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RITORNO A BARBIANA

COME GLI ALLIEVI DI DON LORENZO MILANI STANNO CUSTODENDO IN MODO PERFETTO LA PIEVE DI S. ANDREA CON TUTTO QUANTO È IN ESSA CONTENUTO, MANTENENDOLA VIVA A MEZZO SECOLO DELLA SUA MORTE

Appunti e immagini di un pellegrinaggio, 12 marzo 2016 – Sul mio incontro con don Lorenzo Milani all’età di nove anni e l’influsso che la sua frequentazione nei dieci anni successivi ha avuto sulla mia vita, v. il mio articolo La lezione di don Milani [1], pubblicato sul Corriere della Sera il 18 aprile 2014.

Ho accolto con gioia l’invito degli allievi di don Milani di incontrarci di nuovo a Barbiana. Qui la Fondazione Lorenzo Milani, da loro costituita, custodisce con infinita cura e apre al pubblico ogni settimana la pieve, isolata dal mondo nel cuore del Mugello, dove lui fu inviato per punizione dal Vescovo di Firenze alla fine del 1954, e che lui trasformò nella scuola di cui il mondo intero avrebbe parlato nei decenni successivi. Ogni volta che torno in pellegrinaggio in questo luogo provo una emozione difficile da descrivere, perché qui sono stato più volte da ragazzino, sempre con un coinvolgimento emotivo fortissimo; e perché da allora il luogo è rimasto perfettamente uguale a sé stesso, nella sua semplicità e solitudine, nonostante il grande flusso continuo di scolaresche e visitatori adulti che qui arrivano in ogni stagione dell’anno e non soltanto dalle città vicine.

La pieve [2]

L’anno prossimo saranno passati cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani: da allora, qui, non una sola pietra è stata aggiunta o tolta, e neppure ha cambiato di posto. E, dentro, non un mobile, non un oggetto è stato aggiunto o tolto, né nel laboratorio al piano terra, né “nella scuola”, al piano di sopra. E neanche nella cucina ad essa adiacente, e nella “stanza del Priore”, dove c’è ancora e soltanto il suo letto (quest’ultima, però, gli allievi non vogliono che il grande pubblico la veda: temono  – giustamente – quella sorta di feticismo turistico-religioso da cui tanta parte della venerazione dei santi è inquinata, e che per quel luogo, per lo spirito del maestro che lì ha vissuto per tredici anni, sarebbe una insopportabile profanazione).

Ancora oggi, a cinquant’anni di distanza, Barbiana è isolata come allora dal mondo civile. Per arrivare lassù, a una quota di circa 500 metri sul livello del mare, lasciata la strada provinciale n. 41 occorre superare più di trecento metri di dislivello su di uno stradello che si attorciglia nei boschi, problematico anche a farlo in auto. Ancora oggi, intorno alla pieve non è sorto un solo edificio; ed è una fortuna. Accanto alla porta della piccola chiesa, spoglia di qualsiasi orpello,  la Fondazione ha affisso un cartello; uno solo, che dice l’essenziale nello stile asciutto inbsegnato dal maestro.

Il cartello sulla porta [3]

 

“Questi muri trasmettono sofferenza e idee”.

Il laboratorio [4]Subito a fianco si entra nel laboratorio dove i ragazzi imparavano i lavori manuali e dove si trovano gli strumenti di quei lavori: l’incudine, la morsa, le pinze e i martelli, la sega, la raspa, le lime, tutto arrugginito dal tempo ma tutto esattamente come era allora. Unica aggiunta: appese ai muri alcune riproduzioni di fotografie di don Milani e della sua scuola, che la Fondazione conserva.

 

Attraverso una ripida scala di pietra consumata, assistita da un corrimano di corda agganciata al muro, si sale alla stanza dove don Milani teneva la scuola vera e propria. Gli stessi due tavolacci con le panche per sedersi, quLa scuola e I CAREalche sedia spaiata, negli scaffali i libri raccolti allora e alcuni degli oggetti, tra i quali il famoso astrolabio fatto in casa. Sulla porta della “stanza del  Priore” il cartello I CARE, che può considerarsi il motto della scuola. E sui muri i tanti altri documenti che testimoniano della didattica milaniana: carte geografiche, tabelle cronologiche, persino un “Padre Nostro” in cinese. Un’altra porta dà direttamente nella cucina, anch’essa esattamente come è sempre stata.

 

La Fondazione è riuscita a compiere un miracolo: conservare queste povere mura, con tutto l’armamentario in esse contenuto – poverissimo nella forma e nella materia di cui è costituito, ma tanto straordinariamente ricco di significati e mLa scuola [5]emoria -, usando la stessa cura con cui si conserva e si gestisce un museo, ma senza trasformarle in un museo: senza sigillare nulla sotto quei cristalli o perimetrarlo con quei cordoni che nei musei separano in modo irreparabile gli oggetti dalle persone, così privandoli per sempre della funzione loro propria. No: qui le panche sono ancora panche su cui ci si siede, i libri sono ancora libri che si possono leggere, gli strumenti di lavoro sono ancora a portata di mano e pronti all’uso.

La pieve e la piscina

Fuori della pieve c’è ancora la piccola piscina che don Milani volle costruire per dare ai ragazzi in piena estate il piacere del tuffo nell’acqua. Poco sotto, il piccolo cimitero che ospita la sua tomba e quella delle persone che gli sono state più vicine.

 

 

Sarà bene che i ministri dei Beni Culturali e dell’Istruzione si occupino dell’operazione culturale davvero unica nel suo genere che i “ragazzi” di don Milani stanno compiendo, con la loro Fondazione, per far continuare a vivere questo bene prezioso mantenend0ne gelosamente l’autenticità: occorre assicurare che quest’opera sia destinata a proseguire con gli stessi criteri e nello stesso spirito anche quando – sperabilmente fra molti decenni – nessuno di loro sarà ancora qui per continuarla.

La vista sul Mugello [6]Vista sul fondovalle dalla pieve di Barbiana.