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PERCHÉ GETTARE LA CHIAVE PUÒ ESSERE UN DELITTO PEGGIORE

ANCORA SUL 41-BIS COME FORMA DI LEGITTIMA DIFESA DELLA SOCIETÀ DAL CRIMINE ORGANIZZATO: IL PROBLEMA È STABILIRE, CASO PER CASO, IL CONFINE TRA LEGITTIMA DIFESA PROPORZIONATA AL RISCHIO DELL’OFFESA ED ECCESSO DI LEGITTIMA DIFESA

Lettere di Carmelo Musumeci, che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Padova, pervenute rispettivamente il 28 novembre e il 2 dicembre 2015, a seguito dello scambio della settimana scorsa [1] in merito alla mia Lettera aperta [2] del 16 novembre – Seguono le mie due nuove risposte.

Professore, le parole che mi hanno particolarmente colpito in questa sua seconda lettera [1] sono: “Là dove sussistano i requisiti dell’immediatezza del pericolo e della proporzione tra misura difensiva e offesa, non mi sembra proprio che possa essere la misura difensiva a generare odio e risentimento perché è evidente che la misura difensiva costituisce un male minore rispetto all’offesa di cui incombe un rischio attuale”, perché penso che persino il peggiore criminale o mafioso o terrorista non potrebbe che essere d’accordo con Lei. Noi però stiamo parlando di persone che sono sottoposte al regime di tortura del 41 bis da decenni o di ergastolani che quando sono entrati in carcere avevano compiuto da poco diciotto anni e che hanno passato dentro più anni che fuori. Stiamo parlando di persone che sono cambiate (o che non cambiano perché se lo facessero non sarebbero creduti o soffrirebbero di più) e che non potranno mai dimostrarlo perché nel loro certificato di detenzione c’è scritto che la loro pena finirà nel 9.999. E in tutti i casi il rischio zero non esiste per nessuna persona, forse neppure per l’uomo papa Francesco perché siamo umani. In noi c’è il bene e il male e a volte sta anche alla società rischiare per tirarci fuori di più il bene. Professore, mi creda, il regime del 41 bis (quando non è più necessario) è una pena senza fine, ci fanno diventare vegetali quando ci va bene e più criminali di quando siamo entrati in carcere quando ci va male. Poi, se Lei cerca delle “giustificazioni” (io però non sono contrario alla legittima difesa della società, ma all’eccesso di legittima difesa) del fatto che in uno stato ci devono essere dei regimi di tortura come il 41 bis o una pena che non finisce mai come l’ergastolo ostativo, le potrei trovare anch’io. Potrei, per esempio, giustificarmi che sono diventato un criminale perché mentre molte persone perbene sono nate fra pasticcini e biscotti io sono nato in una casa dove non c’erano libri (probabilmente perché non erano buoni da mangiare). Potrei giustificarmi che sono stato quello che sono potuto essere e non quello che avrei voluto essere. Potrei dare la colpa delle mie scelte criminali alla mia infanzia infelice o alle botte che ho preso prima in collegio dalle suore e dai preti e subito dopo nei carceri minorili (a soli quindici anni sono stato legato al letto di contenzione per sette giorni). Io però preferisco non darmi nessuna attenuante perché come dico spesso ai ragazzi del progetto “Scuola-Carcere” che facciamo qui nella redazione di “Ristretti Orizzonti”: “sono nato colpevole poi io ci ho messo del mio a diventarlo”.  Professore faccio affidamento anche alla sua onesta intellettuale per farle ammettere che sì è vero, una società ha diritto di difendersi dai suoi membri che non rispettano la legge, ma non lo deve fare dimostrando di essere peggiore di loro e purtroppo questo a volte accade. Io penso che il regime di tortura del 41 bis e una pena che non finisce mai, applicati in modo spropositato, non diano risposte. Non si può educare una persona per decenni tenendola all’inferno e senza dirgli quando finirà la sua pena neppure quando ci siano poche probabilità che questa persona faccia di nuovo del male. Così facendo la si distrugge e dopo questo trattamento anche il peggiore assassino si sentirà “innocente” e voi invece rischierete di sentirvi “colpevoli”. Professore non voglio convincerla, desidero solo farle venire qualche dubbio. Non posso fare altro. Grazie di avermi letto, spero con indulgenza, Le mando un sorriso fra le sbarre.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova

Sì, è vero: una società ha diritto di difendersi dai suoi membri che non rispettano la legge, ma non lo deve fare dimostrando di essere peggiore di loro. E purtroppo questo a volte accade. Accade tutte le volte in cui si passa, anche solo per inerzia, dalla logica di una legittima difesa effettivamente proporzionata, rispetto al rischio dell’offesa, alla logica del “chiudilo in cella e getta la chiave”. Però – e qui torno al messaggio essenziale contenuto nella mia lettera aperta [2] di tre settimane fa – se siamo d’accordo sulla necessità di stabilire una linea di confine tra la legittima difesa effettivamente proporzionata e l’eccesso colposo o doloso di legittima difesa, dobbiamo anche convenire che nel caso di Giovanni Donatiello (dal quale questo nostro dialogo ha preso le mosse), perché il lettore possa valutare la fondatezza della denuncia dell’abuso del 41-bis subìto dall’autore dell’articolo, l’autore stesso e la Rivista che ospita la denuncia devono fornire qualche informazione in più sull’evoluzione dei rapporti tra lui e l’organizzazione criminale a cui ha appartenuto. L’amministrazione giudiziaria e penitenziaria ha, certo, il dovere di attivarsi in modo continuo per aiutare questa evoluzione in senso positivo, in modo da porre fine il prima possibile all’applicazione del 41-bis; ma anche il detenuto ha un dovere di cooperazione in proposito. E, nel momento in cui egli denuncia l’abuso subito, ha l’onere di render conto dell’adempimento di quel dovere. So bene che possono esserci situazioni nelle quali l’adempimento di quel dovere espone il detenuto a rappresaglie da parte degli ex-complici, peggiori dello stesso regime del 41-bis; ma se non si conosce anche questa parte della vicenda non è possibile stabilire dove, nel caso specifico, si collochi il confine tra legittima difesa proporzionata ed eccesso.   (p.i.)

UNA REPLICA DI CARMELO MUSUMECI

Professore, in questi giorni ho fatto coraggio a un mio compagno ergastolano che sta passando un brutto momento e gli ho scritto: “Lo so! Siamo morti senza saperlo.  I ‘buoni’ non vogliono che moriamo subito. Vogliono che crepiamo lentamente. A poco a poco. Piano piano. Vogliono che soffriamo più a lungo possibile, così impariamo la prossima volta a non fare del male. Il problema è che non arriverà mai una prossima volta. Sinceramente in tutti questi anni non ho mai sperato di farcela. Eppure ho continuato a lottare con tutte le mie forze più che per coraggio per debolezza. E sono sopravvissuto. Ho sconfitto il mio destino. E da uomo ombra sono passato a uomo penombra. Forza anche tu. Non ti arrendere.”
Professore, nella sua terza lettera mi hanno colpito queste parole: “perché l’autore stesso e la Rivista che ospita la denuncia devono fornire qualche informazione in più sull’evoluzione dei rapporti tra lui e l’organizzazione criminale a cui ha appartenuto (…) anche il detenuto ha un dovere di cooperazione in proposito”.
Professore, mi sembra di capire che il suo disappunto maggiore a proposito di quell’articolo è che il mio compagno  non ha argomentato perché era stato sottoposto al regime di tortura del 41 bis. Le posso rispondere io, perché a quel tempo (non so adesso) le motivazioni erano tutte uguali,  generiche, collettive e citavano tutte le stragi di Palermo.  Mi permetto di ricordarle che  nel 1992, dopo i gravi fatti accaduti nel paese, lo Stato italiano si sentiva in guerra (e credo che lo era)  e bastava che tu appartenessi a qualche organizzazione criminale, piccola o grande che fosse, per finire in quel calderone. La stragrande maggioranza di loro erano “solo” delinquenti “comuni”, ma con il tempo sono diventati culturalmente mafiosi dopo anni di quel regime. I più sfortunati ci sono rimasti per decenni. Io “solo” cinque anni. Mi ricordo che il Tribunale di Sorveglianza di Sassari mi aveva tolto da quel regime con questa strana motivazione: “Il Musumeci non si comporta come il classico mafioso”.
Professore, penso che mi ha salvato il mio “senso di giustizia” o se vuole il mio brutto carattere anarchico, perché mi ribellavo continuamente, prendevo rapporti disciplinari, facevo scioperi della fame, reclamavo e lottavo per i miei diritti. Mi ricordo che un giorno il direttore dell’Asinara mi chiamò e mi disse: “Musumeci, è inutile che rompa le palle, il regime del 41 bis è stato creato per farvi pentire. E proprio l’altro ieri mi hanno telefonato dai piani alti e mi hanno fatto i complimenti perché da questo carcere in un anno sono usciti trentasei collaboratori di giustizia”.
Professore, mi creda è difficile, quasi impossibile, fare uscire la verità dal carcere, per questo  penso  che lei conosce solo la parte buona dello Stato ed io invece esclusivamente quella cattiva. E lo ammetto non ho nessuna fiducia nelle istituzioni, ma la ho in alcune persone che le rappresentano come lei, perché se anche non sono d’accordo su molte cose che dice sono fortemente convinto che lei parla con onestà. Purtroppo però il regime di tortura del 41 bis è stato realizzato per creare collaboratori di giustizia e c’è riuscito, ma se al limite questo era consentito in tempi di emergenza, perché attuarlo ancora e in maniera così spropositata anche oggi? Alla lunga questa “medicina” può essere più dannosa della malattia, perché questo regime non ci chiede di cambiare, ma al contrario ci fa diventare più criminali di quelli che eravamo, ci consiglia di usare la giustizia per uscire dal carcere, di fare i delatori, di mettere in pericolo i nostri familiari. Le sembrerà strano ma dopo tanti anni l’applicazione di questo regime ci fa sentire persone perbene più degli altri. Credo che la legalità, la fiducia prima di pretenderla bisogna darla, come sta facendo lei adesso confrontandosi con un criminale come me. Per il resto è difficile collaborare con uno Stato che ti tortura con il regime del 41 bis e ti dà una pena che non finisce mai da scontare.
Professore, le racconto che fin da bambino quando mia nonna mi portava in giro per il paese e vedevamo un uomo in divisa (poteva essere anche un vigile urbano) mi sussurrava spaventata: “Stai attento. Quello è l’uomo nero”. Sì lo ammetto, lei aveva torto, ma mi è difficile lo stesso dopo tanti anni collaborare con l’uomo nero, anche perché le parole di questi giorni del Presidente del Senato, Pietro Grasso, in un certo senso danno ragione ancora a mia nonna: “Basta protagonismo e corsa ai soldi (…) un’antimafia che sappia guardare al suo interno e abbandonare il sensazionalismo, il protagonismo, la pretesa primazia di ogni attore, la corsa al finanziamento pubblico e privato”. (Fonte: Corriere della Sera, 28 novembre 2015).
Professore, a volte penso che non basta cambiare le leggi o farne delle nuove, ma bisognerebbe di più ri-educare l’animo di chi presume di ri-educarci. Mi dia una mano a farlo perché lei è credibile io no. Un sorriso fra le sbarre.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, 2 dicembre 2015

Ancora una volta accolgo pienamente l’appello di Carmelo Musumeci a metterci tutti nei panni di chi è dentro il carcere, a considerarci tutti – in qualche misura – “dentro”, o, che è lo stesso, dostojevskianamente “fuori per caso”. Concordo con lui anche sul punto che può essere molto difficile distinguere, dal di fuori, il detenuto che ha rotto i rapporti con l’organizzazione criminale da cui proviene e chi no. Se è difficile distinguere dal di fuori, però, la stessa difficoltà non la ha il detenuto stesso, il quale sa bene se ha rotto quei rapporti o no. In riferimento all’articolo di Giovanni Donatiello sul mensile Ristretti Orizzonti da cui questo dialogo è nato, dunque, resto dell’idea che sarebbe stato utile che egli completasse il proprio discorso con un chiarimento in proposito: anche, eventualmente, con l’esposizione di una situazione difficile, di una ambiguità esistenziale difficilmente superabile. Questo avrebbe comunque reso più facilmente condivisibile la sua denuncia. L’omissione di qualsiasi cenno al riguardo, invece, in uno scritto in cui si accusa il sistema di “eccesso di legittima difesa”, mi pare lasci nel lettore un interrogativo su di un punto decisivo, così togliendo qualche cosa all’efficacia dello scritto medesimo (perché tutti, mi sembra, compresi Carmelo Musumeci e Ristretti Orizzonti, concordiamo sul diritto di legittima difesa della società civile – anche, nei casi estremi, con lo strumento del 41-bis – contro una minaccia grave e incombente di un male peggiore rispetto allo stesso 41-bis). Capisco che non sia facile fare questo in forma scritta, e tanto meno in uno scritto destinato alla pubblicazione: è il motivo per cui mi recherò al carcere di Parma, dove Giovanni Donatiello è attualmente detenuto, per parlare con lui e capire meglio quello che forse la carta scritta non può riportare.    (p.i.)

 

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