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UNIONI CIVILI: IL PREGIUDIZIO E IL DATO SPERIMENTALE

GLI STUDI SCIENTIFICI MOSTRANO CHE LE UNIONI OMOSESSUALI SONO STABILI ALMENO QUANTO QUELLE ETEROSESSUALI: LA REALTÀ È CHE SONO FONDATE ANCH’ESSE SUL BISOGNO DI DARE E RICEVERE AMORE E STABILITÀ AFFETTIVA

Articolo di Irene Tinagli pubblicato su La Stampa il 10 gennaio 2016 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 25 maggio 2015 [1].

Si possono cercare tutte le argomentazioni tecniche o politiche per spiegare le perplessità sulle unioni civili e i matrimoni gay. Ma la realtà è che l’omosessualità in Italia è ancora legata a pregiudizi e stereotipi che la rendono, agli occhi di molti, strutturalmente in contrasto col concetto di famiglia e di vita familiare. E anche molti dei cosiddetti “liberal”, che non hanno dubbi sul diritto degli omosessuali a vivere la propria sessualità, sollevano però più di un dubbio di fronte alla possibilità che questi possano formarsi una famiglia. Perché?

Perché, più o meno consciamente, gli omosessuali vengono ancora associati a vite emotivamente ed affettivamente instabili, edonistiche, frivole, volubili, come se fossero un costante gay pride. E quindi sono considerati poco inclini alla vita familiare, fatta di stabilità di affetti, di routine, e anche di serena noia. A maggior ragione inadatti alla vita familiare quando questa coinvolge dei bambini, che hanno particolare bisogno di stabilità affettiva e affidabilità.

Eppure non è così. E i Paesi che da anni hanno istituito unioni civili e matrimoni gay hanno avuto modo di capirlo, e di analizzare il fenomeno in profondità. Il Willliams Institute dell’Università della California a Los Angeles ha pubblicato un interessante studio basato sugli Stati del Vermont e del New Hampshire, dove il matrimonio gay è in vigore dal 2009 e dal 2010. La ricerca ha trovato che il tasso di divorzi nei primi quattro anni di matrimonio è più basso tra le coppie gay che tra le coppie etero (una media dell’1,1% annuo contro il 2% delle coppie etero). Un altro studio più ampio di una ricercatrice di Stanford, concentrato sulla longevità di coppia a prescindere dalla forma di legame (matrimonio, unione o convivenza), ha trovato che la stabilità tra coppie etero e omosessuali è sostanzialmente la stessa. Mentre in Inghilterra uno studio sulle unioni civili nel periodo 2005-2010 trovava tassi di separazione più bassi per le unioni omosessuali che per i matrimoni etero. Si potrebbe ironicamente notare che, in Paesi in cui i matrimoni sono in calo e i divorzi, i secondi e i terzi matrimoni sono ormai la normalità, l’ultimo baluardo di famiglia tradizionale sia incarnato dalla famiglia omosessuale, in cui gli sposi divorziano meno e non si risposano varie volte avendo figli da due o più partner.

In realtà è probabile che i tassi di divorzio tra omosessuali in questi Stati siano bassi perché le coppie che si sposano per prime sono quelle più motivate e più durature, e che col tempo i divorzi si allineino a quelli etero. Ma il punto non è rivendicare la superiorità di una tipologia di famiglia rispetto ad un’altra, ma la loro sostanziale equiparazione. Il punto è capire che chiunque decida di formare una famiglia, che sia etero o omosessuale, lo fa per rispondere a quel bisogno di dare e ricevere amore e di stabilità affettiva che caratterizza la gran parte degli esseri umani a prescindere dal loro orientamento sessuale.

È per questo che i Paesi in cui le unioni o i matrimoni sono stati legalizzati non hanno visto alcuno stravolgimento dell’ordine morale della loro società e hanno riconosciuto che le coppie e le famiglie omosessuali hanno le stesse caratteristiche di quelle etero e si sono integrate benissimo. Tant’è che neppure un governo molto conservatore su certi temi come quello di Rajoy in Spagna ha avuto la forza di abolire la legge sui matrimoni gay di Zapatero. Una volta che la società ha visto e ha capito, gli stereotipi crollano e l’inclusione aumenta. Ma forse è proprio questo che ad alcuni fa paura.