, anche mediante un’agenzia terza, di un trattamento complementare per il periodo di disoccupazione effettiva e involontaria, tale che il trattamento complessivo ammonti al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno (limite massimo della retribuzione 40.000 euro)…dell’80% il secondo anno…e del 70% per il terzo».
Il trattamento è però «condizionato all’assolvimento da parte del lavoratore degli obblighi di porsi a disposizione dell’organismo» preposto alle attività di ricollocazione. Per il lavoratore licenziato che non abbia superato i 2 anni di anzianità è prevista solo l’attività di ricollocazione senza indennità. L’impresa e l’agenzia possono recedere dal contratto di ricollocazione se il lavoratore rifiuta (senza giustificato motivo) un’opportunità di lavoro o un’iniziativa di formazione. Il costo gravante sui datori di lavoro per le attività di ricollocazione e formazione «è sostenuto dalle Regioni», mentre in caso di «insolvenza del datore di lavoro o committente e in assenza di altre forme assicurative, il Fondo di garanzia istituito presso l’Inps si surroga al debitore nell’erogazione del trattamento» previsto per il lavoratore licenziato.