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SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI: DUE ARTICOLI DI OTTO ANNI FA

L’OBBLIGO DI COMUNICARE PREVENTIVAMENTE AL DATORE DI LAVORO L’ADESIONE INDIVIDUALE ALL’AGITAZIONE SAREBBE GIA’ AGEVOLMENTE DESUMIBILE DALLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 21 luglio 2000

          Lo sciopero dei trasporti pubblici milanesi di mercoledì ha riproposto una domanda che da tempo l’uomo della strada si pone: è mai possibile che di fronte alla proclamazione di uno sciopero da parte di una organizzazione sindacale, quale che essa sia, l’azienda che gestisce il servizio non sia in grado di prevedere e comunicare per tempo agli utenti quali mezzi funzioneranno e quali no? La legge stabilisce che lo sciopero deve essere proclamato dall’organizzazione sindacale con un congruo preavviso, in modo che l’azienda possa informarne per tempo gli utenti; ma la stessa legge non dice che anche i singoli lavoratori debbano comunicare all’azienda con congruo preavviso se aderiranno a quello sciopero oppure no. È potuto accadere, così, che una organizzazione minoritaria (lo Slai-Cobas, cui aderisce soltanto l’11% dei dipendenti dell’ATM) proclamasse uno sciopero non voluto dalle confederazioni maggiori, ma che a quello sciopero aderisse poi la maggioranza dei lavoratori, con il risultato di prendere alla sprovvista l’azienda e gli utenti.

              Il problema sarebbe agevolmente risolvibile, anche senza necessità di un nuovo intervento legislativo, sulla base del codice civile e del buon senso. Basterebbe che, ai fini della corretta e tempestiva informazione degli utenti, quando possano sorgere dubbi sull’estensione delle adesioni a uno sciopero proclamato da una parte soltanto delle organizzazioni sindacali, l’azienda chiedesse preventivamente a ciascun lavoratore se intende aderirvi o no. Il lavoratore che rifiutasse di rispondere o fornisse una risposta non corrispondente al vero violerebbe certamente il principio di buona fede (applicabile in tutti i contratti a norma, appunto, del codice civile) e sarebbe pertanto passibile di sanzione disciplinare. D’altra parte, la legge sullo sciopero nei servizi pubblici non obbliga soltanto i sindacati e le aziende a garantire un trattamento civile degli utenti, ma anche i singoli lavoratori. Non si vede, dunque, perché essi non dovrebbero poter essere interpellati dal datore di lavoro circa le loro intenzioni riguardo allo sciopero proclamato da un sindacato, quando ciò sia necessario per la corretta informazione degli utenti.

              Certo, se un’indicazione in questo senso venisse anche dalla Commissione di Garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici, che ne avrebbe senz’altro la competenza, non guasterebbe. Ma le aziende non devono aspettare l’imbeccata della Commissione per fare tutto quanto è necessario, al fine di ridurre i disagi degli utenti in occasione degli scioperi.

              La gente si pone, poi, un’altra domanda: è giusto che uno sciopero suscettibile di paralizzare un’intera città possa essere proclamato da una organizzazione i cui iscritti sono soltanto l’11% del totale dei dipendenti dell’azienda interessata? Sul piano della possibile riforma legislativa, molte cose si potrebbero fare per risolvere in modo equo e opportuno questo problema; ma, ancora una volta, una soluzione almeno provvisoria sarebbe praticabile immediatamente, anche a legislazione invariata. Basterebbe che le Confederazioni maggiori, quelle che più hanno a cuore gli interessi della generalità dei cittadini e il buon rapporto fra lavoratori e utenti, accettassero di inserisse nei contratti collettivi per i settori dei pubblici servizi una disciplina rigorosa circa la proclamazione dello sciopero e l’adesione ad esso da parte dei lavoratori. Certo, questa disciplina non vincolerebbe i sindacati che non sottoscrivono il contratto collettivo. I singoli lavoratori, però, dovrebbero scegliere: o rifiutano il contratto, e allora rinunciano a tutti i benefici che esso comporta; oppure lo accettano, e allora si vincolano anche alle limitazioni che esso impone in materia di sciopero; e ne sono, a quel punto, responsabili sul piano civile e disciplinare.

              Quello che non può e non deve essere consentito è che un lavoratore si consideri “confederale”, con conseguente iscrizione a Cgil, Cisl o Uil, quando si tratta di beneficiare del contratto collettivo negoziato dalle grandi confederazioni, ma si consideri “autonomo” quando si tratta di aderire allo sciopero proclamato dallo Slai-Cobas contro la volontà e le scelte responsabili di Cgil, Cisl e Uil.

 

PERCHE’ IL DIRITTO DI SCIOPERO NON SI TRASFORMI IN UN POTERE DI VETO IN MANO AI SINDACATI MINORITARI

Estratto da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 agosto 2000

              Una misura elementare per alleviare i disagi degli utenti causati dagli scioperi nei servizi pubblici – soprattutto degli scioperi proclamati da comitati di base o sindacati minoritari – consisterebbe nel chiedere ai singoli lavoratori, subito dopo la proclamazione dello sciopero, se intendono aderirvi oppure no, in modo da poter predisporre le opportune misure organizzative e informare con precisione il pubblico sugli effetti dell’agitazione. Che a questa misura si oppongano i comitati di base e i sindacatini autonomi, è naturale; che vi si oppongano anche i grandi sindacati confederali, un po’ meno. Il vero motivo di questa opposizione sta probabilmente nel fatto che la dichiarazione di adesione comporta una assunzione di responsabilità individuale un po’ più difficile e impegnativa di quanto non sia il puro e semplice starsene a casa il giorno dello sciopero; e questo può costituire un problema anche per i sindacati confederali, quando anch’essi ricorrono a questa forma di lotta. Ma, se è così, questo non equivale a considerare i lavoratori come gregge, invece che come persone responsabili e mature? Come si concilia questo atteggiamento con l’affermazione e la difesa intransigente della dignità dei lavoratori?