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LA LIBERAZIONE A BUCHENWALD

“NESSUNO DI NOI MAI AVREBBE OSATO FARE QUESTO SOGNO”

Estratto dal libro di Jorge Semprun, L’écriture ou la vie, Gallimard 1994 (trad. di Costanza Rossi per questo sito in occasione della Festa della Liberazione 2016) – Del libro è in commercio anche un’edizione italiana: La scrittura o la vita, Guanda, 1996 .

9782070400553FSCapitolo I

Lo sguardo

Sono davanti a me, con gli occhi sbarrati, e io mi vedo di colpo in quello sguardo di paura: il loro terrore.

Da due anni, vivevo senza faccia. Nessuno specchio, a Buchenwald [1]. Vedevo il mio corpo, la sua crescente magrezza, una volta alla settimana, alle docce. Nessuna faccia, su questo corpo insignificante. Con la mano, talvolta, sfioravo un’arcata delle sopracciglia, zigomi sporgenti, il vuoto di una guancia. Avrei potuto procurarmi uno specchio, senz’altro. Si trovava di tutto al mercato nero del campo, in cambio di pane, di tabacco, di margarina. Anche tenerezza, se ce n’era bisogno.

Ma non mi interessavano questi particolari.

Vedevo il mio corpo, sempre più sfocato, sotto la doccia settimanale. Dimagrito ma vivo: il sangue circolava ancora, nessun timore. Basterebbe, questo corpo assottigliato ma disponibile, adatto a una sopravvivenza sognata, ma poco probabile.

La prova, d’altronde: eccomi.

Mi guardano con gli occhi sconvolti, pieni di orrore.

[…]

A Berlino fu emanato l’ordine di evacuare il campo. Il comitato internazionale clandestino organizzò subito una resistenza passiva. I deportati non si presentarono agli appelli destinati a raggrupparli per la partenza. Distaccamenti di S.S. furono allora lanciati nelle profondità del campo, armati sino ai denti ma spaventati dall’immensità di Buchenwald. Dalla massa decisa e imprendibile di decine di migliaia di uomini ancora validi. Le S.S. tiravano talvolta raffiche alla cieca, tentando di costringere i deportati a riunirsi sulla piazza dell’appello.

[…]

thRK1UZTUCL’11 di aprile [del ‘45], poco prima di mezzogiorno, era suonata la sirena di allarme, muggendo a colpi brevi, ripetuti in modo lancinante.

Feindalarm, Feindalarm! [Allarme, nemico!]

Il nemico era alle porte: la libertà.

Gruppi di combattimento si sono allora radunati ai punti prefissati. Alle quindici, il comitato militare clandestino ha dato l’ordine di passare all’azione. Dei gruppi di compagni sono sorti all’improvviso con le braccia cariche di armi […]. Soprattutto armi rubate nelle caserme delle S.S. in occasione del disordine provocato dal bombardamento aereo dell’agosto 1944. O abbandonate dalle sentinelle sui treni che riportavano gli ebrei sopravvissuti da Auschwitz, in pieno inverno. Oppure uscite, in pezzi staccati, dalle officine Gustloff e montate poi nei laboratori clandestini del campo.

mauthausen_invalidi_alla_liberazione[…] Alle quindici e trenta la torre di controllo e quelle di guardia erano state occupate. Il comunista tedesco Hans Eiden, uno dei più anziani di Buchenwald, poteva rivolgersi ai detenuti dagli altoparlanti del campo. Più tardi, marciavamo su Weimar, in armi. I blindati di Patton ci raggiungevano sulla strada. […] Ci si scambiava parole di riconoscenza in tutte le lingue della vecchia Europa, sulla collina dell’Ettersberg.

Nessuno di noi mai avrebbe osato fare questo sogno. […] Sopravvivere, semplicemente, anche indifeso, diminuito, disfatto, sarebbe stato già un sogno un po’ folle. Nessuno avrebbe osato fare questo sogno, è vero. Ma improvvisamente era come un sogno: era vero.

[…]

 

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