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LA BOZZA DI PARERE DEL SENATO SUL DECRETO IN MATERIA DI CIG

OTTIMO (E LARGAMENTE CONDIVISO) L’IMPIANTO GENERALE DEL PROVVEDIMENTO, MA RESTA APERTA LA QUESTIONE DELLA RIDUZIONE DEI CONTRIBUTI IN RELAZIONE ALL’ENTITÀ EFFETTIVA DELLE PRESTAZIONI – OPPORTUNO ANCHE UN CHIARIMENTO CIVILISTICO CIRCA IL POTERE DI SOSPENSIONE DELLA PRESTAZIONE IN CAPO AL DDL

Testo del parere che, all’esito delle numerose audizioni svolte, proporrò nei giorni prossimi all’approvazione della Commissione Lavoro del Senato, sullo schema di decreto [1] attuativo della legge-delega 10 dicembre 2014 n. 183, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro – Le integrazioni di maggior rilievo, rispetto alla bozza pubblicata il 20 luglio, sono evidenziate in blu – V. anche la mia relazione sullo stesso schema di decreto [2]..

 

PARERE DELLA 11ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: senatore ICHINO)

(n. 179) Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.

L’11a Commissione permanente,

esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo, che si propone di sostituire e riordinare il contenuto di tutte le disposizioni concernenti la sospensione della prestazione lavorativa nell’interesse del datore di lavoro e i corrispondenti strumenti di sostegno del reddito dei dipendenti coinvolti;

apprezzato il fatto che esso risponde complessivamente, nel suo contenuto essenziale, ai criteri di riforma della materia delineati nella legge-delega;

apprezzato il fatto che esso è redatto in modo semplice e chiaro e strutturato in modo ordinato, adempiendo dunque correttamente anche la parte del mandato concernente la chiarezza e la semplificazione contenuto nella legge-delega;

esprime, per quanto di competenza, parere favorevole, con le osservazioni di seguito riportate.

In linea generale, in vista del riordino sistematico e dell’eliminazione – questa pure oggetto della legge-delega – delle lacune o difetti di chiarezza che possano alimentare il contenzioso, si reputa necessario un chiarimento normativo circa il nesso che collega il (non illimitato) potere del datore di lavoro di sospendere la prestazione lavorativa, il suo perdurante debito retributivo nei confronti del dipendente interessato e la conseguente prestazione assicurativa erogata dalla CIG, che deve intendersi oggi a copertura di un rischio dell’imprenditore sia nel caso del personale impiegatizio sia in quello del personale operaio.

Allo stesso modo, si rende indispensabile una sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 6 del regio decreto n. 1825/1924 – che assicura la continuità della retribuzione, in caso di sospensione dell’attività lavorativa, ai soli impiegati – estendendo tale diritto anche agli operai. Questa modifica può prevedere che, quando l’imprenditore, per ragioni oggettive, disponga la sospensione totale o parziale delle prestazioni di lavoro nell’azienda o parte di essa per periodi di entità minima, inferiori o pari a cinque giorni lavorativi, il prestatore abbia diritto all’intera retribuzione base ordinaria; che invece quando la sospensione ecceda il limite minimo indicato, il prestatore riceva in ogni caso quattro quinti dell’ultima retribuzione, cioè un importo suscettibile di essere coperto dall’intervento della CIG, nel campo di sua operatività, con una generalizzazione di quanto la legge 20 maggio 1975 n. 164 prevede per il solo caso di non attivazione del trattamento di integrazione salariale per inadempimento imputabile all’imprenditore.

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In riferimento all’articolato proposto nello schema di decreto in esame si suggerisce inoltre, in linea generale, in funzione di un opportuno alleggerimento del testo, l’eliminazione di tutte le espressioni ritualmente indicanti le finalità generali considerate dal legislatore nel porre le singole disposizioni, prive di contenuto dispositivo e di qualsiasi rilievo ai fini dell’interpretazione e applicazione delle disposizioni stesse.

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All’articolo 3, comma 5, si suggerisce di evitare il richiamo della disposizione in materia di limite massimo dell’integrazione contenuta in una legge di 29 anni or sono: il principio della semplificazione e riordino della legislazione comporta che quella disposizione venga inserita nel nuovo testo legislativo, con abrogazione della vecchia legge.

All’articolo 4, comma 2, occorre chiarire che il limite di durata massima complessiva di 30 mesi dell’intervento ordinario e straordinario della CIG, anche nel settore edilizio, si riferisce a ciascuna unità produttiva: ciò che in quel settore significa, in particolare, il riferimento a ciascun cantiere.

In riferimento all’articolo 8, comma 1, si osserva che – soprattutto nella logica complessiva della riforma, la quale implica che la CIG non venga più utilizzata in sostituzione del trattamento di disoccupazione, in funzione di occultamento delle situazioni di perdita effettiva del posto di lavoro – la condizionalità a cui viene assoggettato il trattamento di integrazione salariale non può essere la medesima a cui viene assoggettato il trattamento di disoccupazione: mentre infatti quest’ultimo presuppone la disponibilità del percipiente per tutto quanto attiene alla ricerca del nuovo posto di lavoro, il trattamento CIG è finalizzato, al contrario, a evitare la migrazione del percipiente verso altre aziende e la conseguente dispersione di professionalità specifica. Appare dunque necessario che la condizionalità del trattamento CIG sia oggetto di una definizione sua propria, ben distinta e di contenuto diverso rispetto al trattamento di disoccupazione, come già nell’articolo 4, comma 40, della legge n. 92/2012 (disposizione, quest’ultima, che – in omaggio al principio della semplificazione, chiarezza e maggiore facilità di lettura del testo legislativo – meriterebbe di essere ripresa e inserita nel nuovo provvedimento, con abrogazione della fonte del 2012), con conseguente requisito di disponibilità del percipiente del trattamento CIG per corsi di formazione o aggiornamento professionale, nonché per eventuali tirocini. Corrispondentemente appare inopportuno che dell’attuazione di quest’altra condizionalità si faccia carico, o si faccia carico soltanto, ai Centri per l’Impiego: di questa funzione è logico che si facciano carico anche l’imprenditore stesso da cui il fruitore dell’integrazione salariale continua a dipendere e l’Inps, essendo cointeressati entrambi al corretto adempimento dell’obbligo di partecipazione alle iniziative di formazione e riqualificazione professionale eventualmente attivate. A questo proposito, nello stesso ordine di idee, si suggerisce anche l’opportunità di un coinvolgimento anche dei fondi interprofessionali nell’analisi del fabbisogno formativo e nell’erogazione dei corsi di formazione/aggiornamento professionale cui il sostegno del reddito può essere condizionato.

In tema di finanziamento delle prestazioni ordinarie e straordinarie della CIG, previste agli articoli 13 e 23 – che stabiliscono una riduzione della contribuzione gravante sulla retribuzione corrente, pari a circa un decimo rispetto all’entità del contributo ordinario attualmente in vigore, ma in riferimento alla sola CIGO e non alla CIGS – si fa notare che l’entità della riduzione è inferiore rispetto a quanto ci si può attendere, considerati gli intendimenti sottesi alla disposizione contenuta a questo proposito nella legge-delega.  Vero è che l’adempimento pieno di questa parte della delega, con la riduzione del contributo al livello necessario per coprire l’ammontare effettivo delle prestazioni a regime, in periodi non caratterizzati da grave crisi economica, pone il problema della copertura del cospicuo attivo gestionale che in tal modo verrebbe a perdersi (dai due ai tre miliardi di euro annui, negli esercizi precedenti al 2008). A questo riguardo si suggerisce al Governo di valutare l’opportunità di eliminare la sostanziale “tassa sul lavoro manifatturiero” che il contributo sovradimensionato ha fin qui configurato, con conseguente riduzione del cuneo contributivo che grava sulle buste-paga nel settore industriale. A tal fine di può pensare a un processo di graduale allineamento del contributo all’entità complessiva delle prestazioni della Cassa, che approdi a un meccanismo di aggiustamento periodico del contributo stesso in relazione all’andamento della gestione.

Si suggerisce inoltre di valutare l’opportunità di un superamento della differenza di contribuzione per la CIGO tra le imprese industriali di dimensioni minori, che godono di sgravi ed esenzioni, e quelle di dimensioni maggiori, poiché la differenziazione genera una distorsione del nostro sistema industriale, disincentivando la crescita delle aziende. Allo scopo, si invita pertanto il Governo a prevedere un’aliquota contributiva CIGO della medesima entità per tutti i tipi di aziende.

All’articolo 20, comma 5, si suggerisce di correggere la locuzione “dell’impresa” con “dall’impresa”.

Con riferimento alle disposizioni relative al trattamento di integrazione salariale straordinario (articoli 19-25), si osserva che all’articolo 21 non vengono menzionati i contratti di solidarietà c.d. espansivi. Tale omissione potrebbe far pensare ad una soppressione di questo tipo di contratto, se non fosse che all’articolo 44, dedicato alle abrogazioni, non è prevista l’esplicita abrogazione dell’articolo 2 della legge n. 863 del 1984, che istituisce appunto i contratti c.d. espansivi. In un’ottica di riordino normativo, si invita dunque il Governo a inserire nel nuovo testo legislativo la disposizione contenuta nel suddetto articolo 2 della legge del 1984 e ad esplicitare, all’articolo 44, l’abrogazione di quella norma.

In riferimento al Titolo II, in tema di fondi di solidarietà, è opportuno che il riferimento “all’impresa” venga sostituito sempre con il riferimento “al datore di lavoro”, potendo le singole disposizioni applicarsi anche ad associazioni, studi professionali, fondazioni o altri enti morali.

Inoltre, all’articolo 26, comma 9, si suggerisce uno snellimento e chiarimento della disciplina relativa a finalità, strumenti e prestazioni ulteriori, rispetto a quella previgente contenuta nella legge n. 92/2012, nonché l’esplicito raccordo delle disposizioni contenute in questo comma con quelle previste all’articolo 32 in tema di prestazioni ulteriori, anche al fine di evitare duplicazioni.

In riferimento all’articolo 27, comma 1, si suggerisce di semplificare la disposizione, snellendo la formulazione in particolare nella parte relativa alle finalità e riferendola ai soli settori nei quali sono stati costituiti fondi bilaterali alternativi.

In riferimento allo stesso comma 1 dell’articolo 27, si suggerisce di menzionare esplicitamente la possibilità di utilizzare il fondo di cui all’articolo 12 del d.lgs. n. 276 del 2003, sia richiamandolo nel comma, così colmando una lacuna della legge n. 92/2012, sia consentendo la possibilità per le parti sociali di destinare quota parte della contribuzione complessiva a tale fondo per il finanziamento del fondo di solidarietà, così come avviene per gli altri fondi con finalità formative richiamati nell’articolo in questione. In tal caso, occorrerebbe consentire alle parti di concordare che il contributo sia posto a carico del solo datore di lavoro, valutando altresì, in considerazione della peculiarità delle funzioni proprie del fondo Formatemp, nonché di quelle proprie del settore della somministrazione di lavoro, l’opportunità ed evidente maggiore equità di una riduzione dell’aliquota minima di contribuzione rispetto a quella prevista per i fondi alternativi in generale, qualora essa venga posta esclusivamente a carico del datore di lavoro.

Nello stesso articolo 27, in combinato disposto con apposito comma da inserire nell’articolo 32 (v. infra) è opportuno consentire esplicitamente ai fondi bilaterali alternativi di fornire prestazioni ulteriori, aventi le finalità di cui all’articolo 26, comma 9 lettere a) e b).

Ancora in riferimento all’articolo 27, al fine della maggiore chiarezza della disposizione si suggerisce la suddivisione del comma 3 in due commi, di cui uno dedicato alla definizione delle prestazioni; si suggerisce inoltre di collocare le lettere a) e b) in due alinea distinti, di cui uno dedicato all’adeguamento del fondo alle disposizioni previste.

In riferimento all’articolo 28 si propone di riportare una disposizione attualmente collocata nelle norme transitorie e finali, in modo che risulti più chiara la disciplina della transizione tra fondo residuale e FIS; questa correzione implica, ovviamente, la contestuale modifica dell’articolo 43, con eliminazione del comma 6. Si sottolinea inoltre l’esigenza di una disposizione che consenta l’equilibrio delle diverse gestioni, anche con riduzione dei contributi riscossi dall’Inps per il finanziamento dei fondi di solidarietà, qualora in futuro – come è assai possibile che avvenga – si dovessero registrare avanzi di gestione pluriennali: anche in riferimento a questa materia è necessario evitare che il sovrappiù di contribuzione riscosso dall’Inps per prestazioni temporanee finisca coll’essere utilizzato come sostegno strutturale al sistema pensionistico generale.

Nell’articolo 28, comma 1, si suggerisce di:

– chiarire che la disposizione si riferisce ai datori di lavoro appartenenti ai settori indicati; per questo è opportuno aggiungere, dopo le parole iniziali “Nei riguardi dei”, le seguenti: “datori di lavoro appartenenti a”;

– inoltre, sempre in funzione di una maggiore precisione e univocità della disposizione, aggiungere, dopo le parole “fondi di solidarietà bilaterali di cui all’articolo 26”, le parole: “o fondi di solidarietà bilaterali alternativi di cui all’articolo 27”.

All’articolo 28, comma 2, si propone di modificare l’articolato, prevedendo che, nel caso di opting out dal Fondo residuale (e in futuro dal Fondo di integrazione salariale – FIS), il contributo sia almeno pari a quello gravante sui datori di lavoro – che abbiano da 6 a 15 dipendenti – aderenti al FIS (0,45%) e si garantisca la prestazione dell’assegno ordinario. Sul primo aspetto, nello schema di decreto si fa riferimento al contributo (sempre 0,45%) minimo previsto per i fondi alternativi, mentre sarebbe opportuno riferirsi al FIS, constatato che la divisione della contribuzione tra datore e lavoratore nel residuale/FIS e nei fondi di cui all’articolo 26, è la medesima, mentre nei fondi alternativi è lasciata alla determinazione alle parti. Sul secondo aspetto, si propone l’applicazione integrale – come si è testé detto – della disciplina di cui all’articolo 26 e con una contribuzione minima pari a quella minima prevista per il FIS in modo da scoraggiare una possibile forma di social dumping. Si suggerisce inoltre di specificare a chi (più precisamente: se al ministero del Lavoro e delle politiche sociali,  o al ministero dell’Economia e delle Finanze, o a entrambi) il Comitato amministratore del fondo residuale, sulla base delle stime effettuate dall’INPS, possa, in caso di opting out, proporre il mantenimento, in capo ai datori di lavoro del relativo settore, dell’obbligo di corrispondere la quota di contribuzione.

Al medesimo comma, si suggerisce infine di chiarire che dalla data di decorrenza del nuovo fondo i datori di lavoro del relativo settore rientrano nell’ambito di applicazione di questo.

All’articolo 28, comma 3, si propone di semplificare la formulazione, operando semplicemente un rinvio all’articolo 36, che regola composizione e compiti del comitato amministratore.

In riferimento all’articolo 29, si suggerisce di chiarire che le disposizioni in esso contenute sono aggiuntive rispetto a quelle che disciplinano il fondo residuale.

Nell’articolo 29, comma 5, si suggerisce di chiarire esplicitamente il necessario coordinamento con quanto disposto nell’articolo 36 in tema di comitato amministratore.

Con riferimento all’articolo 30, si suggerisce di modificare l’articolato inserendo in questo punto del testo la disciplina ora prevista al comma 2 nell’articolo 39, poiché il riferimento è soltanto all’assegno ordinario e non all’assegno di solidarietà.

Con riferimento all’articolo 32, comma 1, si suggerisce di modificarne il testo, raccordando le disposizioni presenti in questo comma con quelle previste all’articolo 26 comma 9, evitando così inutili duplicazioni.

Ancora nell’articolo 32 – come già esposto in riferimento all’articolo 27 – si suggerisce di inserire un comma che consenta ai fondi bilaterali alternativi di fornire prestazioni ulteriori, aventi le finalità di cui all’articolo 26, comma 9 lettere a) e b).

All’inizio dell’articolo 33 si suggerisce, per maggiore chiarezza della disposizione, di inserire le parole: “Fatta salva la disposizione di cui all’articolo 29, comma 8, secondo periodo, in materia di contributo addizionale a carico dei datori di lavoro”.

In riferimento alla composizione del comitato amministratore di cui all’articolo 36, comma 2, si segnala la necessità di consentire che il numero dei suoi membri superi il limite dei dieci, quando le parti istitutive siano più numerose. Si suggerisce dunque di aggiungere, dopo le parole “in numero complessivamente non superiore a dieci,”, le seguenti: “o nel maggior numero necessario a garantire le rappresentanze di tutte le parti sociali istitutive del fondo”. Nel medesimo comma, si suggerisce di chiarire che i requisiti di onorabilità previsti, a pena di decadenza (e, si suggerisce di aggiungere, ineleggibilità) all’articolo 38, si applicano anche ai rappresentanti, con qualifica di dirigente (formulazione più corretta di quella attualmente adottata di “funzionari con qualifica di dirigente”), del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministero dell’Economia e delle Finanze.

All’articolo 43, comma 1, se non fosse che la legge-delega prevede esplicitamente l’azzeramento del periodo di vacatio legis, andrebbe sottolineata l’opportunità di mantenere invariato il periodo ordinario di 15 giorni tra la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e l’entrata in vigore, al fine di consentire la presa di conoscenza del testo del decreto da parte di tutti i soggetti interessati. In riferimento al comma 7, e in particolare alla soppressione ivi prevista del comma 22 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (e dunque dello stanziamento ivi previsto), si osserva che tale disposizione appare eccedente rispetto al contenuto della delega legislativa, oltre che rispetto alla materia del decreto in esame, trattandosi di stanziamento riferito ai call center.

In riferimento all’articolo 44, comma 3, si segnala la necessità logica che venga abrogato l’intero articolo 5 del decreto-legge 19 luglio 1993 n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993 n. 236, e non soltanto i suoi commi da 5 a 8.

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In riferimento al nuovo assetto complessivo degli ammortizzatori sociali, è stata sollevata da diverse parti la questione circa la garanzia di continuità del reddito per i lavoratori stagionali, ai quali la nuova assicurazione contro la disoccupazione non offre più il sostegno del reddito senza soluzione di continuità. Al riguardo si osserva in primo luogo che un ritorno alla disciplina precedente della materia si porrebbe evidentemente in contraddizione con l’intendimento complessivo della riforma degli ammortizzatori sociali, nel senso del progressivo superamento di ogni forma di sostegno del reddito che possa costituire incentivo, sia pure parziale, al mantenimento dello stato di disoccupazione o comunque a una rinuncia alla ricerca di un’occupazione regolare. Per converso si osserva che sarebbe pienamente coerente con gli obiettivi della riforma l’introduzione di un incentivo alla contrattazione collettiva di secondo livello (per esempio di livello regionale, ma anche aziendale) che preveda la trasformazione dei contratti a termine stagionali in contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, che prevedano l’alternarsi di periodi di lavoro a tempo pieno nei periodi dell’anno nei quali la domanda è più forte e periodi a tempo parziale nei periodi nei quali essa è più debole.

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Ancora in riferimento all’assetto generale degli ammortizzatori sociali, si suggerisce al Legislatore-delegato di valutare l’opportunità di esplicitare in apposita disposizione legislativa l’esenzione da contribuzione previdenziale – già peraltro desumibile, ma solo in via di interpretazione, dalla legislazione previgente – per i trattamenti complementari di disoccupazione, che vengano pattuiti sia in sede collettiva, soa om sede individuale.

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Per finire, la Commissione segnala la necessità, al fine di consentire l’analisi e il monitoraggio degli interventi di politica attiva e passiva del lavoro previsti dai decreti legislativi di attuazione della legge-delega 10 dicembre 2014 n. 183, che ai soggetti tecnici svolgenti funzioni di coordinamento della politica economica e di monitoraggio delle riforme del mercato del lavoro venga consentito l’accesso diretto, anche attraverso procedure di accesso remoto, ai cosiddetti “microdati” ( ovvero dati elementari, sia amministrativi sia campionari) in qualunque modo rilevanti a tali fini, detenuti da vari istituti ed enti pubblici quali, tra gli altri, l’Istat, l’Inps e l’Agenzia delle entrate, ovviamente nel rigoroso rispetto di tutte le disposizioni poste a protezione del diritto alla riservatezza delle persone. A questo fine, e in piena congruità con l’obiettivo dell’affermazione nel nostro Paese della cultura della misurazione e valutazione degli effetti delle politiche pubbliche, cui si ispira esplicitamente anche la stessa legge-delega n. 183/2014, è indispensabile una disposizione di carattere generale, che potrà essere utilmente inserita in questo decreto attuativo della legge medesima o in quello relativo ai servizi per l’impiego.

Roma, 23 luglio 2015