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LA CONTRADDIZIONE IRRISOLTA DI COFFERATI

L’EX LEADER DEI DS HA CORRETTO L’ATTO DI INCOERENZA COMPIUTO NEL 2003 SULL’ARTICOLO 18, L’EX-LEADER DELLA CGIL NO 

Quarto editoriale telegrafico per la Nwsl n. 319, 10 novembre 2014 – Nel testo i link a tre miei editoriali sullo stesso tema pubblicati dal Corriere della Sera nel 2003.

Tutto sommato, come sindaco a Bologna Sergio Cofferati ha dato il meglio di sé; niente da eccepire, dunque, circa la sua candidatura in Liguria. Ma quando lo sento, in questi giorni di dibattito sulla riforma del lavoro, ribadire la sua difesa senza se e senza ma dell’articolo 18, mi chiedo come possa dimenticare ciò che accadde nel 2003. Nella primavera di quell’anno doveva celebrarsi il referendum promosso da Rifondazione Comunista, mirato a estendere l’applicazione dell’articolo 18 alle imprese con meno di 16 dipendenti. Il centrosinistra e la Cgil erano nei pasticci [1], perché fino a quel momento avevano tenuto una posizione di difesa intransigente dell’articolo 18 come baluardo indispensabile della libertà e della dignità dei lavoratori, ma sapevano bene che applicarlo alle imprese più piccole sarebbe stata una follia sul piano economico e su quello politico. Alla fine, per togliere quella pericolosa castagna dal fuoco, sia il leader dei Democratici di Sinistra Piero Fassino sia il leader della Cgil Sergio Cofferati [2] optarono per l’astensione, in modo da far fallire il referendum. Con tanti saluti alla tesi dell’articolo 18-baluardo della libertà e della dignità dei lavoratori: se lo fosse stato davvero, la sua applicazione anche alle piccole imprese – e, detto per inciso, anche ai dipendenti dei sindacati e dei partiti – sarebbe stata doverosa. Allora fu evidente a tutti l’incoerenza di quei due “no” [3]. A undici anni di distanza, Piero Fassino l’ha superata, impegnandosi a sostegno del Jobs Act, per un sistema di protezione del lavoro davvero universale. Sergio Cofferati invece, come Eugenio Scalfari sulla Repubblica di ieri,  preferisce dimenticare quell’ “incidente”, e continua a ragionare come se i quattro milioni di italiani dipendenti dalle piccole imprese, dai partiti e dai sindacati (e i duecento milioni di lavoratori europei privi di una tutela paragonabile al nostro articolo 18) potessero considerarsi lavoratori permanentemente deprivati della libertà e della dignità.

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