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IL FOGLIO: CHE COSA SIGNIFICA LA NUOVA POSIZIONE DEL PD SUL LAVORO

IL PROGETTO BOERI-GARIBALDI-NEROZZI È COMUNQUE UN PASSO AVANTI, ANCHE SE MOLTO TIMIDO E SE NON AFFRONTA LA QUESTIONE DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI- ORA, PERÒ, SI TRATTA DI VEDERE CHE COSA PROPORRÀ IL GOVERNO E COME RISPONDERÀ IL PD

Intervista a cura di Michele Arnese, pubblicata su Il Foglio il 12 gennaio 2012 – L’intervista è stata ovviamente rilasciata il giorno prima, quando ancora non era nota la nuova proposta che sarebbe stata presentata dal responsabile dell’Economia Pd al Forum Lavoro, nel giorno della pubblicazione: su quest’ultima v. l’intervento che ho svolto nel Forum Lavoro [1] 

Roma. Il Pd ha abbandonato il progetto Ichino? Per il Corriere della Sera, si può cassare il punto interrogativo: “Nel Pd – ha scritto ieri Enrico Marro – la posizione di Pietro Ichino, più aperta alle riforme, è stata emarginata”. Il giuslavorista e senatore del Pd, Pietro Ichino, in una conversazione con il Foglio, non lo nega, anche se – dice – non è una novità.  E aggiunge: “occorrerà ora vedere che cosa proporrà il Governo e come risponderà il Pd”. Ieri intanto il ministro ha incontrato Marcegaglia: “Finora Confindustria ha avuto un atteggiamento conservatore”, dice Ichino.
Senatore, ma che cosa deciderà oggi il Pd nel Forum sul lavoro? “Credo che il Pd farà suo un progetto in qualche modo ispirato al progetto Boeri-Garibaldi, contenuto nel disegno di legge che ha come primo firmatario Paolo Nerozzi”.
É ben strano che lei abbia firmato anche la proposta di legge Nerozzi. Siete quindi tutti d’accordo nel Pd, altro che dialettica. “Non soltanto l’ho firmata, ma ho anche contribuito alla sua redazione. È sicuramente un passo avanti utile: tutti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile nei primi tre anni. Il limite di quel progetto è che non affronta la questione degli ammortizzatori sociali. E poi quella soglia dei tre anni può rivelarsi difficile da superare per i new entrants”.
C’è chi dice, nel Pdl e pure tra gli industriali, che nel suo progetto gli ammortizzatori sociali alla danese costano troppo e le aziende non possono permetterselo: “Nei giorni scorsi il Comitato Investitori Esteri di Confindustria ha chiesto al governo di varare al più presto il nuovo codice del lavoro semplificato da me proposto, nel quale è inserito il progetto flexsecurity. E già nel 2009, 75 imprese italiane di varie dimensioni scrissero all’allora ministro del Lavoro, Sacconi, per chiedere di poter sperimentare il regime proposto nel mio disegno di legge. Apriamo una fase di sperimentazione per valorizzare queste dichiarazioni di disponibilità”.
Ormai sembra che tutti siano d’accordo nel puntare sul contratto di apprendistato. Lo dice Sacconi e pure Corrado Passera. “Sacconi e Passera hanno ragione quando dicono che l’apprendistato è uno strumento importante. Ma questo non vuol dire che esso possa diventare il “contratto di lavoro prevalente”: metà dei contratti che si stipulano riguardano persone che hanno più di 30 anni”.
Ma non si rischiano riforme al ribasso? Ichino non è del tutto d’accordo: “Mi sembra che questo riposizionamento del Pd segni un’apertura a una maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro rispetto alla sua posizione ufficiale precedente”. Comunque, dice Ichino, “quello che conterà di più sarà il progetto che presenterà il governo e come il Pd risponderà a quello”.
Però iniziano alcuni ripensamenti. Nonostante la fondazione Rodolfo De Benedetti, il cui comitato scientifico è coordinato dall’editorialista di Repubblica, Tito Boeri, da anni certifica la rigidità del mercato del lavoro italiano, il quotidiano Repubblica, ricordando un indice Ocse ha sostenuto che in verità l’Italia è sopra la media per flessibiltà in uscita. Quindi non c’è bisogno di riformare il mercato del lavoro? “Quell’indice – risponde Ichino – è come il pollo di Trilussa: è il risultato della media tra l’area del lavoro protetto e l’area del lavoro poco o per nulla protetto. Certo che in Italia c’è un buon tasso complessivo di flessibilità del lavoro. Ma il problema è che questa flessibilità è garantita quasi del tutto dai precari, dagli appalti di servizi alle piccole imprese e alle cooperative di lavoro, dal milione e mezzo di partite Iva fasulle, cioè di finti liberi professionisti che lavorano in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda”. Repubblica ha sintetizzato: il reintegro c’è in tutti i paesi, in Italia sono difficili solo i licenziamenti collettivi. Ma le ricerche della Fondazione De Benedetti non  mostrano il contrario? “Sì. La reintegrazione automatica nel caso di licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato esiste soltanto in Italia. In alcuni degli altri Paesi, come la Germania, l’Austria e il Portogallo, c’è la possibilità che il giudice disponga la reintegrazione. Di fatto, però, i giudici esercitano questa facoltà soltanto nel caso in cui ritengano che il licenziamento sia discriminatorio”. Ieri Confindustria ha incontrato il ministro Fornero. L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ha detto Emma Marcegaglia, “è un tema ideologico, oggi non vogliamo affrontarlo”. Confindustria timida? “Sì. Manca una sua spinta decisa al mutamento della nostra attrezzatura giuridica e culturale sul come si affrontano le crisi occupazionali aziendali. Però non dispero che Emma Marcegaglia in questi giorni faccia prevalere un atteggiamento meno conservatore”.