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IL SENSO DEL JOBS ACT NELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DI GIANLUCA SUSTA

IL PASSAGGIO DA UN REGIME DI JOB PROPERTY A  UNO ISPIRATO AL PRINCIPIO DELLA FLEXSECURITY E AL TEMPO STESSO AL PRINCIPIO DELLA PIU’ ESTESA CONTENDIBILITA’ DEI RUOLI, SIA NEL SETTORE PRIVATO SIA IN QUELLO PUBBLICO

La dichiarazione di voto di Gianluca Susta, capogruppo dei senatori SC, nella sessione pomeridiana del Senato dell’8 ottobre 2014


SUSTA
 (SCpI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SUSTA (SCpI). Signora Presidente, colleghi, il voto di pieno sostegno che il Gruppo di Scelta Civica esprimerà al Governo su questo disegno di legge non riguarda soltanto il suo contenuto, che nel maxi-emendamento ricalca sostanzialmente quello elaborato dalla Commissione lavoro, con qualche integrazione e correzione che non ne altera la coerenza e l’incisività, ma anche la scelta del Governo di porre su questo testo la fiducia.

Qualcuno in quest’Aula ha affermato che la richiesta di fiducia è una manifestazione di debolezza, un omaggio alla Banca centrale europea e al Fondo monetario internazionale; a frau Merkel, null’altro che una forma di vassallaggio verso Bruxelles; per alcuni, già troppi, per dare la sensazione di un Paese che vuole davvero misurarsi con le sfide della competizione globale, la fretta del Premier è pura arroganza, baldanzosa sciatteria istituzionale, quando non mera guasconeria.

Sia che si tratti di nostalgia per un sistema di organizzazione sociale e di relazioni industriali e sindacali proprie di un modello fordista già sconfitto nelle sue forme più massimaliste dalla marcia dei 40.000 di Torino del 1980 e dal referendum sulla scala mobile del 1984 o che si tratti di nostalgia per un assemblearismo chiassoso e inconcludente sempre pronto a declinare diritti ma mai ad affermare doveri; o che si tratti della difesa dei piccoli e diffusi poteri di tanti travet frustrati, annidati nel corpo magmatico della burocrazia pubblica o del qualunquismo di marca poujadista e quindi intrinsecamente conservatore quando non reazionario, mai sopito in una parte non indifferente della piccola borghesia italiana, il quadro da molti dipinto in quest’Aula di un Governo che conculca i diritti, abbandona al loro destino i ceti più deboli, incita allo sfruttamento, riduce gli spazi della dialettica democratica è una rappresentazione ridicola e caricaturale che non possiamo accettare e che respingiamo con determinazione consapevoli, come siamo, che stiamo facendo ciò che i Governi riformisti in Europa hanno fatto quindici o vent’anni fa.

Noi vogliamo assecondare l’ansia del Presidente del Consiglio di aggredire i problemi da vent’anni rinviati o non risolti; lo vogliamo fare utilizzando i pochi strumenti che ci consentono Regolamenti barocchi, confusi con il diritto all’esercizio senza vincoli di mandato della funzione parlamentare, e la cui riforma – lo diciamo dall’inizio della legislatura – sarebbe quasi più urgente di quella costituzionale ed elettorale.

Condividiamo pienamente, quindi, la scelta di apporre la fiducia, perché essa sottolinea, per un verso, la posizione centrale che questa riforma assume nel programma del Governo e, per altro verso, la necessità di assicurare la sua coerenza e incisività. Ogni partito della maggioranza ha potuto discutere al suo interno. La Commissione parlamentare per mesi ha visto un serrato confronto, che si è concluso con un voto che ha rimesso il testo che è stato oggetto di ampia discussione in Senato. Il Consiglio dei Ministri ha fatto sintesi rispetto al dibattito nella maggioranza e alla discussione in Aula, proponendo integrazioni che, semmai, rafforzano e non riducono la volontà di mantenere un sistema di tutele tra i più garantisti dell’Occidente democratico.

Adesso è tempo di decidere e di dare al Paese e ai mercati il segnale che si aspettano da un grande Paese, che con le sue energie potrebbe diventare locomotiva di un’Europa, che non vuole perdere la sua posizione di prima economia del mondo, ma che col suo debito, con le sue inefficienze, le sue diffuse illegalità, le sue arretratezze istituzionali potrebbe anche trascinarla nuovamente nel baratro, a cui siamo andati vicini nel 2011.

Ecco perché, come ha già detto il senatore Pietro Ichino in discussione generale [1], questa riforma è centrale anche nel processo di integrazione europea. Essa non riguarda soltanto il settore privato del tessuto produttivo, ma anche il settore pubblico. E in entrambi i settori essa sancisce due principi fondamentali. Il primo è quello della piena contendibilità di ogni funzione: ogni funzione deve essere strutturata in modo da garantire il massimo di soddisfazione dell’utente e il migliore servizio o prodotto possibile. Sia le amministrazioni pubbliche sia le strutture private devono essere aperte alla candidatura di chiunque sia in grado di portare innovazione, innalzamento degli standard qualitativi e quantitativi. Senza questo, parlare di valorizzazione del merito è vuota declamazione.

L’altro principio fondamentale che sottende questa riforma è quello del passaggio da un regime che ha preteso di costruire la sicurezza dei lavoratori su di una sostanziale job property a un regime ispirato ai migliori modelli europei di flexsecurity: ciò significa coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale delle persone che lavorano.

Sicurezza per tutti, non soltanto per metà dei lavoratori dipendenti, come quella assicurata oggi dalla vecchia «disciplina forte» dei licenziamenti: quella disciplina – come ha sottolineato il senatore Ichino in sede di discussione generale – proprio per la sua struttura è applicabile soltanto a metà della forza-lavoro; è dunque intrinsecamente generatrice di precariato. Quella parte della vecchia sinistra e della vecchia destra che difende con le unghie e coi denti il vecchio regime, considerando l’articolo 18 come baluardo della libertà e dignità dei lavoratori, deve spiegarci come sia costituzionalmente accettabile un regime che quella libertà e dignità garantisce soltanto a metà dei lavoratori dipendenti; dovrebbe però spiegarci anche come possa sostenersi che operino in regime di privazione della libertà e della dignità i lavoratori di tutto il resto d’Europa, dove quel regime non si applica.

Sicurezza efficace: una sicurezza basata dunque non sulla mera ingessatura di un posto di lavoro, destinata a sciogliersi al primo acquazzone, ma su un sistema di sostegno universale del reddito di chi perde il posto e su un’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, offerta dalle agenzie specializzate che sono davvero in grado di fornirla, anche qui in regime di contendibilità della funzione: il meccanismo del contratto di ricollocazione prevede infatti che la persona interessata possa scegliere liberamente l’agenzia da cui farsi assistere tra quelle accettate; è un sistema basato sulla cooperazione tra struttura pubblica e operatori privati in concorrenza tra loro.

Ho parlato dei due principi fondamentali, cui questo disegno di legge si propone di dare attuazione: della flexsecurity e della contendibilità delle funzioni. Ce ne è un terzo, non meno importante: quello della semplificazione e della chiarezza del testo legislativo. Parlo di quel codice semplificato, contemplato nella legge delega, che con questo atto deleghiamo il Governo a emanare, attenendosi a linee-guida molto precise: oltre a quella dell’abbandono, in materia di protezione della stabilità dei rapporti di lavoro, della property rule con una liability rule; il disegno di legge indica quella della massima possibile armonizzazione tra la nostra legislazione del lavoro rispetto agli standard dell’ordinamento europeo e di quello internazionale, e quello della leggibilità del dettato legislativo da parte delle decine di milioni di persone interessate alla sua applicazione, fortemente attrattivi per gli investimenti. Ciò significa traducibilità del codice nelle lingue straniere e in particolare in inglese.

Qui non possiamo non esprimere una grande soddisfazione per il recepimento e piena attuazione da parte del Governo Renzi di un progetto che Scelta Civica ha presentato a prima firma del senatore Ichino, già nell’agosto 2013 [2].

Non è questa la sede per entrare ulteriormente nei dettagli dei contenuti specifici del provvedimento, sui quali richiamo quanto ha analiticamente detto il collega Ichino nel corso della discussione generale.

Questa è la sede, però, per confermare l’apprezzamento per la determinazione con cui il Governo ha affrontato e sta portando a compimento questo importantissimo passaggio e anche per il modo in cui il Governo stesso ha chiarito poco fa come intende ragionevolmente conciliare in sede di adempimento della delega le istanze solo marginalmente divergenti emerse in questa fase di discussione parlamentare in seno alla maggioranza, nel rigoroso rispetto dell’esigenza di coerenza, nettezza e incisività della svolta che intendiamo imprimere all’ordinamento del lavoro nel nostro Paese.

L’Italia uscirà da questo passaggio rafforzata non solo nella sua capacità di superare la congiuntura economica negativa, ma anche nella sua autorevolezza e nel suo potere contrattuale sul piano europeo. Siamo orgogliosi di aver dato un contributo decisivo a questo passaggio e continueremo ovviamente a darlo senza riserve, sul piano dell’elaborazione dei testi dei decreti delegati, anche e soprattutto dopo il voto di fiducia che ci accingiamo ad esprimere. (Applausi dal Gruppo SCpI).