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CIÒ CHE NON SARÀ IL PROGRAMMA YOUTH GUARANTEE IN ITALIA

L’AUTONOMIA TOTALE LASCIATA A REGIONI CHE, PER LA MAGGIOR PARTE, NON  SONO IN GRADO DI SVOLGERE LE PROPRIE FUNZIONI IN MATERIA DI SERVIZI AL MERCATO DEL LAVORO RISCHIA DI VANIFICARE IL PIANO EUROPEO “GARANZIA GIOVANI”

Articolo di Tito Boeri pubblicato su la Repubblica del 5 marzo 2014

Oggi a Roma si tiene la riunione dei rappresentanti delle Regioni con il neo-Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sul piano “Garanzia Giovani” della Commissione Europea. Tra finanziamenti diretti e cofinanziamenti mobilita circa 1 miliardo e mezzo di euro per azioni di politica attiva del lavoro a favore degli under25 da utilizzare nei prossimi due anni. E’ un’opportunità che non dobbiamo assolutamente lasciarci sfuggire in tempi di emergenza occupazionale e di risorse scarsissime. L’Istat ha certificato venerdì scorso che solo nell’ultimo anno sono stati distrutti altri 100.000 posti di lavoro tra i più giovani. Il fatto grave è che chi ha perso il lavoro è andato non solo ad aumentare le fila della disoccupazione, ma anche a gonfiare l’inattività, il novero di lavoratori scoraggiati che smettono di cercare un impiego perché pensano che il mercato non sia in grado di offrire opportunità per loro. Un governo già impegnato a ridurre il cuneo fiscale e ad aumentare la copertura dei sussidi di disoccupazione rischia di non avere soldi per interventi che facilitino la transizione da scuola a lavoro. Quindi il piano europeo capita a pallino. Ma ci vogliono idee chiare sul cosa fare. Altrimenti si rischia di mettere in piedi una nuova macchina burocratica inefficiente come quella che accompagna la gestione dei fondi strutturali.
Le Regioni oggi molto probabilmente chiederanno di confermare il piano elaborato dal Ministro Giovannini. E’ un non-piano, di fatto una scatola vuota, che lascia ampia libertà alle Regioni nella gestione dei soldi comunitari, trattenendo al centro risorse consistenti (si parla di 200 milioni !) per costruire una “piattaforma web nazionale e social network per gli operatori” nell’ambito di una “struttura di missione” del Ministero. Sono scelte entrambe sbagliate: le Regioni devono essere messe nelle condizioni di agire solo nell’ambito di direttive molto precise (come ad esempio previsto dal Piano Spagnolo per la Youth Guarantee), anziché essere spinte ad inventarsi programmi fantasiosi per impegnare e poi spendere i soldi. Ed è assurdo destinare fino al 15 per cento delle risorse disponibili in tutta Italia per costruire una rete informativa per gli operatori dei centri per l’impiego! Oggi un portale c’è già per lì’incontro fra domanda ed offerta: si chiama cliclavoro ha solo 23.000 iscritti, meno di 4000 visitatori al giorno, e offre solo 50 posti vacanti in tutta Italia come tornitore, una delle figure professionali maggiormente ricercate dalle imprese. L’intermediazione avviene altrove, in modo informale o attraverso le agenzie interinali.
L’idea della Youth Guarantee è quella di offrire a tutti i giovani un colloquio di orientamento e aiuto nella ricerca di lavoro con tirocini, formazione e attività di incontro domanda-offerta. Trae spunto dai programmi di welfare to work con cui il Governo Blair ha rivoluzionato i servizi per l’impiego. Quando questa idea fu proposta dal governo italiano nel 1999, scatenò l’ira di Sergio Cofferati e spinse il Governo d’Alema a dissociarsi da un documento comune italo-britannico. Abbiamo così perso 15 anni. Non è mai troppo tardi, ma deve essere chiaro che questi sono i compiti che ogni servizio dell’impiego dovrebbe svolgere normalmente, anche senza bisogno dei fondi comunitari. In Italia questo non avviene perché gli operatori dei servizi dell’impiego sono troppo pochi, poco qualificati o perché molti centri dell’impiego fanno di tutto tranne che il loro mestiere. ll personale è in prevalenza non laureato, con competenze amministrative, non in grado di mantenere un proficuo rapporto diretto con chi cerca lavoro. Mancano soprattutto esperti di marketing, psicologi sociali e informatici. Con questa struttura (8713 addetti per 3 milioni e 293 mila disoccupati, vale a dire quasi 300 disoccupati per operatore) è impensabile costruire percorsi personalizzati per la ricerca del lavoro. Si possono invece offrire servizi di orientamento a quel nocciolo duro di giovani che vengono già oggi regolarmente ai centri per l’impiego e che presumibilmente rappresentano la parte più attiva e più bisognosa d’aiuto. Questo va fatto comunque, senza necessariamente utilizzare le risorse comunitarie. Ci deve essere un monitoraggio attento da parte del ministero su come queste attività vengono svolte e, ai centri che utilizzano al meglio le risorse di cui dispongono e che sono palesemente sottodimensionati, possono essere destinate risorse aggiuntive per favorire la mobilità di altro personale nella pubblica amministrazione. Ad esempio i 1239 impiegati di Italia Lavoro, i 241 dell’Isfol o i 78 dipendenti del Cnel avrebbero le competenze necessarie per aiutare i centri per l’impiego maggiormente bisognosi di supporto. Anche ad altri dipendenti del pubblico impiego che manifestassero l’interesse a contribuire ad affrontare l’emergenza occupazionale sul campo può essere offerta questa opportunità, compensandoli per lo spostamento.
Ma il grosso delle risorse dovrà essere utilizzato per interventi che sostengano la creazione di lavoro in modo duraturo. Si devono soprattutto integrare i salari orari dei giovani occupati con retribuzioni basse, ad esempio impegnandosi a garantire loro almeno 5 euro all’ora, nel caso offrendo un supplemento al salario pagato dal datore di lavoro privato. Queste integrazioni potranno essere stabilite in base alle caratteristiche e al costo della vita delle diverse regioni e al di sopra di livelli retributivi minimi imposti per legge. Avrebbero l’effetto non solo di aumentare i posti di lavoro, ma anche di stimolare l’emersione di lavoro sommerso, rendendo queste misure sostenibili anche quanto le risorse per la Garanzia Giovani saranno esaurite.