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PERCHÉ RENZI DICE NO A BOERI

IL PROGETTO DEL PRESIDENTE DELL’INPS, A CONTI FATTI, GENEREREBBE RISPARMI MOLTO INFERIORI RISPETTO AI COSTI, IN TERMINI DI FIDUCIA DEGLI ITALIANI CIRCA IL SUPERAMENTO DELLA FASE DELL’INSTABILITÀ

Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 367, ripreso sul sito ilfoglio.it il 7 novembre 2015 .

I miei sette lettori e mezzo sanno bene che nel periodo della “rivoluzione” monti-forneriana ho preso posizione in modo molto netto [1] a sostegno dell’operazione che oggi Tito Boeri ripropone dal suo scranno di presidente dell’Inps: imporre un contributo sulla parte delle pensioni d’oro che non è stata “guadagnata”, cioè che non corrisponde ai contributi effettivamente versati. Ho il dovere di spiegare il motivo per cui oggi, a quattro anni di distanza, mi sono convinto delle ragioni che inducono il Presidente del Consiglio a respingere il progetto Boeri. In qualsiasi ordinamento civile, decurtare le pensioni è un’operazione che si può e deve fare soltanto in due casi: in una situazione di bancarotta, o in una situazione rivoluzionaria. Nel 2011-2012 sussistevano sia la prima condizione, sia in qualche misura la seconda (non nel senso in cui la intende Silvio Berlusconi [2], ma nel senso della rivoluzione delle nuove generazioni contro la prepotenza delle precedenti); senonché l’operazione di tosatura della parte non guadagnata delle pensioni d’oro è complessa: non la si può compiere in quindici giorni, quanti ne ha avuti a disposizione la neo-ministra Fornero alla fine del 2011. Bene fece dunque il Governo Monti a concentrarsi sulla parte essenziale della rivoluzione contro i privilegi dei cinquanta-sessantenni, limitandosi a deindicizzare per qualche anno le pensioni medio-alte. Oggi la situazione è molto diversa: il problema cruciale oggi è indurre gli italiani a rimettere in circolazione i 500 miliardi di euro che tengono sotto il materasso per paura di possibili sconquassi. Per indurli a farlo occorre convincerli che la stagione del rischio di bancarotta e della conseguente necessaria rivoluzione è ormai alle spalle, che si è di nuovo in una situazione di normalità, nella quale il sistema della previdenza torna a svolgere la funzione essenziale di garantire sicurezza per il futuro. Imporre un contributo sulla parte non guadagnata delle pensioni d’oro potrebbe fruttare al massimo un miliardo; ma costerebbe molto di più in termini di percezione diffusa di una perdurante instabilità del sistema, quindi di ritardo nel recupero della necessaria fiducia dei consumatori.

P.S. Il discorso, sia ben chiaro, non riguarda i vitalizi dei parlamentari e consiglieri regionali e le pensioni ottenute dagli ex-sindacalisti con i contributi figurativi regalati loro dalla legge Mosca (n. 252/1974): in questo caso, trattandosi di benefici che il ceto dei politici e dei sindacalisti si è auto-assegnato, tosare la parte di pensione non corrispondente ai contributi versati non contraddice affatto la strategia volta a ripristinare la fiducia degli italiani nelle sorti del Paese. Anzi, a ben vedere vi contribuisce.

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