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AVVIO DELL’ANPAL: NON CADIAMO NEGLI ERRORI DEL PASSATO

LO SCHEMA DI DECRETO PER IL TRASFERIMENTO DELLE RISORSE ALLA NEO-ISTITUITA AGENZIA NAZIONALE PER LE POLITICHE DEL LAVORO SI ISPIRA A CRITERI VECCHI, CHE RISCHIANO DI COMPROMETTERE LE CAPACITÀ DEL NUOVO ORGANISMO DI ADEMPIERE LE PROPRIE FUNZIONI 

Commento allo schema di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per il trasferimento all’ANPAL delle risorse necessarie per il suo funzionamento, Atto Governo n. 266/2016 presentato al Parlamento per il prescritto parere delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, 5 marzo 2016 – In argomento v. anche Servizi per l’Impiego: mission impossible o l’Anpal ce la può fare? [1]
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L’obiettivo della riforma dei servizi per il mercato del lavoro, attuata sul piano legislativo con il decreto n. 150/2015, è quello di riorganizzare le strutture pubbliche preposte alle politiche attive per l’occupazione facendo sì che esse rispondano a linee-guida fissate da un centro direzionale nazionale, capace di coordinare le politiche stesse, controllare che i servizi rispondano a requisiti precisi di efficienza e raggiungano obiettivi precisi di efficacia. L’altro cardine della nuova organizzazione dei servizi è costituito dalla cooperazione stretta fra la rete dei Centri per l’Impiego e gli operatori specializzati privati.

Questi essendo i principi-cardine della riforma, non può non suscitare perplessità il fatto che lo schema di decreto destinato a regolare il trasferimento di risorse alla neo-istituita Agenzia per le Politiche Attive del Lavoro (Atto Governo n. 266/2016), nel definire le sue funzioni, obliteri quasi del tutto due degli strumenti più importanti di politica attiva, l’orientamento e la formazione professionale, che devono invece operare in stretta connessione con gli altri strumenti e in particolare con le attività volte a favorire l’incontro fra offerta e domanda di lavoro. E ancor più stupisce che non venga neppure menzionata la funzione dell’Agenzia di promuovere la cooperazione della rete pubblica con gli operatori privati e la diffusione degli strumenti essenziali di questa cooperazione, ovvero del contratto di ricollocazione e del voucher che ne costituisce l’oggetto: questa importantissima innovazione introdotta dalla riforma è totalmente ignorata dallo schema di decreto.

C’è poi un secondo rilevante motivo di perplessità. Se si costituisce una agenzia per le politiche attive del lavoro distinta dalla struttura ministeriale, è evidentemente perché ci si attende da questo nuovo organismo un’attività di tipo non burocratico, cioè non destinata alla pura e semplice attuazione di procedure, ma fortemente orientata al risultato e responsabilizzata per il suo raggiungimento. Per questo la si vuole caratterizzata da una marcata flessibilità organizzativa e dalla responsabilizzazione dei dirigenti sul raggiungimento di obiettivi specifici, precisi, misurabili, che il vertice dell’agenzia deve poter fissare di volta in volta in relazione alle mutevoli esigenze operative. Lo schema di decreto, invece, all’articolo 10 predetermina in modo rigido una struttura operativa dell’ANPAL, articolata in sette divisioni, affidate ad altrettanti dirigenti, di cui vengono fissate con precisione le competenze secondo uno schema mutuato dalla vecchia organizzazione ministeriale più che modellato sulle nuove funzioni operative attribuite all’agenzia dalla legge. L’effetto di questa disposizione, se essa dovesse essere confermata nel testo definitivo del decreto, sarebbe quello di impedire al vertice del nuovo organismo – o rendere comunque assai difficile e macchinosa – la scelta di una diversa articolazione della struttura, o anche soltanto la responsabilizzazione dei dirigenti in relazione a obiettivi non corrispondenti alle funzioni cristallizzate nella disposizione regolamentare.

Un terzo motivo di perplessità riguarda la selezione del personale che dovrà essere trasferito alla nuova agenzia. In proposito gli articoli 3 e 4 del decreto prevedono che l’individuazione delle persone sia affidata in prima istanza a una procedura di mobilità volontaria, quindi di autoselezione degli attuali dipendenti del ministero del Lavoro e dell’Isfol. Questa procedura produce una selezione basata sul solo criterio dell’interesse personale dei singoli dipendenti, interesse che in questo modo prevale totalmente su quello degli enti interessati all’efficienza delle rispettive strutture e all’efficacia delle funzioni svolte o dei servizi resi.

Logica vorrebbe, invece, che fossero i vertici degli enti interessati a concordare i criteri di selezione del personale che dovrà essere trasferito, lasciando semmai che l’autoselezione dei dipendenti operi in un secondo tempo nell’ambito di quei criteri, nei limiti in cui essi lo consentono. Il rischio è, altrimenti, che si riconfermi un principio che non compare in alcuna legge ma che di fatto regge gran parte delle nostre amministrazioni pubbliche: quello secondo cui le amministrazioni stesse sono prioritariamente al servizio di chi vi è addetto, il cui interesse prevale sistematicamente su quello dei cittadini/utenti.