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GLI STAGE IN AZIENDA: COME DISTINGUERE IL GRANO DAL LOGLIO

UN CANALE DI ACCESSO DEI GIOVANI AL TESSUTO PRODUTTIVO CHE CONSENTE ESPERIENZE MOLTO POSITIVE MA DI CUI ALCUNE AZIENDE ABUSANO GRAVEMENTE

17 luglio 2008
Caro professor Ichino

(la chiamo professore anche se ora è senatore: sono affezionata a questa definizione…) sono una giornalista, faccio parte della segreteria dell’associazione “Enzo Tortora” – Radicali Milano e partecipo sempre ai dibattiti di cui lei è relatore qui a Milano (gli ultimi: quello in campagna elettorale con Emma Bonino del marzo scorso, e quello alla libreria EquiLibri sul pubblico impiego).

Le scrivo perché da quasi un anno gestisco un blog dedicato agli stage.
Mi piacerebbe molto poterla incontrare per confrontarmi con lei sul tema degli stage come primo passo per entrare nel mondo del lavoro. Innanzitutto per conoscere la sua opinione in merito. In secondo luogo, per poterle raccontare quello che in questi mesi è emerso dal mio blog: lo stage utilizzato troppo spesso per mascherare altre forme di lavoro subordinato, per poter avere dipendenti a costo zero con la scusa della formazione. E infine per poterle parlare dell’iniziativa “in positivo” che ho voluto lanciare dal blog, e cioè la “Lista dei Buoni”: un elenco di aziende “virtuose” che, pur non obbligate dalla normativa vigente, retribuiscono i loro stagisti con rimborsi spesa non irrisori (dai 500 euro in su).

Spero di essere riuscita a suscitare il suo interesse e di poter avere l’occasione di parlarne con lei di persona. Intanto, grazie mille per l’attenzione e come sempre grazie per il lavoro che porta avanti.

Eleonora Voltolina

Potrei fornirLe molti nomi di aziende da iscrivere nella sua “Llsta dei Buoni”; e molti da iscrivere in una “Lista dei Cattivi”.

Nel decennio durante il quale ho diretto il Master Europeo in Scienze del Lavoro dell’Università di Milano ho cooperato con il Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale e con molte aziende, grandi medie e piccole, ad attivare dai dieci ai venti stage ogni anno; e nella quasi totalità dei casi si è trattato di esperienze molto positive, sul piano professionale e anche su quello umano. Nella maggior parte dei casi i miei allievi hanno avuto una “indennità di formazione” dai 400 agli 600 euro mensili; ma, anche nei casi in cui non è stato possibile ottenere questo trattamento economico, per esempio al Teatro alla Scala (che ha offerto degli stage a quattro mie allieve straniere nell’arco di altrettanti anni, nonostante la loro difettosa conoscenza della lingua italiana), oppure alla IBM, alla Bayer, o all’Azienda Energetica Municipale, ho visto gli stagisti sempre molto soddisfatti dell’esperienza che era stata loro offerta. So bene, però, che in altri casi le cose vanno molto diversamente: aziende che deliberatamente e sistematicamente utilizzano gli stage per sfruttare la disponibilità dei giovani senza offrire loro una vera occasione di formazione e addestramento, adibendoli a mansioni di bassissimo livello.

Ora il problema è come distinguere, sul piano normativo, “il grano dal loglio”, cioè come correggere la disciplina vigente (contenuta nella legge Treu del 1997) in modo da prevenire l’abuso, senza però con questo impedire quanto di buono può avvenire per mezzo di questa forma di accesso al lavoro.

E’ questa una materia sulla quale vorrei raccogliere tutti i suggerimenti, le idee per un miglioramento della disciplina vigente, per farmene promotore – con il PD e possibilmente con gli esponenti dell’attuale maggioranza più sensibili al problema: ce ne sono – in Parlamento e nel sistema delle relazioni sindacali.   (p.i.)