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ANCORA SULL’ECONOMIA “A CHILOMETRO ZERO”

IL NESSO TRA IL RIFIUTO DI TUTTE LE FORME DI PRODUZIONE DI ENERGIA, ESCLUSA SOLTANTO LA FOTOVOLTAICA, E L’IDEOLOGIA DELLA DECRESCITA FELICE, OVVERO DEL RITORNO A UN’ECONOMIA CURTENSE, CHE RIDUCE AL MINIMO GLI SCAMBI INTERNAZIONALI E CON ESSI LA SPECIALIZZAZIONE DEL LAVORO

Lettera pervenuta il 22 marzo 2016 – Segue la mia risposta.

Caro Pietro, nel tuo editoriale del 21 marzo [1] sono messi insieme “no” e “sì” e fai dell’ironia sul risparmio energetico e sul “chilometro zero”. Trovo che questo sia (eccezionalmente) un editoriale frettoloso e poco serio. I no: “no alle centrali atomiche, no a quelle a carbone, no al gas di putin, no allo shale oil, no alle pale eoliche, no agli inceneritori, no alle petroliere, ora no anche al gas estratto dal nostro mare”. L’ironia: “ma allora no anche alle nostre case riscaldate d’inverno e ad auto, treni, aerei e produzione industriale?”. E alla fine: “Tutto questo è molto coerente con l’economia del “chilometro zero” ecc. Si dà il caso che nostra figlia Cecilia stia lavorando proprio in una realtà di cui l’editoriale sembra non riconoscere la positività: vedi http://www.arvaia.it/ [2] e http://www.arvaia.it/chi-siamo/ [3] Questo è uno dei “si” al “chilometro zero” in agricoltura. È vero che i “no”, hanno molti limiti. Ma i “si” sono il nostro futuro e vanno considerati con attenzione. Comunque ti ringrazio della Newsletter preziosa del lunedì e soprattutto del tuo impegno politico e professionale costante. Un caro saluto,
Andrea Guadagni

Caro Andrea, grazie del messaggio e del link al sito di Arvaia: un augurio a Cecilia per questa esperienza interessantissima, che però non mi sembra possa assurgere a modello per lo sviluppo di tutta la nostra economia. Mi dispiace di averti dato l’impressione di svalutare il risparmio energetico: non era certo questo l’intendimento del mio editorialino. Quello che volevo e voglio sottolineare è che non si può dire sistematicamente di no a tutte le fonti di energia: occorre pure indicare quella o quelle che – nonostante i difetti che ciascuna presenta – riteniamo accettabili. E non ci si può limitare a indicare il fotovoltaico, perché a) siamo ancora molto lontani dal saper immagazzinare l’energia prodotta con i pannelli solari, b) quand’anche avessimo imparato a farlo saremmo lontanissimi dall’essere in grado di produrre in questo modo tutta l’energia necessaria per il funzionamento della nostra economia, salvo ricoprire l’intero Paese di pannelli. Quanto all’economia “a chilometro zero”, ti confesso che è un’idea a cui sono proprio contrario; e sconsiglierei vivamente ad Arvaia [2] di utilizzare questa espressione senza precisarne meglio il significato. Tutta la storia del progresso umano è fondata sull’aumento del raggio di mobilità delle persone, delle idee e dei beni di cui disponiamo. Ritornare a un’economia in cui anche soltanto persone e beni si muovono soltanto nel raggio di un chilometro o poco più significa tornare a una situazione di povertà materiale grave; ma anche, in qualche misura, a una situazione di povertà spirituale, se è vero che il nostro spirito si nutre anche dell’incontro con gli altri. E poi vedo un intreccio pericoloso tra l’ideologia del “chilometro zero” e quella della chiusura delle frontiere, del restauro delle sovranità nazionali in contrapposizione con la costruzione dell’Unione Europea, dei muri e fili spinati contro i profughi. Insomma, penso che la globalizzazione costituisca un fenomeno complessivamente positivo: un fenomeno che – certo – ci impone di attrezzarci per farvi fronte, ma che complessivamente fa del bene al mondo e in particolare alla parte più povera e più arretrata dell’umanità. Un cordialissimo saluto, pur nel dissenso su questo punto,  pietro

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