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IL LAVORO PARASUBORDINATO ORGANIZZATO DAL COMMITTENTE

UN CONTRIBUTO ALLA INTERPRETAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL QUARTO DECRETO ATTUATIVO DELLA LEGGE-DELEGA, CHE RIDEFINISCE I CONFINI DEL CAMPO DI APPLICAZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO ALLARGANDOLO AL “LAVORO ETERO-ORGANIZZATO”

Intervento in via di pubblicazione sulla rivista on line diretta da Antonio Vallebona, Colloqui giuridici sul lavoro, ottobre 2015.

Sommario
1. I lavori preparatori
2. Il contenuto della nuova norma e la nuova nozione di “etero-organizzazione”
3. L’effetto pratico più rilevante della nuova norma
4. Un perfezionamento possibile della nuova fattispecie, in sede di interpretazione del nuovo ordinamento, in riferimento al mondo del telelavoro

 

  1. I lavori preparatori

L’intendimento originario espresso dal Presidente del Consiglio nell’estate 2014 era nel senso di un superamento netto della figura del lavoratore parasubordinato e della ricomprensione di questa figura nell’area di applicazione di una nuova disciplina del lavoro, semplificata e alleggerita a sufficienza per poter essere estesa a tutti coloro la cui prestazione si svolga in condizione di sostanziale dipendenza (il Codice semplificato del lavoro). Strada facendo, questo progetto si è ridimensionato, perché per un verso l’idea del Codice semplificato ha incontrato resistenze molto forti in seno all’apparato di vertice del ministero del Lavoro, per altro verso si è dovuto prendere atto della difficoltà di trovare una definizione del lavoro parasubordinato che non lasciasse spazi eccessivi di incertezza in sede di applicazione.

Nella fase di discussione su quest’ultimo punto è stata innanzitutto scartata l’idea – contenuta nel primo progetto del Codice semplificato (d.d.l. n. 1873/2009 e 1006/2013) e fatta in gran parte propria dalla legge Fornero del 2012, ma da questa attuata in modo troppo macchinoso – di individuare gli elementi essenziali della fattispecie della “dipendenza” giuridicamente rilevante nel carattere di durata della prestazione personale, nella condizione di monocommittenza del prestatore e nel livello medio-basso della retribuzione. Escluso dunque di attribuire rilievo giuridico a circostanze esterne, ovvero alla qualificazione economica del rapporto, ci si è subito scontrati con la difficoltà di individuare il tratto essenziale della dipendenza in un dato inerente alla struttura giuridica della prestazione lavorativa. Nello schema di decreto approvato dal Governo il 20 febbraio 2015 e presentato al Parlamento il 10 aprile si è scelto, in ossequio a un’indicazione proveniente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (da ultimo la sentenza 4 dicembre 2014, in RIDL 2015, n. 2, con un mio commento), di imperniare la definizione sull’elemento della “etero-organizzazione”, che può considerarsi sinonimo del “coordinamento”. Senonché da decenni ormai la dottrina aveva posto in rilievo l’impossibilità di distinguere quest’ultimo elemento da quello della continuità della prestazione lavorativa nel tempo: dove c’è questa, c’è sempre un qualche coordinamento della prestazione con l’organizzazione aziendale del creditore.

Constatato lo scarsissimo, per non dire nullo, valore definitorio di questo elemento, in un primo tempo si è ritenuto opportuno aggiungerne un altro per restringere la nozione: nella definizione proposta nello schema di decreto si è scelto, così, di coniugare l’etero-organizzazione con il carattere ripetitivo dell’attività oggetto della prestazione. Ma ancora una volta non si è tardato a rendersi conto dello scarsissimo valore definitorio anche di quest’ultimo elemento (una qualche ripetitività si può ben ravvisare in qualsiasi prestazione connotata da un qualche contenuto professionale).

Sul punto è intervenuta la Commissione Lavoro del Senato, nel parere espresso il 13 maggio 2015 sullo schema di decreto, con queste osservazioni: “La Commissione ribadisce la necessità di una formulazione più certa dell’articolo 47 [corrispondente all’articolo 2 nel testo definitivo del decreto] correlandolo con l’art. 2094 del c.c. In particolare, si ritiene necessario eliminare il criterio del “contenuto ripetitivo” della prestazione lavorativa e di integrare il criterio relativo alle modalità di esecuzione con la precisazione che devono essere organizzate unilateralmente dal committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro.

  1. Il contenuto della nuova norma e la nuova nozione di “etero-organizzazione”

L’orientamento espresso dalla Commissione Lavoro del Senato è stato recepito puntualmente dal legislatore delegato nel decreto legislativo n. 81/2015, che ha soppresso il requisito della ripetitività e ha precisato meglio quello della etero-organizzazione, nel senso che questa si configura là dove la prestazione sia soggetta alla determinazione del creditore per ciò che riguarda il luogo e il tempo del suo svolgimento. La soppressione, nel testo legislativo, dell’avverbio “unilateralmente” che compare nel parere del Senato è stata spiegata con il suo carattere pleonastico: se è il creditore a “organizzare”, non occorre specificare che il suo intervento sulle modalità della prestazione è unilaterale. Dunque, l’elemento essenziale della fattispecie è costituito dal fatto che sia il creditore della prestazione a determinarne (non necessariamente il contenuto e le modalità interne quotidie et singulis momentis, poiché l’etero-organizzazione non equivale alla etero-direzione, ma) almeno il luogo e il tempo: il prestatore non è libero di svolgere la prestazione dove e quando vuole.

La formulazione adottata nel nuovo testo legislativo lascia aperto un dubbio sul punto se questo nuovo elemento essenziale della fattispecie – l’etero-organizzazione – consista nel dato storico di un comportamento osservabile delle parti, cioè nel fatto che il creditore eserciti questo potere e il prestatore vi si assoggetti, oppure in un dato giuridico, ovvero nella disposizione contrattuale che attribuisca al creditore questo potere. Ben sappiamo, però, come questa distinzione perda valore pratico in conseguenza del riferimento prioritario che – soprattutto ma non soltanto in materia di lavoro – il giudice deve fare al comportamento effettivo delle parti nell’esecuzione del contratto per individuare il suo contenuto effettivo, cioè l’effettiva loro volontà negoziale circa la struttura della prestazione, quale che sia il contenuto formale della loro dichiarazione verbalizzata nell’atto costitutivo del rapporto.

La nuova norma stabilisce che al rapporto di lavoro caratterizzato – oltre che dal carattere esclusivamente personale e dalla continuità – anche dall’etero-organizzazione “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. L’oggetto della prestazione, dunque, non viene autoritativamente trasformato in lavoro subordinato, cioè assoggettato pienamente a eterodirezione, ma viene soltanto assoggettato alla disciplina propria del lavoro subordinato. Ciò significa che il lavoratore etero-organizzato non ha lo stesso obbligo di obbedienza che incombe sul lavoratore subordinato: per questo resta, tecnicamente, “autonomo”; ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie, cessazione e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo.

  1. L’effetto pratico più rilevante della nuova norma

Sul piano pratico, la nuova norma farà sì che non si possa più assumere come collaboratore autonomo il magazziniere o la segretaria d’ufficio; neanche inventandosi un “progetto”. E questo è certamente un apprezzabile fattore di chiarezza. Ma – come vedremo meglio tra breve – non vengono affatto soppresse le collaborazioni autonome continuative: dove il prestatore sia libero nella determinazione del luogo e del tempo della prestazione esse continuano a essere praticabili, e d’ora in poi senza necessità di collegamento a un “progetto” e con piena libertà di scelta delle parti circa la loro durata a tempo indeterminato o a termine.

Quanto al requisito del carattere “coordinato” della prestazione cui fa riferimento l’articolo 409 n. 3 c.p.c., resto dell’opinione espressa e argomentata in una monografia vecchia ormai di un quarto di secolo, e non solo mia, secondo cui l’espressione “coordinata e continuativa” costituisce un’endiadi: il primo termine non ha un apprezzabile contenuto definitorio distinto e aggiuntivo rispetto al secondo. D’ora in poi, comunque, quell’espressione conserva il proprio rilievo soltanto sul piano processuale – insieme al riferimento al carattere “prevalentemente personale” della prestazione – per la determinazione del campo di applicazione del rito speciale. Sul piano della disciplina sostanziale del rapporto l’elemento essenziale, insieme a quello del carattere esclusivamente personale, è quello dell’etero-organizzazione come definito dall’articolo 2 del decreto legislativo qui in esame.

Con la nuova norma il campo di applicazione del diritto del lavoro si allarga dunque al di fuori dell’area della “subordinazione” definita dall’articolo 2094 del Codice civile, per ricomprendere anche l’insieme di tutti i rapporti di collaborazione esclusivamente personale a carattere continuativo, assoggettati al potere organizzativo del creditore e in particolare al suo potere di determinare tempi e luogo della prestazione. Al di là dei casi particolari, di confine, sui quali dottrina e giurisprudenza continueranno ad affaticarsi, l’effetto pratico di gran lunga più sicuro e più rilevante sarà presumibilmente quello dell’applicazione del diritto del lavoro a tutti i rapporti di collaborazione esclusivamente personale, continuativa, e svolta “dentro l’azienda”. Con questo si torna alle origini del nostro diritto del lavoro, quando, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la legge n. 80/1898 sull’assicurazione infortuni definiva il proprio campo di applicazione facendo riferimento alla dislocazione fisica del prestatore «negli opifici industriali» o «nelle miniere, cave e torbiere» (articolo 1), o comunque «fuori della propria abitazione» (articolo 2): e la legge n. 242/1902 sul lavoro delle donne e dei fanciulli, poi la legge n. 489/1907 sul riposo settimanale, si applicavano a chi lavorasse «negli opifici industriali», senza distinzione tra “subordinati” e no.

Quale sarà l’impatto quantitativo della nuova norma sulla diffusione delle collaborazioni continuative non assoggettate al diritto del lavoro? Non è azzardato prevedere che dal 2016, quando la nuova norma incomincerà a produrre i suoi effetti, quel tipo di rapporto subirà una drastica contrazione ulteriore, rispetto a quella già registratasi nell’ultimo decennio, all’interno delle aziende; ma non al di fuori del loro perimetro, dove l’imprenditore interessato a evitare l’applicazione delle protezioni lavoristiche non avrà difficoltà a chiarire nel testo scritto del contratto la libertà del prestatore nella determinazione di tempo e luogo della prestazione, e poi fare in modo che lo svolgimento effettivo del rapporto non contraddica questa pattuizione.

La riduzione drastica del numero assoluto delle collaborazioni continuative autonome e della relativa percentuale sul totale degli occupati che si è registrata dal 2004 è molto probabilmente dovuta al requisito del “progetto” imposto dalla legge Biagi del 2003 e poi alle restrizioni ulteriori poste dalla legge Fornero nel 2012 (piaccia o non piaccia a coloro che hanno sparato a zero da sinistra contro queste due leggi). Ora, curiosamente, nonostante l’intendimento originario del Presidente del Consiglio di dare un taglio netto al lavoro precario addirittura abolendo la figura del lavoro parasubordinato, il legislatore delegato del 2015 ha abrogato sia le restrizioni poste in materia di collaborazioni autonome continuative con la legge Biagi, sia quelle poste con la legge Fornero. Quando la prestazione si svolga al di fuori del perimetro aziendale, torna dunque possibile per le imprese private l’ingaggio di collaboratori continuativi, a tempo indeterminato o a termine, purché non soggetti a vincolo di orario, e comunque liberi di svolgere la prestazione nel luogo che preferiscono.

  1. Un perfezionamento possibile della nuova fattispecie, in sede di interpretazione del nuovo ordinamento, in riferimento al mondo del telelavoro

Il risultato della nuova norma è dunque quello di porre un confine, un po’ meglio definito di quanto lo sia stato fin qui, tra area di applicazione della protezione piena e area della collaborazione continuativa che soggetta alla disciplina del lavoro autonomo. Con l’effetto di impedire, dentro il perimetro aziendale, le forme di elusione del diritto del lavoro più evidenti e smaccate, di cui ho fatto cenno sopra; ma anche con l’effetto, almeno tendenziale, di consentire l’esenzione dall’applicazione del diritto del lavoro per tutto il mondo delle collaborazioni di natura post-industriale, suscettibili di essere svolte nella forma del c.d. telelavoro, in quanto aventi per oggetto una attività di gestione mediante strumenti informatici di flussi di informazioni, che non richiede per essere svolta uno stretto coordinamento spazio-temporale rispetto all’organizzazione aziendale del creditore.

In riferimento a questo mondo del tele-lavoro in progressiva espansione, mi permetto di suggerire che, in sede di interpretazione e applicazione della nuova norma, ci si orienti a ravvisare l’elemento dell’“etero-organizzazione”, essenziale ai fini dell’applicazione del diritto del lavoro, anche in tutti i casi in cui il prestatore sia vincolato all’utilizzazione del programma informatico scelto e/o fornito dal creditore. In altre parole, nel mondo del web il lavorare “dentro l’organizzazione” del creditore si concreta, in questo ordine di idee, nel lavorare dentro il suo sistema informatico; mentre, viceversa, là dove il luogo fisico dello svolgimento della prestazione personale diventa del tutto irrilevante, il tratto caratteristico dell’autonomia che comporta l’esenzione dalle protezioni lavoristiche può essere ragionevolmente ravvisato nella libertà effettiva di scelta del software da parte del prestatore.

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