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PERCHÉ OGGI NON HA PIÙ SENSO PARLARE DI “ESODATI”

CINQUE DEROGHE ALLA RIFORMA DEL DICEMBRE 2011 INIZIALMENTE HANNO RISOLTO IL PROBLEMA DI CHI AVEVA PERSO IL LAVORO POCO PRIMA, POI, ESAURITA QUESTA ESIGENZA, SONO STATE DEDICATE A CASI SOSTANZIALMENTE MOLTO DIVERSI

Scheda tecnica preceduta da un breve commento, 4 agosto 2014 – Sulla questione degli esodati, e soprattutto della promozione dell’active ageing, v. il mio disegno di legge 15 marzo 2013 n. 199 [1]; v. inoltre il mio intervento pubblicato sul [2]Corriere della Sera [2] il 18 giugno 2012 e il successivo pubblicato il 15 agosto (data di entrata in vigore del decreto) . [3]

IL BREVE COMMENTO

Salvaguardati tutti gli “esodati” – Dalla scheda che segue risulta evidente che i provvedimenti di “salvaguardia” emanati nel 2011 e nel 2012 – quelli, cioè, dovuti al Governo Monti – hanno risolto compiutamente il problema dei cosiddetti “esodati”, intendendosi per tali le persone che hanno perso il posto in conseguenza di procedure di mobilità o di accordi individuali o collettivi di “incentivazione all’esodo” conclusi prima della riforma del dicembre 2011, con prospettiva di raggiungimeno dei requisiti per il pensionamento secondo la vecchia disciplina entro il 2012, il 2013, o il 2014, o anche entro il 2015 o il 2016 quando siano stati attivati i “Fondi di Solidarietà” categoriali (come quello istituito per il settore bancario). Gli altri provvedimenti sono intervenuti per la “salvaguardia” di persone in situazione diversa, che hanno perso il posto di lavoro senza ritrovarne un altro a tempo indeterminato negli anni della crisi, fra il 2007 e il 2011, con raggiungimento dei requisiti per il pensionamento secondo la vecchia disciplina entro il 2014 (cioè entro tre anni dalla riforma). Quando si parla del problema “esodati”, oggi, si parla di casi diversi da tutti questi, che si possono indicare con l’espressione “cinquantenni e sessantenni disoccupati”.

La questione dell’articolo 1-bis del decreto n. 90/2014 – Ancora più diversa dalla posizione degli “esodati” cui si riferivano il primi tre provvedimenti di “salvaguardia”, del 2011 e 2012, è quella delle persone interessate dall’articolo 1-bis introdotto dalla Camera dei Deputati nel decreto-legge n.90/2014 sull’amministrazione pubblica, ma probabilmente destinato alla soppressione in seconda lettura da parte del Senato: qui si trattava di circa 4000 insegnanti pubblici che, avendo maturato il diritto a pensione secondo le vecchie regole entro il 2011, non hanno però potuto ottenere il collocamento in quiescenza secondo le vecchie regole perché era loro vietato dimettersi prima della fine dell’anno scolastico 2011-2012. Qui non si tratta dunque di persone che hanno perso il posto e si trovano senza retribuzione e senza pensione, ma di persone tuttora titolari del loro rapporto di lavoro e del relativo reddito, le quali – semplicemente – sono accomunati ratione temporis, in relazione al momento in cui il vecchio ordinamento consentiva loro di chiedere il pensionamento, a tutti i lavoratori ai quali si applica la nuova disciplina.

Il problema oggi – Così stando le cose, è urgente discutere del modo migliore di affrontare il problema dei sessantenni – e anche dei cinquantenni – senza lavoro e non ancora in età di pensione (ho presentato in proposito il disegno di legge n. 199/2013 [1], contenente diverse misure assai incisive per la soluzione di questo problema). Come ho scritto più volte altrove, a me sembra che – se non vogliamo smontare la riforma Fornero del dicembre 2011 (ripetendo l’errore gravissimo che venne compiuto nel 2007 con la riforma Maroni del 2004) – questo problema vada affrontato mediante l’ampliamento e il rafforzamento dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego-ASpI, cioè sul terreno del trattamento di disoccupazione. Altri insistono a volerlo risolvere usando la pensione come sostituto del trattamento di disoccupazione; facciano pure, ma, per favore, non parlino più di “esodati”.

LA SCHEDA

Prima salvaguardia: è contenuta nello stesso d.-l. 6 dicembre 2011 n. 201 contenente la riforma Fornero – Possono andare in pensione secondo il vecchio ordinamento tutti coloro il cui rapporto di lavoro sia cessato entro il 4 dicembre 2011 per attivazione di procedura di mobilità, a condizione che la pensione secondo le vecchie regole maturi entro il periodo di mobilità; oppure sia cessato entro il 31 dicembre 2011, per effetto di un accordo aziendale stipulato entro il 4 dicembre 2011 avente per oggetto la cessazione stessa (l'”esodo”: donde il termine “esodati”) in funzione del pensionamento di anzianità; inoltre coloro che avessero ottenuto l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011. La previsione era che beneficiassero di questa salvaguardia complessivamente 65.000 persone.

Seconda salvaguardia: è inserita nel d.-l. 6 luglio 2012 n. 95 con lo scopo di estendere la possibilità di pensionamento secondo l’ordinamento previgente a tutti i lavoratori collocati in mobilità (sia essa mobilità “ordinaria”, “lunga” o “in deroga”) fino al 31 dicembre 2011, purché il diritto a pensione maturi entro la scadenza del periodo di mobilità; a tutti quelli che avessero stipulato un accordo individuale o collettivo di cessazione del rapporto entro il 4 dicembre 2011, con diritto alla pensione destinato a maturare secondo le vecchie regole entro il 6 gennaio 2015; a tutti i lavoratori in carico a “fondi di solidarietà” istituiti in funzione di una sorta di prepensionamento per la soluzione di crisi aziendali nel settore bancario e in alcuni altri settori; gli autorizzati alla contribuzione volontaria con diritto alla pensione secondo il vecchio ordinamento entro il 6 gennaio 2015. La previsione era che beneficiassero di questa salvaguardia, in aggiunta alle precedenti 65.000, complessivamente altre 55.000 persone.

Terza salvaguardia: viene deliberata con legge 24 dicembre 2012 n. 228 (legge di stabilità 2013), poi integrata dalla legge n. 147/2013, per estendere l’esenzione dalle nuove regole anche ai casi di lavoratori collocati in mobilità dopo l’entrata in vigore della riforma del 2011, fino al 30 settembre 2012, purché aventi diritto alla pensione, secondo il vecchio ordinamento, entro il 31 dicembre 2014; inoltre tutti coloro il cui rapporto sia comunque cessato entro il 30 giugno 2012, anche se nel frattempo hanno lavorato (purché a termine e con reddito complessivo non superiore a 7500 euro; per i contributori volontari il requisito di pensionabilità viene allargato a comprendere tutti i pensionabili secondo la vecchia disciplina entro il 6 gennaio 2015. In forza di questo intervento il novero dei “salvaguardati” aumenta di ulteriori 16.130 persone.

Quarta salvaguardia: è contenuta del d.-l. 31 agosto 2013 n. 102; estende l’area di esenzione dalle nuove regole a tutti coloro che, essendo stati licenziati nel periodo 2009-2011 (anche se abbiano lavorato con contratti a termine, purché con reddito complessivo non superiore a 7500 euro), raggiungano i requisiti per la pensione secondo la vecchia disciplina entro il 6 gennaio 2015; inoltre ai dipendenti pubblici collocati in congedo entro il 2011 per l’assistenza a parenti gravemente disabili. In forza di questo intervento il novero dei “salvaguardati” aumenta di ulteriori 9.000 persone.

Quinta salvaguardia: è contenuta nella legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) ed estende l’area di esenzione dalle nuove regole pensionistiche a tutti coloro che abbiano perso il lavoro in base ad accordo aziendale stipulato entro il 31 dicembre 2012, (quindi per tutto un anno dopo l’entrata in vigore della riforma), nonché a coloro che, essendo stati licenziati nel periodo 2007-2011 (anche se abbiano nel frattempo lavorato con contratti a termine, purché con reddito complessivo non superiore a 7500 euro), raggiungano i requisiti per la pensione secondo la vecchia disciplina entro il 6 gennaio 2015. La legge dispone anche un ampliamento dei requisiti per la salvaguardia degli autorizzati alla contribuzione volontaria. In forza di questo intervento il novero dei “salvaguardati” aumenta di ulteriori 17.000 persone.

 

DUE REPLICHE DELLA “RETE DEGLI ESODATI” (E DUE MIE CONTROREPLICHE)

Cinque salvaguardie per il Senatore Ichino sembra proprio che debbano bastare; così infatti titola  il suo articolo del 4 agosto 2014  [4] sul suo sito e, a conforto della fondatezza delle sue affermazioni, si esercita in una esposizione dei contenuti delle ultime cinque salvaguardie per dimostrare ai poco informati che gli esodati semplicemente non esistono più: tutti salvi, tanto che la stessa irrinunciabile riforma Fornero ne risulterebbe pesantemente stravolta, violentata. Chi non è stato finora salvaguardato, a detta del Senatore, è un disoccupato, non un esodato; per questi si dovranno quindi predisporre strumenti di tutela diversi dalla salvaguardia: strumenti tipicamente assistenziali nei casi in cui si prospettino periodi di vacanza redituale eccessivamente lunghi e liquidazione della pensione contributiva (qualche penalità di corollario non ce la vogliamo aggiungere?) qualora fossero raggiunti i requisiti previsti dalla riforma previdenziale del 2011. In realtà si tratta di una tesi assai semplicistica, che si guarda bene dal considerare le tante contraddizioni e le vere motivazioni che hanno generato il gigantesco caos di ben cinque salvaguardie.
Si tranquillizzi il Senatore Ichino: la necessità di una netta demarcazione tra esodati ed esodandi l’hanno da sempre sostenuta per primi gli stessi comitati degli esodati e questo è chiaramente documentato dall’ormai famoso Dossier redatto unitariamente e consegnato in copia dalla Rete dei Comitati a tutti i partiti e Onorevoli coinvolti nella vicenda, compreso il Senatore Ichino il quale sorprendentemente però, dalla lettura dei suoi articoli, si direbbe non abbia mai ritenuto di doversi impegnare a leggere.
Non è in questa, per molte ed evidenti ragioni, condivisa necessità di operare una netta distinzione tra le due tipologie di senza reddito il fulcro del problema; semmai lo è la necessità di fare una buona volta chiarezza sui numeri perché, o si smentiscono i numeri forniti in prima istanza da INPS (gli unici che siano mai stati resi pubblici), che parlano di almeno 390.000 esodati iniziali e allora si prendono anche urgenti provvedimenti concreti nei confronti della dirigenza dell’Istituto, oppure si confermano ufficialmete e allora, a fronte di 170.000 potenziali salvaguardati, come per altro risulta anche dall’articolo in questione, al conto ne mancano ancora 220.000 e il Senatore Ichino deve rettificare le sue affermazioni e con esse la sua intera tesi.
Sarebbe inutilmente dispersivo voler andare ora ad analizzare, una per una, le motivazioni delle salvaguardie approvate a favore degli esodati; per questo parlano ampiamente i verbali dei tanti incontri sostenuti dalla Rete dei Comitati con le istituzioni e prima ancora parlano i testi di legge il cui approfondimento, al pari del Dossier Esodati, non sembra però essere tra le priorità di chi oggi manifesta di possedere un unico obiettivo: quello di cancellare dalle cronache il termine “Esodati”.
In questa sede è però necessario puntualizzare che le cinque salvaguardie non sono il frutto di una strategia dei comitati, volta ad ottenere tutele per una platea via via sempre più ampia ed eterogenea, a cui avrebbe dovuto seguire una benigna quanto improbabile accondiscendenza delle istituzioni. La realtà è che si è arrivati ad inanellare la bellezza di cinque provvedimenti in quasi tre anni solo perché in ognuno di essi erano contenuti elementi discriminatori scarsamente difendibili sul piano costituzionale quando non addirittura incoerenti con le stesse leggi dello Stato approvate dal medesimo governo: vedasi ad esempio la recentissima sentenza della Corte del Tribunale di Perugia del 15 luglio scorso che si è pronunciata a favore del ricorrente in quanto il decreto della prima salvaguardia è stato giudicato incoerente con la stessa Legge “Salva Italia” laddove subordina la salvaguardia al non reimpiego dell’interessato.
La tematica è comunque molto ampia e, in questo contesto, è bene restare ancora sui numeri e precisamente su quelli presenti nei report periodicamente rilasciati ufficialmente da INPS e che monitorizzano esaurientemente lo stato dell’arte delle salvaguardie.
Se è vero che, ad oggi, sono stati emanati provvedimenti a favore di circa 170.000 salvaguardabili, è altrettanto vero che le pensioni finora concesse ammontano ad appena 50.000 circa. Questo dato è di per se nella norma perché evidentemente questo è il numero di salvaguardati che, ad oggi, hanno maturato la decorrenza. Gli altri 120.000 (circa) dovranno attendere pazientemente il loro momento ma è proprio a tutela dei diritti di queste 120.000 persone (esodati certificati e non presunti) che oggi è improprio parlare di “problema risolto”; improprio fino alla scorrettezza concettuale in quanto il problema, qualunque problema, non si può definire risolto durante bensì esclusivamente al termine del suo iter burocratico e il termine dell’iter di un esodato coincide con la decorrenza della sua pensione e non con il conferimento della salvaguardia o con la semplice emanazione del relativo decreto.
Sintetizzando: la questione esodati è tutt’altro che conclusa e le salvaguardie finora decretate non collimano, per sostanziale difetto, con i numeri forniti da INPS mai smentiti durante questi ultimi tre anni, nemmeno dal Senatore Ichino. Da parte nostra continueremo a ribadirlo attraverso tutte le fonti di informazione a nostra disposizione, a partire dai nostri siti web per finire alle testate giornalistiche e televisive.
Luigi Metassi

Nessuno ha mai chiarito in modo preciso quale fosse la definizione di “esodato” alla quale quella stima dell’INPS era riferita, né su quali basi si fondasse la stima medesima.  La cosa curiosa – e molto significativa – è che neppure la “Rete degli Esodati” chiarisce il significato che questo termine assume secondo il suo statuto. Restiamo in attesa di qualche informazione al riguardo.    (p.i.)

Replica di L. Metassi – 8 agosto 2014

La risposta del Senatore Ichino al mio articolo di ieri è quanto meno sconcertante.
Senatore Ichino: non sono gli esodati a dover stabilire chi e quanti debbano essere oggetto di un provvedimento di legge. E’ lo stato che deve definire, per categorie e per quantità, chi siano i destinatari di una legge o di un decreto e se non erro, lei è un componente del Senato della Repubblica italiana; che a tre anni di distanza un Senatore della Repubblica ammetta candidamente di non sapere chi e quanti siano gli esodati, oltretutto dopo aver appena affermato che tutta la loro problematica sarebbe stata risolta, mi permetta di dire che lo ritengo davvero sconcertante.
La Rete dei Comitati degli Esodati ha comunque prontamente colmato ieri la lacuna inviandole nuovamente copia del Dossier Esodati unitamente ad altra utile documentazione, nella speranza che le incombenti vacanze gliene possano consentire una più approfondita e serena lettura. Ciò nonostante, alcune puntualizzazioni si rendono d’obbligo. […]
Non intendo entrare nel merito di come ci si possa ritenere legittimati a sostenere una tesi quando, probabilmente non per proprio difetto, del problema non se ne conoscono nemmeno gli elementi costitutivi; sta di fatto che gli elementi ci sono tutti ed è sufficiente volerli recuperare dai documenti ufficiali per leggerli nel loro giusto ordine cronologico.
A prescindere dal citato Dossier, esiste una relazione INPS, firmata dal Dr. Nori (pure questo testo è stato cortesemente inviato al Senatore Ichino), resa pubblica nel giugno 2012 ma datata 22 maggio 2012, quindi antecedente al Decreto Interministeriale del 2 giugno 2012 (salvaguardia 65.000) come del resto si evince chiaramente da questo articolo di grr.rai.it . la quale quantifica con precisione e in maniera disaggregata per tipologie, l’intera platea dei destinatari di un eventuale provvedimento di salvaguardia in ordine alle casistiche previste a suo tempo dalla riforma pensionistica approvata col Decreto “Salva Italia”.
Voglio qui sottolineare le dichiarazioni del Dott. Nori comparse a tale proposito in un virgolettato di un articolo sul sito quotidiano.net in data 11 giugno 2012, in merito alla natura dei contenuti del report consegnato al Ministero del Lavoro:
“L’Inps non ha fornito stime diverse e ulteriori rispetto al tema dei salvaguardati”. Lo scrive in una nota l’Inps, in risposta alle cifre indicate da indiscrezioni di stampa. “I documenti tecnici dell’Inps – prosegue la nota – hanno consentito al ministero di formulare il decreto con la salvaguardia prevista per i 65.000 lavoratori per i prossimi 24 mesi e per alcune categorie anche oltre i 24 mesi.
Posto che nessuno voglia tacciare di mendacia i vertici dell’Istituto, la sequenza degli eventi ci porta a concludere che i dati INPS fossero già noti al Ministero del Lavoro al momento in cui si accingeva a preparare la prima salvaguardia, che i dati forniti fossero disaggregati per categorie e numeri e che le categorie prese in esame fossero esattamente quelle previste dalla Legge “Salva Italia” dalla quale avrebbe poi dovuto discendere il Decreto Attuativo della prima (e allora unica) salvaguardia.
Dobbiamo d’altro canto osservare come, nell’arco di ben tre anni, nessuna smentita ufficiale a questi dati sia mai pervenuta mentre si sfiorerebbe il ridicolo se ora si volesse sostenere che tre anni non sarebbero stati sufficienti allo Stato per valutare l’attendibilità di un report dai suoi stessi dirigenti prodotto. Ciò nonostante e volendo prescindere da formulazioni preconcette, se il Senatore Ichino fosse in possesso di informazioni diverse, si pronunci, altrimenti sarà per lui gioco forza doversi rassegnare assumendo che gli esodati siano quei 390.200 annunciati da INPS e che all’appello della salvaguardia ne manchino ancora circa 220.000. La logica e i fatti documentati non sono elementi opinabili.
Se non vogliamo mettere in dubbio la funzione stessa del potere legislativo nell’attuale ordinamento democratico e se per brevità volessimo limitarci a considerare la questione nella sua eccezione più stringente, le categorie di “esodati” sono quelle chiaramente declarate nell’Art. 24 comma 14 del Decreto 201 del 6 dicembre 2011, successivamente convertito con modificazioni nella Legge 214 del 22 dicembre 2011. Quale miglior fonte per sciogliere ogni perplessità? Quali altre risposte dovremmo cercare?
E’ quindi dal raffronto dei dati forniti da INPS con quelli contenuti nel Decreto Interministeriale del 2 giugno 2012 (e seguenti) che diventa insostenibile la tesi lapidaria secondo la quale tutti gli esodati in possesso dei requisiti sarebbero ormai salvaguardati. Dei 390.200 potenziali beneficiari della tabella INPS, 133.000 sono contributori volontari e 180.000 sono i cosiddetti “cessati”; entrambe le categorie rientrano nelle casistiche fin dal primo decreto di salvaguardia e, da sole, rappresentano più dell’80% dell’intera platea degli esodati salvaguardabili e quasi il doppio di tutti quelli fino a questo momento compresi nelle salvaguardie fino a qui approvate.
Con quali argomentazioni si può continuare a sostenere di non sapere chi siano gli esodati, quanti siano e contemporaneamente affermare che non ci sono più esodati da salvaguardare? Suvvia!
Luigi Metassi

Lasciamo da parte i 133.000 “contributori volontari”, i quali per definizione non possono essere inclusi nel novero degli “esodati”; e concentriamo l’attenzione sui 180.000 che restano. Un conto è considerarli “cessati”, cioè persone il cui rapporto di lavoro si è sciolto; altro conto è considerarli “esodati”, cioè persone il cui rapporto di lavoro si è sciolto sulla base di un accordo di incentivazione all’esodo precedente alla riforma, con data di pensionamento successiva. “Salvaguardare”  coloro che si sono trovati in quest’ultima situazione (nel senso di garantire loro la possibilità di pensionamento secondo la vecchia disciplina)  è giusto, ed è stato fatto con i primi tre interventi, del 2011 e 2012. Inoltre sono stati salvaguardati tutti i licenziati del periodo della crisi 2007-2011 con prospettiva di pensionamento entro il 2014. Sostenere che devono essere prepensionati tutti gli altri “cessati” – che non sono “esodati” – significa sostenere che la riforma del 2011 deve essere abrogata.    (p.i.)

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