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QUANDO IL SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI CONTRIBUISCE A TENERE BASSE LE RETRIBUZIONI

IL CASO DELLA TICINO-LOMBARDIA, IN CUI I SINDACATI SACRIFICARONO CONDIZIONI DI LAVORO MIGLIORI E TRATTAMENTI ECONOMICI SUPERIORI SULL’ALTARE DI UNA RIGIDA INDEROGABILITÀ DEL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI SETTORE

Estratto dal quinto capitolo di Inchiesta sul lavoro. Percé non dobbiamo avere paura di una grande riforma [1] (Mondadori, 2011) – Questo capitolo riprende il tema centrale del mio libro A che cosa serve il sindacato? Le follie di un sistema bloccato e la scommessa per uscirne [2] (Mondadori 2005), nel quale mi sono proposto di argomentare la tesi secondo cui la possibilità di scostamento dal modello di organizzazione del lavoro e di struttura della retribuzione incorporato nei nostri contratti collettivi nazionali può, in molti casi, consentire un netto miglioramento delle condizioni di lavoro e dei trattamenti retributivi

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Ti racconto […] un altro caso di innovazione organizzativa che avrebbe consentito un netto miglioramento del trattamento dei lavoratori, ma che è stata incredibilmente rifiutata perché comportava una deroga al contratto collettivo nazionale: il caso della società italo-svizzera Tilo – Treni regionali Ticino-Lombardia –, costituita nel 2004 per la gestione dei collegamenti tra Milano e il Canton Ticino. Appena costituita, la società stipula il suo primo accordo collettivo con i sindacati dei ferrovieri svizzeri, secondo gli standard svizzeri, che comportano retribuzioni doppie o triple rispetto alle nostre (per la precisione: in base al contratto collettivo il macchinista svizzero della Tilo riceve uno stipendio iniziale di circa 43.000 euro all’anno, che in dodici anni arrivano a 55.000 e sovente anche a 60.000 con gli aumenti negoziati ad personam), garanzia di stabilità del posto, da cinque a sette settimane di ferie all’anno, un trattamento sanitario di prim’ordine, e altro ancora. Ma in Svizzera su ogni treno c’è un solo macchinista, mentre in Italia a quell’epoca era ancora in vigore una clausola del contratto nazionale che imponeva i due macchinisti in cabina; inoltre il ferroviere svizzero lavora 40 ore alla settimana, mentre il contratto nazionale italiano prevede il massimo di 36. Ora, è ragionevole pensare che qualsiasi ferroviere italiano cederebbe volentieri la clausola dei due macchinisti, il limite delle 36 ore settimanali e il proprio stipendio di 1700 euro al mese, in cambio del trattamento del suo collega svizzero. Invece, quando la Tilo propone un graduale – ma relativamente rapido – allineamento di tutti i terms and conditions sul versante italiano rispetto a quelli applicati sul versante svizzero, i nostri sindacalisti rifiutano l’accordo, in considerazione delle deroghe che esso comporterebbe rispetto al contratto nazionale. Ecco un altro caso in cui la deroga al contratto nazionale avrebbe consentito un miglioramento complessivo delle condizioni di lavoro.

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