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INVESTIRE SULLA SCUOLA PER DARE AI RAGAZZI PIÙ POVERI LA VOGLIA DI SAPERE

INVESTIRE SULLA SCUOLA PER DARE AI RAGAZZI PIÙ POVERI, SOPRATTUTTO AI RAGAZZI IMMIGRATI, LA VOGLIA DI SAPERE – DI RECENTE LA SCUOLA NON DÀ DI PIÙ, MA CHIEDE DI MENO, RINUNCIANDO COSÌ A ESSERE STRUMENTO DI INSERIMENTO SOCIALE E DI UGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ

Lettera pervenuta il 12 maggio 2014 da un ex-allievo, a seguito della pubblicazione sul Corriere della Sera del mio articolo La lezione di don Milani [1]

Caro Pietro,
ho letto solo ora il tuo articolo su don Milani. Mi riconosco molto nell’essere stato inseguito, per tutta la vita, dai privilegi e nel conseguente obbligo di restituzione.
Riconosco anche la profonda verità di una concezione della scuola come strumento per depotenziare le disuguaglianze sociali.
Quest’anno, con un gruppo di amiche e di amici, abbiamo avviato un doposcuola per ragazzi – una dozzina – delle scuole medie. La maggior parte è costituita da ragazzi di immigrazione recente, per lo più dall’Europa dell’Est. Alcuni sono italiani. Soprattutto riguardo ai primi, vedo come la scuola, anzichè scardinare l’ingiustizia, la alimenti. Al ragazzo rumeno o moldavo (o di qualunque altra nazionalità) appena arrivato non viene dato di più: viene solo richiesto di meno.
Col voto, si premia, nella migliore delle ipotesi, la derivata della funzione “rendimento scolastico”, ma non si tiene mai conto del valore di quella funzione.
I ragazzi, a quella età, difficilmente possono aver sviluppato un senso della responsabilità tale da dar loro una voglia di impegnarsi anomala rispetto ai coetanei italiani. Così, finiscono per adagiarsi in questa condizione di obiettivi ridotti, e condannano se stessi a un futuro scolastico segregato negli istituti professionali, dove il circolo vizioso “ti chiedo poco e, quindi, ti do poco” diventa “ti chiedo pochissimo e, quindi, ti do pochissimo”.
I genitori dei ragazzi hanno a cuore, molte volte, il progresso scolastico dei figli. Ma non hanno gli strumenti, in genere, per verificarne l’effettività, e si accontentano dell’indulgenza della scuola. Altre volte, tentano di far avvertire immediatamente ai figli i vantaggi della scelta migratoria effettuata (anche per far sì che i figli dimentichino gli svantaggi dello sradicamento), e puntano a garantire loro un livello di consumo pari a quello dei coetanei. In entrambi i casi, ai ragazzi non viene fatto riconoscere lo studio come strumento di arricchimento spirituale, di accrescimento del capitale umano, di inserimento sociale.
Credo che sarebbe salutare, sia per i ragazzi italiani sia per quelli stranieri, una settimana sabbatica, già dalle scuole medie, in cui possano vivere esperienze lavorative diverse; per apprezzare, di ciascuna, il valore e la durezza.
Mi è sempre più evidente che l’Italia, per risorgere, ha bisogno di costruire o ricostruire nei ragazzi la voglia di sapere. Le risorse pubbliche spese per questo possono avere tassi di rendimento altissimi.
Penso a risorse spese in un supplemento di sostegno scolastico (non solo a favore dei ragazzi in difficoltà; anche a favore dei ragazzi che non si accontentano degli obiettivi minimi). Penso cioè a risorse distribuite, ex post, in base alle performances scolastiche ottenute dai ragazzi; con una misura che combini, con pesi opportuni, il progresso del ragazzo e la competenza raggiunta (non solo l’uno o solo l’altra).
Buona giornata
Sergio Briguglio

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