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LIBERO: CHE SENSO HA CENTRALIZZARE, SE IL CENTRO POI ABDICA SENZA UN PROGETTO?

LO STATO DELLA RETE DEI CENTRI PER L’IMPIEGO È MOLTO GRAVE – È NECESSARIO UN PIANO NAZIONALE PER IL RILANCIO DI QUESTI SERVIZI, NELL’ALVEO DEL QUALE SI COLLOCHINO LE CONVENZIONI CON LE REGIONI, FISSANDO CRITERI DI GESTIONE E OBIETTIVI MISURABILI E VERIFICABILI

Intervista a cura di Attilio Barbieri, pubblicata da Libero il 13 novembre 2015.

Parliamo delle convenzioni Stato-Regioni necessarie per far partire le politiche attive. Lei ha criticato quella della Toscana perché troppo generica e priva di obiettivi verificabili. In che senso?
Seguo il filo della riforma entrata in vigore a settembre, che si propone di anticipare l’effetto della riforma costituzionale ancora in itinere: riaccentrare le competenze in materia di servizi al mercato del lavoro per ricostruire quasi da zero un sistema che stava già malissimo alla fine del secolo scorso, e che nel quindicennio di affidamento alla competenza regionale non è affatto migliorato.

E dunque?
Mi sarei atteso che, nel restituire ad alcune Regioni questa competenza, le convenzioni stipulate dal Governo indicassero innanzitutto gli stanziamenti di risorse necessari: questo punto è invece curiosamente lasciato in bianco. Inoltre, che stabilissero dei criteri di gestione, delle linee-guida e degli obiettivi precisi di recupero di efficienza ed efficacia del servizio. Nella convenzione toscana restano indeterminati sia i modi di gestione del personale dei Centri per l’Impiego, sia gli obiettivi. Se tutte le convenzioni fossero così, ci si dovrebbe chiedere perché mai il legislatore abbia riaccentrato le competenze su questa materia, per poi decentrarle di nuovo senza l’indicazione di alcun nuovo contenuto.

Da quel che ci risulta, però, l’Emilia Romagna è in procinto di presentare una convenzione con riferimenti espliciti al modello concorrente della Lombardia, in cui le agenzie per il lavoro sono vincolate al successo – la ricollocazione del disoccupato – per percepire il voucher. Come giudica questa scelta?
Questa è una scelta compiuta già nel Jobs Act, sia in sede di delega, sia in sede di decreto attuativo. Ma ribadire questa scelta evidentemente non basta: anche la convenzione con l’Emilia Romagna, a mio avviso, presenta lo stesso difetto di criteri di ricostruzione del sistema e di obiettivi precisi, che vedo in quella toscana. Niente di irreparabile, certo; ma il mio auspicio è che queste convenzioni non significhino soltanto “dei Centri per l’Impiego ve ne occupate voi, noi (a Roma) ce ne laviamo le mani”.

Non c’è il rischio che si verifichi una situazione a pelle di leopardo? Da una parte le Regioni che partono bene sulle politiche attive e dall’altra quelle che rischiano di restare indietro…
Forse il rischio vero non è questo. Perché probabilmente alle Regioni che fin qui hanno dato prova peggiore di sé il Governo non riassegnerà la competenza con la delega. Quelle Regioni stesse, del resto, non lo chiederanno.

Il rischio vero, allora, secondo lei qual è?
È che venga a mancare un progetto operativo nazionale per la riorganizzazione, il potenziamento, la riqualificazione della rete nazionale dei Centri per l’Impiego, che oggi versa in uno stato di abbandono. Ben venga la disponibilità delle Regioni più capaci, su questo terreno; guardi, però, che i Centri per l’Impiego oggi stanno malissimo anche in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Se la disponibilità di queste Regioni non è incanalata nell’alveo di un vero e proprio “piano industriale” unitario che miri a voltar pagina rispetto a sei decenni di inefficienza diffusa e radicata, rischiamo che le cose non migliorino affatto, neanche dove le cose vanno un po’ meglio della media nazionale.

Per acquisire lo status di disoccupato sarà sufficiente l’iscrizione on line al portale per le politiche attive del lavoro. A quel punto in cosa consisterà l’attività di accertamento svolta dai centri pubblici per l’impiego sullo status di disoccupato della persona che dovranno convocare?
Nel disegno della riforma, ai Centri per l’Impiego compete di verificare – anche e soprattutto dopo l’iscrizione – che la persona iscritta sia davvero disponibile per una nuova occupazione e la cerchi attivamente. Questo è un compito non puramente burocratico, che implica capacità di valutazione equilibrata e al tempo stesso rigorosa, caso per caso. Ma presuppone anche che il disoccupato sia assistito giorno per giorno da qualcuno che gli indichi degli itinerari di riqualificazione e gli offra delle opportunità. Per questo è necessario il contratto di ricollocazione, con il coinvolgimento delle agenzie private specializzate; è necessario, però, anche un Centro per l’Impiego che sappia e voglia svolgere il ruolo di garante e al tempo stesso il ruolo di controllore, che in quel contratto gli compete, sui comportamenti delle altre due parti: l’agenzia e la persona assistita.

Sempre a proposito dei centri pubblici, colpisce la lettera dell’operatrice di Treviso che lei ha pubblicato sul suo sito e nella sua newsletter settimanale, da cui emerge una situazione inquietante: non si arresta la fuoriuscita di personale con competenze insostituibili. Il rischio è di trovarsi con strutture impoverite anziché rafforzate. Cosa dovrebbe fare il governo?
I senatori di maggioranza della Commissione Lavoro hanno presentato nei giorni scorsi un’interpellanza al Governo proprio per sollecitare un dibattito aperto sui criteri di implementazione della riforma, per questo aspetto. Occorre innanzitutto una ricognizione ben fatta dello stato attuale dei Centri per l’Impiego e della rete di società controllate dalle Province, indispensabile per individuare e tagliare in modo rigoroso gli sprechi, che si annidano soprattutto in queste seconde, ma al tempo stesso di individuare le carenze di personale e di risorse. Su questa base si potrà disegnare il necessario piano di investimento per il rilancio di questa funzione pubblica essenziale.