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MOTECH: L’IMPRESA TECNOLOGICA “DOLCE”, AL FEMMINILE

MOTECH È LA CONIUGAZIONE, NEL SETTORE DEI SERVIZI ALLA PERSONA, DELLA TECNOLOGIA PIÙ AVANZATA CON LE DOTI CARATTERISTICHE DELL’IMPRENDITORIA FEMMINILE, PER UNA NUOVA ECONOMIA DEI SERVIZI: UNA FRONTIERA PROMETTENTE PER IL RITORNO DELL’ECONOMIA ITALIANA ALLA CRESCITA

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 2 ottobre 2012 – Segue uno stralcio del disegno di legge che verrà prossimamente presentato al Senato, volto anch’esso a promuovere una nuova economia dei servizi

Per un volta, l’Italia non fa eccezione. Anzi, le titolari donne sono da noi più numerose che in Francia, Inghilterra e nella stessa Germania. Una interessante ricerca di Confartigianato presentata ieri alla Fondazione del Corriere segnala addirittura una lieve tendenza di crescita anche in tempi di crisi. E mette in risalto molte virtù del fare impresa al femminile: la capacità di delegare, di giocare in squadra, di gestire il multitasking. Virtù che hanno consentito alle donne di far breccia anche in settori high tech, tradizionalmente monopolizzati dagli uomini: un numero ancora piccolo ma crescente di imprenditrici opera nella chimica, nell’elettronica, nell’informatica, nelle telecomunicazioni, nella ricerca e sviluppo.
Certo, avere successo è ancora un percorso a ostacoli, a causa di stereotipi e pregiudizi duri a morire nonché delle difficoltà di conciliare le responsabilità lavorative con quelle familiari.
I mariti-padri (in particolare quelli giovani e istruiti) sono oggi disponibili ad impegnarsi di più, tuttavia il grosso del carico domestico ricade ancora sulle donne, anche quando diventano imprenditrici di successo. Per la verità, dalla ricerca di Confartigianato non emerge una domanda acuta di welfare, di servizi sociali, di politiche di conciliazione. La piccola impresa a guida femminile costituisce forse l’ultima frontiera del familismo fai-da-te all’italiana, il massimo grado possibile di «integrazione creativa» tra sfera occupazionale e domestica.
Plaudiamo pure all’intraprendenza (a volte eroica) delle nostre tante superdonne «titolari». Ma prepariamo anche il terreno per una più equilibrata configurazione tra lavoro, welfare e famiglia.
L’esperienza internazionale ci insegna che dove questo è avvenuto si sono tratti enormi vantaggi non solo sul piano della qualità sociale ma anche della crescita e dell’occupazione. La via da seguire oggi in Italia per superare i limiti e le contraddizioni del modello familista (conservandone, ovviamente, gli aspetti positivi) è quello di promuovere l’espansione di una nuova e moderna economia dei servizi motech. Si tratta di un neologismo basato su due idee. La prima e più familiare è quella di «tecnologia», in senso lato: i nuovi servizi devono sfruttare al massimo le opportunità offerte dai progressi dell’informatica e della comunicazione. La seconda idea è che il loro scopo deve essere motherly (materno), il «prendersi cura» dei bisogni personali e sociali dei consumatori, di facilitare la loro vita quotidiana (casa, lavoro, imprevisti), di migliorare il loro «star bene» (con se stessi, i familiari, i colleghi, gli amici).
In lingua ebraica motek vuol dire «dolcezza»: il neologismo, coniato da uno studioso israeliano, vuole essere anche un richiamo di stile, la sottolineatura di atteggiamenti e modi di fare tipicamente femminili. Giocando un po’ con le parole potremmo metterla così: l’enorme patrimonio di motek che le donne italiane investono oggi all’interno della famiglia deve abbinarsi al loro crescente spirito imprenditoriale per far decollare un articolato e fiorente settore di servizi motech.
Negli altri Paesi Ue questo settore è già ben sviluppato, con forti ricadute in termini di occupazione: in Francia quasi un milione di nuovi posti di lavoro negli ultimi sette anni.
Qualcuno potrebbe comprensibilmente obiettare: la forza dell’Italia sta nella manifattura, cosa c’entrano i servizi «dolci»? C’entrano: le analisi socioeconomiche dimostrano che questi servizi non sono un lusso, ma (anche) un fattore produttivo, un modo per accrescere la flessibilità lavorativa, la motivazione e la creatività dei dipendenti, l’efficienza del contesto economico. Il decollo della nuova economia dei servizi va almeno inizialmente sorretto da intelligenti politiche pubbliche, che allarghino l’accesso al credito alle (aspiranti) imprenditrici, che promuovano reti e incentivino fiscalmente il ricorso a prestazioni che le famiglie italiane sono abituate a produrre entro le mura domestiche (in forme spesso sub-ottimali).
In tempi di recessione, parlare di queste cose può suonare come una fuga in avanti. Teniamo però presente che in fondo al tunnel non c’è una luce che risplende da sé. Siamo noi che dobbiamo accenderla: con progetti, lungimiranza e tanta intraprendenza.
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LA PROPOSTA NEL NUOVO DISEGNO DI LEGGE

Articolo del disegno di legge per l’ [1]active ageing [1]In argomento v. anche gli articoli 2132 e 2133 del Disegno di Legge n. 1873/2009 [2]

Articolo 4
Contratto di collaborazione di pubblica utilità
1. Il contratto di collaborazione di pubblica utilità è quello con cui una amministrazione regionale, provinciale o comunale attiva un rapporto di collaborazione con una persona titolare di pensione di vecchiaia o anticipata, o che abbia compiuto i 60 anni di età, al fine di fornirne a terzi le prestazioni, nei limiti della sua disponibilità, per servizi alla famiglia e alla persona, obbligandosi a retribuire le prestazioni stesse. Ai fini amministrativi, fiscali e previdenziali il contratto è disciplinato come collaborazione autonoma continuativa. La stipulazione del contratto di cui a questo articolo non è soggetta ai vincoli disposti dalla legislazione vigente in materia di assunzioni da parte di enti pubblici.
2. L’ente organizzatore del servizio cura l’addestramento specifico del collaboratore anziano e lo avvia, dietro versamento da parte del beneficiario di una quota non inferiore alla metà del costo complessivo della retribuzione più i relativi contributi previdenziali,
a) presso persone anziane, inferme, o disabili non autosufficienti, per l’approvvigionamento dei beni di consumo necessari per la vita quotidiana, per il riassetto dell’abitazione, per l’addestramento all’uso degli strumenti informatici e della rete, per la lettura a persone non vedenti, o altri servizi analoghi che non richiedano elevata professionalità e non comportino rischi rilevanti né per chi li svolge né per chi li riceve;
b) presso famiglie o convivenze per l’esecuzione di piccoli lavori di manutenzione edilizia, elettrica, idraulica o meccanica, o di falegnameria;
c) presso famiglie per l’accudimento diurno o notturno di bambini;
d) presso istituti scolastici o associazioni di genitori di studenti, per la sorveglianza all’entrata e uscita dalle scuole e altri servizi utili per il loro migliore funzionamento;
e) presso condomini, loro associazioni, o associazioni di famiglie, per la sorveglianza contro atti di vandalismo ai danni di beni immobili o mobili;
f) presso biblioteche o centri sociali, per l’ampliamento dell’orario di apertura degli stessi.
3. L’orario di svolgimento del servizio è concordato tra l’ente organizzatore, il collaboratore e il fruitore. Esso non può eccedere i limiti di cui al decreto legislativo n. 66/2003.
4. Il collaboratore ha diritto nei confronti dell’ente organizzatore a un corrispettivo orario, commisurato alla durata effettiva del servizio svolto, anche nella forma del buono-lavoro di cui agli articoli 70 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276.
5. Il contratto di collaborazione di pubblica utilità può essere stipulato a tempo indeterminato o a termine. Se è stipulato a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recederne dandone all’altra un preavviso non inferiore a 15 giorni di calendario.
6. Il contratto col quale la persona o l’ente interessato a un servizio di cui al comma 2 pattuiscono la fornitura con l’ente organizzatore deve essere stipulato in forma scritta, indicare l’entità e le modalità di riscossione del corrispettivo da parte dell’ente organizzatore, nonché le generalità del collaboratore. Il contratto stesso può essere stipulato a tempo indeterminato o a termine. Se è stipulato a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recederne in qualsiasi momento, dandone all’altra un preavviso scritto non inferiore a 15 giorni.
7. Il contratto tra l’ente organizzatore e il prestatore di lavoro e il contratto tra l’ente organizzatore e la persona o l’ente interessato al servizio sono stipulati contestualmente.
8. Nulla osta a che il lavoratore titolare del contratto di collaborazione di cui a questo articolo sia anche titolare di contratto di lavoro a tempo parziale, e in particolare del rapporto a orario ridotto a norma dell’articolo 1, nonché di pensione ridotta a norma dell’articolo 2.
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