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L’INTERVENTO IN SENATO DI CORRADINO MINEO SULLA DECADENZA DI AUGUSTO MINZOLINI

“VOTO A FAVORE DELLA PERDITA DEL SEGGIO DA PARTE DEL CONDANNATO (PUR RITENENDO CHE QUESTO ESITO, NEL CASO SPECIFICO, SIA SOSTANZIALMENTE SBAGLIATO) SOLO PERCHÉ LA LEGGE CI OBBLIGA A FARLO”

Intervento del senatore Corradino Mineo nel corso della discussione sulla decadenza dal seggio parlamentare del senatore Augusto Minzolini, nella seduta del 16 marzo 2017: lo pubblico sia per l’interessante descrizione del contesto aziendale in cui il reato accertato è stato consumato, sia soprattutto per il passaggio (qui evidenziato in grassetto) nel quale Mineo dice di votare a favore della decadenza di Minzolini, pur ritenendo che questo esito nel caso specifico sia sostanzialmente sbagliato, solo perché ritiene di esservi formalmente obbligato: ma se l’ordinamento prevede un voto del ramo del Parlamento interessato, e non una delibera della presidenza del ramo stesso, automaticamente dovuta, questo esclude che si tratti di un atto obbligato – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico con cui ho motivato il mio voto contrario [1] alla decadenza e la mia lettera a [2]la Repubblica pubblicata il 19 marzo [2].
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PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mineo. Ne ha facoltà.

Corradino Mineo

Il senatore Corradino Mineo

MINEO (Misto-SI-SEL). Signor Presidente, devo fare due premesse. La prima è che ho incontrato il senatore Minzolini in quest’Aula e nelle sale attigue, quando eravamo entrambi alla RAI ci saremo sentiti due volte per telefono e per questioni strettamente di lavoro, non abbiamo le stesse frequentazioni e non siamo mai andati a cena. La seconda è che io penso che le leggi vadano rispettate, anche quando le consideriamo delle leggi perfettibili o non buone e penso che la legge Severino sia stata scritta ed approvata in un momento particolare della storia della Repubblica, nel quale una larghissima maggioranza (destra e sinistra riunite) chiedeva al Paese pesantissimi sacrifici, anche con delle evidenti ingiustizie, come nel caso degli esodati, ed allora ha ritenuto di togliere al Parlamento ogni potere discrezionale e di indicare la decadenza del senatore o del deputato che sia stato condannato per determinati reati in via definitiva ad una pena superiore ai due anni, eliminando ogni tipo di discrezionalità. Ed è vero quello che diceva il senatore Palma, quando affermava che questo tipo di meccanismo crea una disparità, una diversità, una difformità tra la condizione del consigliere comunale, del sindaco, dell’amministratore locale che possono comunque sollevare eccezione di costituzionalità, mentre al senatore e al deputato questa condizione non è concessa. Ciò detto, ho detto e ripeto che quando le leggi ci sono vanno applicate, non si può fare obiezione su un caso particolare. Tuttavia, voglio rendere testimonianza qui in Senato della mia esperienza. Ho lavorato in RAI 37 anni e, se me lo consentite, vedo la vicenda del senatore Minzolini con un’ottica un po’ diversa rispetto agli articoli che si leggono sui giornali e anche ad alcuni interventi che ho sentito in Parlamento. Penso, cioè, che se il senatore Minzolini una responsabilità abbia avuto, questa responsabilità sia stata quella di sottovalutare la differenza del suo ruolo di giornalista, molto apprezzato fuori della RAI, e di direttore del TG1, di sopravvalutare il potere del suo mentore (come sanno tutti, Minzolini era stato nominato su richiesta particolare di Silvio Berlusconi, allora la personalità politica più eminente del Paese) e di pensare che con la propria capacità professionale, i propri trascorsi e con questo tipo d’investitura avrebbe potuto dirigere il TG1 senza particolari problemi. Così non è. Un’azienda pubblica come la RAI ha al suo interno una serie di incrostazioni e una serie di rapporti tra cordate e gruppi di potere che prima o poi, se tu non baci le pantofole, ti si ritorcono contro. È quello che è successo ad Augusto Minzolini. Voglio fare alcune osservazioni su questo punto. Cosa si contesta a Minzolini? Di avere usato in modo improprio una carta aziendale, che, secondo quanto detto dalla relatrice, gli era stata data nella sua qualità di direttore del TG1. Io sono stato per sei anni e mezzo direttore di una testata RAI e sono stato anche direttore di un ufficio di corrispondenza di qualche importanza. Non ho mai avuto e non ho mai voluto una carta aziendale. Questo perché, cari colleghi, c’è una ipocrisia di fondo in questo Paese che ci riguarda tutti. Noi siamo disposti a dire che la parte della nostra indennità che riguarda il nostro lavoro è alta, quando sappiamo benissimo che chi lavora nel privato, non necessariamente con maggiori meriti, prende tre, quattro, cinque volte di più, ma poi sopportiamo un uso di questo neocapitalismo, che è passato anche alle aziende pubbliche e persino al Senato della Repubblica, che è quella di pagare le persone con rimborsi spesa, con benefit e altre utilità. In questa operazione c’è una trappola e Minzolini è caduto a piedi uniti in questa trappola. Io vorrei sapere se qualcuno ha chiesto al direttore generale che gli ha dato quella carta di credito cosa ha detto a Minzolini quando gliel’ha data. Vorrei sapere se è vero o no che Minzolini rivendicava di poter proseguire una collaborazione con «Panorama» e che il direttore generale, amico di Minzolini e della sua stessa parte politica, abbia detto che non gli poteva concedere la deroga all’esclusiva ma che c’era quella carta di credito: ditemi se questo non è un invito al furto. E chiunque ha vissuto in un’azienda come la RAI sa che questo è un invito a largheggiare, a usare quella carta di credito in modo non controllato. il punto fondamentale, allora, è quel sistema di potere, che Minzolini ha chiaramente sottovalutato. Ad esempio, voi potete pensare che un direttore non abbia neanche il potere di avvicendare i conduttori? E allora cosa ci sta a fare il direttore? Cosa ci sta a fare l’articolo 6 e cosa è il contratto di lavoro dei giornalisti? Ma se si pensa, come ha pensato Minzolini, di poterlo fare semplicemente perché lui era Minzolini e perché era stato nominato dal politico più importante del suo tempo, prima o poi si toccherà delle cose che si ritorceranno contro e prima o poi useranno contro di noi la battaglia politica che vogliono fare contro il nostro mentore. Questo è successo a Minzolini in molti campi e volevo renderne testimonianza. Un altro aspetto su cui non posso tacere è quello dell’inchiesta. Ho detto prima e ripeto che le sentenze definitive vanno rispettate. Dico però che ognuno di noi è libero di esercitare la sua critica sull’iter giudiziario e sulle sentenze. Nella vicenda riguardante il senatore Minzolini abbiamo un’assoluzione di primo grado, con il giudice che accetta il risarcimento di oltre 60.000 euro fatto immediatamente dall’imputato. La sentenza di secondo grado ribalta completamente il primo giudizio e, guarda caso, non prende in esame il risarcimento. A questo punto, devo dire che è legittimo il dubbio sollevato dal senatore Nitto Palma, quando ha detto che probabilmente la mancata considerazione del risarcimento è servita a non concedere un’attenuante che avrebbe forse fatto scendere la pena sotto i due anni e non provocando quindi la decadenza di Minzolini, già allora senatore della Repubblica. C’è inoltre, come è stato detto, una circostanza, che non è vietata dalla legge, ma che è quanto meno singolare, che un politico giudice giudichi un politico. Effettivamente questa è un’evidente anomalia. Le anomalie quindi sono tante e voglio rendere testimonianza che siamo davanti all’esaurirsi di una lunga fase, in cui la politica ha fatto demagogia e ha ritenuto di non pagare il prezzo dei suoi errori offrendo un nemico all’interno della politica stessa: il parlamentare, che non lavora, che prende il vitalizio, che è pagato troppo. Ma senza incidere sui temi di reale corruzione. (Applausi del senatore Buemi). Ripeto che pagare con bonus, rimborsi spesa e altra utilità, secondo i dettami del neoliberismo, è profondamente amorale, più dello stipendio che ognuno di noi prende e su questo tema non si interviene perché c’è un’ipocrisia generale. Perché è amorale? È amorale perché, da un lato, concede forme di salario improprio e, dall’altro, perché ogni tanto il pallino della roulette si ferma in un punto e allora si solleva la questione: e allora Marino diventa il responsabile di chissà quale furto e Minzolini diventa reo di un peculato continuato. Questo è il punto. Il senso del mio intervento è rendere questa testimonianza. Non mi sento di accettare o di condividere il punto di vista espresso con tanta dottrina dal senatore Nitto Palma quando dice che bisogna che si ritorni in Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, perché la Giunta deve esprimere precisamente il sì o il no alle contestazioni di merito del senatore Minzolini perché, da quello che capisco io (che non ho la cultura del senatore Nitto Palma, né la sua, signor Presidente), la cosiddetta legge Severino in realtà ci ha tolto questa discrezionalità e, in qualche misura, l’accettazione della linea che porta alla decadenza del senatore Minzolini è quindi obbligata. Bisognerebbe semmai cambiare la legge, ma al momento non possiamo fare altrimenti. E non possiamo fare altrimenti anche dinanzi alla disparità con gli amministratori locali perché la chiave che abbiamo usato in occasione della decadenza del senatore Berlusconi è stata quella secondo cui bisogna servire il Parlamento con onore e dal momento che una condanna di quel genere toglie questo requisito, automaticamente il Senato si toglie la possibilità discrezionale. Questo è quanto ho capito. Posso sbagliare, senatore Nitto Palma, ma sulla base di questo non me la sento di non votare la decadenza dal mandato parlamentare del senatore Minzolini, perché penso sia un atto obbligato. Ho voluto però rendere testimonianza e spero che i senatori se ne rendano conto per il futuro. (Applausi dal Gruppo Misto-SI-SEL).

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