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NON SI RIFORMA COSI’ IL DIRITTO DEL LAVORO

Dal resoconto sommario della discussione della Commissione Affari Costituzionali sulla conversione in legge del D.-L. n. 112/2008 – 29 luglio 2008

           Il senatore ICHINO [1] (PD) dedica il suo intervento all’articolo 21. A suo giudizio esso si pone in contrasto con le norme comunitarie che chiedono ai Paesi membri di vietare l’utilizzo dei contratti a termine per eludere la normativa sulla stabilità del lavoro.

Affermare che il ricorso al contratto a termine costituisce modalità ordinaria di costituzione del rapporto di lavoro contrasta con l’ordinamento comunitario; i parametri che giustificherebbero l’apposizione del termine a norma del comma 1-bis, aggiunto in sede di conversione dalla Camera dei deputati, appaiono persino tautologici: costituirebbe, secondo la nuova norma, giustificato motivo di apposizione del termine la previsione che … si verifichi un qualsiasi evento, oppure che venga a scadenza una qualsiasi data di calendario: se la norma verrà confermata, si potrà assumere una persona a termine fino alla data x, con la giustificazione che in quella data ricorrerà la Pasqua, oppure il Presidente della Repubblica compirà gli anni!  Si tratta di norme, dalle quali ha preso le distanze lo stesso ministro Sacconi, che rafforzano il dualismo tra lavoratori tutelati e precari, in contrasto con uno dei princìpi più largamente condivisi per la riforma del mercato del lavoro, cioè la ripartizione della flessibilità su tutti i lavoratori, attraverso una revisione, semmai, della disciplina del contratto a tempo indeterminato per i new entrants.
Ricorda poi la sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2000, che ha censurato l’incostituzionalità di un’eventuale totale liberalizzazione del contratto a termine per regolare i rapporti di lavoro, anche per contrasto con le norme del diritto comunitario. Rileva poi l’incompatibilità con l’articolo 3 della Costituzione della norma introdotta dalla Camera dei deputati che prevede un indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine, che ha effetto retroattivo solo per i rapporti di lavoro già conclusi e per i quali sia insorto un contenzioso: appare irragionevole, in particolare, il trattamento differenziato per quanto riguarda i rapporti di lavoro in corso, per i quali il contenzioso dovesse instaurarsi successivamente. Osserva, peraltro, che qui l’incostituzionalità riguarda soltanto la delimitazione del campo di applicazione della norma, non il suo contenuto in sé; e che sull’intera questione dell’apparato sanzionatorio contro le irregolarità nei contratti a termine occorrerebbe una riflessione e un confronto serio e approfondito: proprio quella riflessione e quel confronto che sono stati resi impossibili dal modo inconsulto con cui Governo e maggioranza hanno procedutto all’emendamento del decreto su questa materia. Perché mai tanta fretta e perché procedere di soppiatto? Di che cosa ha paura Governo, con l’amplissimo margine di maggioranza che lo sostiene? Quando si ha paura anche soltanto del confronto delle idee, vuol dire che nei propri intendimenti c’è qualche cosa di sbagliato.
Conclude, invitando il Governo a rinunciare a questa iniziativa affrettata e semiclandestina, e ad aprire invece un dibattito a cielo aperto, nel Paese e in Parlamento, sulla riforma del diritto del lavoro necessaria per superare il dualismo del nostro mercato del lavoro.