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QUANDO LA SINISTRA SI OPPONEVA AL PART-TIME

IL VERO MOTIVO DELL’OPPOSIZIONE DI PCI E CGIL AL LAVORO A TEMPO PARZIALE STAVA NEL RIFIUTO DELL’APERTURA DI UNO SPAZIO DI NEGOZIAZIONE INDIVIDUALE DELLE CONDIZIONI DI LAVORO

Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 314, 3 ottobre 2014 – Appartiene a una serie dedicata ai ritardi della sinistra italiana in materia di politica del lavoro, nella quale sono già usciti: Déja vu [1] e La vecchia sinistra sempre in ritardo [2]..

Nell’editoriale telegrafico di due settimane fa [1] ricordavo la vicenda politica del lavoro a tempo parziale: l’Italia è arrivata al suo riconoscimento legislativo solo nel 1984, con una ventina d’anni di ritardo rispetto agli altri maggiori Paesi europei, con il voto contrario del Pci in Parlamento e della Cgil fuori, dopo un decennio di dibattiti aspri, nei quali la sinistra politica e sindacale vi si era opposta con l’argomento che il part-time avrebbe significato “la ghettizzazione delle donne nel mondo del lavoro”. In realtà, la ragione vera e più grave di quell’opposizione era un’altra: consentire il part-time significava consentire che una persona negoziasse con l’imprenditore un orario di lavoro diverso rispetto a quello standard stabilito dal contratto collettivo. L’idea sottesa a quell’opposizione – assai più che la difesa delle donne contro il rischio di ghettizzazione – era in realtà che, per principio, in materia di lavoro non dovesse essere lasciato alcuno spazio all’autonomia negoziale individuale. Quella sul part-time fu la prima delle grandi battaglie perse dalla sinistra politica e sindacale sul terreno della legislazione del lavoro dopo la Liberazione. Pochi anni dopo, essa era stata totalmente dimenticata: già alla fine degli anni ’80 neppure Democrazia Proletaria si sognava più di proporre l’abrogazione delle norme sul part-time. Vedrete: lo stesso accadrà per l’ultima trincea dell’ancien régime difeso da quella vecchia sinistra, la reintegrazione nel posto di lavoro.

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