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DAI VIGILI ROMANI UNA SPINTA ALLA RIFORMA DELLE P.A.

IL PROBLEMA PRINCIPALE È FAR SÌ CHE I DIRIGENTI PUBBLICI ABBIANO ALL’INCIRCA GLI STESSI INCENTIVI E GLI STESSI VINCOLI DI RISULTATO DEI DIRIGENTI D’AZIENDA, AFFINCHÉ ESERCITINO LE LORO PREROGATIVE MANAGERIALI

Intervista a cura di Valentina Conte per Repubblica, 2 gennaio 2014 – In argomento v. anche FAQ sull’applicabilità del Jobs Act nelle amministrazioni pubbliche [1]

 

Vigili urbani di Roma e operatori ecologici di Napoli malati in massa la notte di Capodanno. “Ecco perché nel 2015 cambiamo le regole sul pubblico impiego”, twitta il premier Renzi. Cosa ne pensa?
In realtà su questo – e questo solo – punto ha ragione Brunetta: le regole per impedire questi abusi evidenti e gravissimi già ci sarebbero. Il problema sono i dirigenti pubblici che non le applicano.

Perché non le applicano?
Non è tanto un problema di contenuto delle regole, quanto di incentivazione e responsabilizzazione corretta dei dirigenti perché esercitino le proprie prerogative. Non si deve tornare indietro rispetto al principio per cui, salvo eccezioni, il rapporto di lavoro negli enti pubblici è assoggettato al diritto del lavoro comune; occorre però fare in modo che i dirigenti pubblici abbiano all’incirca gli stessi incentivi e gli stessi vincoli di risultato, ma anche le stesse prerogative di un dirigente di azienda.

Lei e Scelta Civica che cosa proponete?
Ogni incarico dirigenziale deve essere assegnato sulla base di obiettivi precisi, misurabili, riferiti ai risultati da ottenere nel servizio alla cittadinanza, ma anche ai tassi di assenze tra i dipendenti, al livello medio della loro prestazione e alla eliminazione delle eccedenze di personale. E che gli obiettivi stessi e il grado di loro raggiungimento siano immediatamente visibili dalla cittadinanza, in modo che anche il vertice dell’amministrazione debba rispondere di eventuali indebite indulgenze verso i dirigenti inetti. Però, se vogliamo responsabilizzare la dirigenza pubblica sugli obiettivi, occorre che essa si riappropri di prerogative manageriali alle quali ha troppo diffusamente abdicato.

Ma non c’è il rischio di comportamenti persecutori, oppure clientelistici, da parte dei dirigenti?
Nel contesto che ho appena delineato, il dirigente che compie scelte clientelari si pone in condizione di non raggiungere gli obiettivi, quindi di essere rimosso. Occorrono comunque anche regole interne alla struttura pubblica che garantiscano l’imparzialità e la correttezza delle scelte gestionali, soprattutto in materia di trasferimenti e licenziamenti.  

Il luogo per compiere questa messa a punto della governance delle amministrazioni sarà il ddl Madia, all’esame del Senato. I termini per gli emendamenti, però, sono scaduti.
Sì. Ma abbiamo chiesto che, proprio in considerazione delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio su questo punto, ora i termini vengano riaperti, in modo che ci possa essere una discussione aperta sul modello di governance delle amministrazioni che vogliamo adottare.

Il primo decreto delegato del Jobs act riprende il suo cavallo di battaglia: il contratto a tutele crescenti. Soddisfatto o deluso per come è stato declinato?
C’è qualche dettaglio da correggere. E soprattutto c’è ancora molto da fare: questo è solo il primo di almeno sei decreti, dei quali il più importante è quello contenente il Codice semplificato. Però questo è comunque un primo passo importantissimo, perché segna il passaggio definitivo ed esplicito da un regime fondato sul principio della job property a uno fondato sul principio della flexsecurity.

Però, a “crescere” è solo l’indennizzo e non l’estensione delle tutele, come l’articolo 18…
Non cresce solo l’indennità di licenziamento, con il progredire del rapporto di lavoro: cresce anche la durata del trattamento di disoccupazione. E si può anche prevedere che cresca l’assistenza nel mercato, che costituisce l’oggetto del contratto di ricollocazione: uno strumento nuovo importantissimo per la sicurezza dei lavoratori che perdono il posto.

Non le sembra che questa riforma acuisca, anziché attenuarli, il dualismo fra protetti e non protetti e quello fra aziende piccole e grandi?
No: questa riforma è l’unico modo in cui possiamo superarli entrambi. Il nuovo sistema di protezione porterà subito un forte aumento della quota di contratti a tempo indeterminato sul flusso delle assunzioni, e si estenderà progressivamente a tutta la forza-lavoro per effetto del turnover. Ma porterà subito anche una forte riduzione del gap tra dipendenti delle piccole aziende e delle grandi, con una differenza di protezione che sarà solo quantitativa e non più qualitativa; quindi più facilmente superabile anche questa in prospettiva.

Ma non pensa che il vero modo di creare lavoro sia aumentare gli investimenti?
Certo che sì. Ma la leva più efficace di cui disponiamo oggi è quella della riapertura dell’Italia agli investimenti esteri. Per questo non occorre solo una pressione fiscale più bassa, ma anche amministrazioni più efficienti, un diritto e un mercato del lavoro che funzionino meglio. Appunto quello a cui stiamo lavorando.

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