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IN DIFESA DELLA FORNERO (INTESA COME LEGGE, MA ANCHE COME ELSA)

CHE COSA DISTINGUE E CHE COSA UNISCE LE DUE MANIFESTAZIONI, DELLA LEGA E DEI SINDACATI, CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI DI QUATTRO ANNI FA

Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 386, 4 aprile 2016 – In argomento v. anche Perché a 55 o 60 anni, con 35 di contributi, non si può conservare il vecchio diritto ad andare in pensione di anzianità [1].

La Lega di Matteo Salvini ha organizzato una (peraltro sparuta, a quanto dicono le cronache) manifestazione sotto la casa della ex-ministra del Lavoro per protesta contro la riforma delle pensioni che porta il suo nome, a più di quattro anni dalla sua emanazione, con toni che alludevano esplicitamene a “mani che prudono” e voglia di menarle. Come se quella legge fosse stata il frutto della volontà dispotica e malvagia di una persona, meritevole dunque di personale punizione, e non l’atto di una compagine governativa sostenuta dal voto di più del 90 per cento dei parlamentari, dagli stessi espressamente approvato,  indispensabile per salvare il Paese da un tracollo finanziario che avrebbe avuto conseguenze sociali – a cominciare dalle stesse pensioni – molto più gravi. Caro Salvini, questo comportamento politico si chiama, tecnicamente, squadrismo. Poi ci sono i sindacati che, anch’essi a quattro anni dall’emanazione, contro quella riforma promuovono la loro prima manifestazione nazionale. Qui non c’è l’odiosa aggressione contro una donna sola; ma una cosa accomuna la manifestazione delle confederazioni sindacali a quella della Lega: non una parola sul modo in cui si sarebbe dovuto agire per evitare la catastrofe in quel frangente pericolosissimo, nel quale esse restarono, per dirla col Leopardi, “in lungo tormento, fredde, tacite, smorte”. E non una parola, ovviamente, sul come trent’anni di contributi al 32 per cento della retribuzione via via percepita possano finanziarne altri trenta di pensione di anzianità commisurata al 70 o all’80 per cento della retribuzione finale. Non una parola sul perché mai avrebbe dovuto considerarsi “giusto” e “dovuto” che la generazione dei cinquantenni e dei sessantenni continuasse ad assegnarsi pensioni non coperte dai contributi versati, a spese delle generazioni successive già caricate di 2000 miliardi di debiti. Solo uno slogan esplicito: “la pensione è un diritto”. E uno implicito: “a spese di chi, non è affar nostro”. Poi questi si stupiscono del fatto che le nuove generazioni non li seguono..