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STEFANO PARISI LEADER DI UNA DESTRA PRO-GLOBAL

NELL’ERA CHE VEDE LO SPARTIACQUE FONDAMENTALE DELLA POLITICA PASSARE TRA I COSTRUTTORI DI MURI E I COSTRUTTORI DI PONTI E DI RETI, IL COMPITO DEL MANAGER MILANESE È DI TENERE IL CENTRODESTRA ITALIANO SALDAMENTE ANCORATO AL VERSANTE APERTURISTA

Articolo di Alessandro De Nicola, pubblicato su la Repubblica il 4 agosto 2016 – Il riferimento iniziale dell’articolo  è a quello pubblicato la settimana precedente da The Economist, The new political divide [1]; in argomento v. anche   La svolta buona che ora serve al Governo (e all’Italia) [2], articolo pubblicato sul  quotidiano il Foglio il 12 gennaio 2016 a firma di otto parlamentari PD: Roberto Cociancich, Giampaolo Galli, Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Alessandro Maran, Gianluca Susta, Irene Tinagli, Giorgio Zanin.
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Stefano Parisi, il manager candidato sindaco di Milano cui Silvio Berlusconi ha dato il compito di rigenerare e poi dissolvere Forza Italia, potrebbe essere il più recente frutto del pensiero  no-global che permea una così rilevante parte della politica mondiale.

Stefano Parisi

Stefano Parisi

Parisi no-global, ma scherziamo? No, al contrario, egli è la conseguenza inintenzionale del nuovo riallineamento degli schieramenti politici del mondo occidentale, dove la variabile destra-sinistra non funziona più, sostituita da quella globali-no global.

In sintesi, nel mondo democratico, anche nell’era post-ideologica inaugurata dalla fine del comunismo, si sono sempre confrontati due grandi correnti politiche con una terza variabile. Da una parte la sinistra, più statalista in economia, progressista sul fronte dei diritti civili, tendenzialmente ecologista, pacifista (con grandi eccezioni come in Francia e in Regno Unito nonché tra i Democratici americani come la Clinton) e terzomondista nonché permissiva in tema di immigrazione. Dall’altra la destra, più a favore del mercato, atlantista, diffidente verso l’eccessiva regolamentazione ambientale, cauta o conservatrice sul fronte dei diritti civili ed incline a restringere i flussi migratori. Nel Vecchio Continente, tuttavia, entrambi gli schieramenti erano permeati di europeismo. La terza variabile era quella liberale, ancora più liberista in economia, a favore dei diritti civili (pur attenta a non confondere diritti con privilegi), atlantista e con posizioni intermedie sull’immigrazione. Si trattava di una componente minoritaria e, spesso ma non sempre, alleata ai conservatori. Qui è lì spuntavano residui comunisti o nazional-populisti.

Questo quadro è cambiato nel recente passato e si è riallineato verso quello che avevano già lucidamente delineato i filosofi Friedrich  Hayek, nella sua opera “La via verso la schiavitù”, e Karl Popper nella “Società aperta e i suoi nemici”. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale i due grandi intellettuali avevano capito che fascismo e comunismo, lungi dall’essere due visioni del mondo contrapposte, erano delle espressioni diverse del totalitarismo in lotta contro chi sosteneva la società aperta. Popper non a caso accomunava come nemici della libertà e del razionalismo critico pensatori reazionari come Platone ed Hegel e rivoluzionari come Marx.

Oggi, come avrebbe affermato proprio Marx, la storia si ripete, anche se la prima volta è una  tragedia, la seconda una farsa. Mentre 70 anni fa Nietzsche, Hegel e Marx ispiravano mostri come Mussolini, Hitler e Stalin, nei nostri tempi il compianto Casaleggio è probabilmente l’intellettuale di maggior spessore del Pantheon dei vari Grillo, Trump, Le Pen e Farage.

Succede infatti che, pur non scorgendosi all’orizzonte pericoli totalitari, la falda divisoria della politica, come ha ben individuato l’Economist [1], è tra coloro che vogliono mantenere una società aperta alle merci, alle persone, ai capitali e alle idee e chi invece la vuole chiudere. All’interno degli schieramenti ci sono grandi differenze, come è ovvio.

Tra gli aperturisti le difformità che esistevano nei vecchi schieramenti conservatori, socialisti e liberali, non sono scomparse. Ma nessuno di loro si metterebbe in testa, ad esempio, di discutere le quattro libertà fondamentali garantite dal Trattato di Roma.

Enormi invece sono le divergenze tra un Corbyn che vuole chiudere il mercato del lavoro ed è diffidente su quello delle merci, un Trump che vuole alzare barriere protezioniste, muri anti-immigrati e non gli dispiacerebbe qualche limitazione al mercato delle idee o un Grillo che ha visioni mediamente confuse ma diffidenti verso la concorrenza, il libero commercio e magari l’immigrazione.

Ecco che questo sintetico quadretto ci porta in Italia a Stefano Parisi. Infatti, il Belpaese è l’unico paese europeo dove centrodestra e destra populista siano alleati. In Germania il nemico mortale di Alternative fur Deutschland è la CDU di Angela Merkel; i Tories hanno fatto il pasticcio del referendum Brexit per arginare lo UKIP; in Francia l’odio tra il Fronte Nazionale e la destra repubblicana è proverbiale; in Olanda il capelluto Wilders si oppone al primo ministro liberale Rutte; in Austria l’FPO è contrapposta ai democristiani dell’OVP e ai liberali di Neos e persino in Polonia i populisti di Diritto e Giustizia al governo lo sono avendo scalzato i centristi di Piattaforma Civica.

Grazie alla figura di Berlusconi, questo a Roma finora non era successo (in periferia, invece le crepe sono evidenti): il nostro centrodestra oscilla così senza direzione tra demagogia spicciola ed opposizione a volte aggressiva, a volte contraddittoria. Paradossalmente, sembra che gli unici filo americani e filo europeisti ormai li si trovi solo nel PD o in qualche piccola formazione. Il tentativo di Parisi, però, sembra chiaramente delineare una divaricazione netta tra la forza liberal-popolare, atlantica, europeista, liberista, che lui vorrebbe costituire e le posizioni di Lega e FDI, nazionaliste, velatamente xenofobe, spesso stataliste, anti-europeiste e filo putiniane (Berlusconi ha un debole per Vladimir, ma Parisi no).

In prospettiva, l’esito non potrebbe che essere coerente con quel che succede nel resto d’Europa, dove i moderati stanno nel campo di chi non si rinchiude e i populisti tra i no-global. Che Parisi  riesca nel suo progetto, avendo per ora a disposizione quel che resta di Forza Italia ed essendo pur sempre esposto ai cambiamenti di umore dell’ex Cavaliere, è tutto da vedere: ma per chi preferisce un’Italia che, chiunque governi, rimanga saldamente ancorata all’Occidente e fedele ai principi liberaldemocratici, il suo esperimento merita grande attenzione.

Alessandro De Nicola
adenicola@adamsmith.it
Twitter @aledenicola

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