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BUONI-LAVORO: QUANDO LA POLEMICA È PRIVA DI SENSO

PER SUPERARE IL DIBATTITO SUL BOOM DEL “LAVORO ACCESSORIO”, TANTO ASPRO QUANTO INCONCLUDENTE, OCCORRE SOLO UNA RICERCA BEN FATTA CHE ACCERTI SE E QUANTO SI TRATTA DI SOSTITUZIONE DI LAVORO ORDINARIO REGOLARE, OPPURE DI EMERSIONE DI LAVORO NERO

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 404, 8 agosto 2016 – In argomento v. Applicare il metodo sperimentale anche alla politica economica [1], e i documenti sullo stesso tema di cui ivi sono forniti i link.
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In Commissione Lavoro, al Senato, si assiste frequentemente a un dibattito aspro quanto stucchevole e inconcludente tra i rappresentanti di SEL o del M5S da una parte, che denunciano con interventi vibranti di indignazione il notevolissimo aumento dell’utilizzo dei buoni-lavoro registratosi nell’ultim0 anno, come segno di una “fuga legalizzata dal diritto del lavoro”, e dall’altra qualche senatore filo-governativo che difende la nuova disciplina della materia varata nel giugno dell’anno scorso, interpretando il fenomeno nei termini positivi e rassicuranti di una massiccia emersione di lavoro nero.buono lavoro La cosa curiosa è che entrambi i gruppi di contendenti sarebbero pacificamente d’accordo su ciascuna di queste due affermazioni: A) “I buoni-lavoro svolgono una funzione positiva se fanno emergere il lavoro nero”; B) “I buoni-lavoro producono un effetto negativo se consentono la trasformazione di lavoro regolare in lavoro accessorio col conseguente abbassamento dello standard di trattamento”. Dunque non c’è motivo di accapigliarsi: non c’è alcun punto di dissenso. Il problema sta solo nello stabilire se e quanto i 115 milioni di voucher utilizzati durante l’ultimo anno rientrano nel caso A, o invece nel caso B. E questo non lo si stabilisce discutendone in un’aula parlamentare, ma soltanto con le necessarie rilevazioni sul campo, compiute secondo i metodi rigorosi e con gli strumenti appropriati fornitici dalle scienze sociali. Fatto questo accertamento – non particolarmente difficile -, discutere sul che fare in modo pragmatico sarà molto più producente. Che cosa aspetta, dunque, il ministro del Lavoro ad affidare questo studio a chi lo sappia svolgere correttamente, per poterne fornire al più presto il risultato al Parlamento e all’opinione pubblica?

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