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IL SIGNIFICATO E I LIMITI DI QUESTE PRIMARIE

Sul terreno della costruzione della nuova UE il discorso di Renzi in questa campagna mi è parso appannato da una preoccupazione eccessiva di rincorrere i malumori diffusi – Anche Berlusconi, però, deve dire chiaro e tondo che Forza Italia, appartenendo al Partito Popolare Europeo, non può allearsi con chi chiede il referendum per l’uscita dall’euro

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Testo integrale dell’intervista a cura di Elisa Calessi pubblicata, con qualche taglio marginale per ragioni di spazio, su Libero del 1° maggio 2017 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 26 novembre 2012 sull’esito delle primarie Pd di quell’anno, Il terremoto che ha colpito il Pd e il dilemma del suo segretario [1]
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Professor Ichino, Renzi è di nuovo segretario. Ma le primarie mobilitano sempre meno. La prima volta che debuttarono in Italia, con Walter Veltroni, nel 2007, andarono a votare 3,6 milioni di persone. Da allora si è assistito a un progressivo calo. È lo strumento che non funziona più o la colpa è dei candidati che attirano meno?
Renzi e Orlando
Le primarie con cui venne scelto Walter Veltroni segnavano la nascita di un nuovo partito e l’inaugurazione di un metodo per governarlo mai sperimentato prima in Italia. È comprensibile che questa doppia novità abbia suscitato allora speranze ed entusiasmo che oggi si sono un po’ spenti. Certo, a spegnerli hanno contribuito anche la fine del sistema elettorale maggioritario e una dialettica politica tra i candidati che ha lasciato molto a desiderare.

Sta dicendo che è stata una campagna elettorale noiosa, con poche idee?
Sto dicendo che i due candidati principali hanno discusso di questioni di modestissimo rilievo effettivo, mentre sono stati reticenti sulla questione centrale: il ruolo a cui puntano per l’Italia nella nuova Unione Europea che tra poco nascerà per iniziativa di Francia e Germania. Su questo terreno mi è parso che, in particolare, gli interventi di Matteo Renzi nella campagna elettorale siano stati un po’ appannati da una preoccupazione eccessiva di rincorrere i malumori diffusi.

Non crede che sia proprio lo strumento delle primarie a non funzionare più?
In Italia e in Francia le primarie suscitano oggi minori entusiasmi di dieci anni fa. Però le alternative sono due, entrambe peggiori: il ritorno al modello del congresso del secolo scorso, il cui risultato era deciso dal traffico delle tessere e dalle trattative nascoste tra capi-corrente, oppure il modello del partito senza congresso, dove decide sempre soltanto il capo.

Per le elezioni amministrative, però, in molti posti si è preferito non fare le primarie. Secondo lei è stata una scelta sbagliata?
Mentre per la scelta del Segretario e della Direzione di un partito di grandi dimensioni e con vocazione maggioritaria mi sembra che non ci sia alternativa al metodo delle primarie, per la scelta del candidato sindaco ci sono circostanze che possono consigliare un metodo diverso.

O forse la ragione della crisi riguarda la sinistra tout court? In tutto il mondo perde.
Se è per quello, perde anche la destra.

Bandiera europeaPerché, secondo lei?
Perché la scelta politica fondamentale davanti alla quale si trovano tutti i governi, i parlamenti e gli elettori, oggi, non è quella tra destra e sinistra, tra il valore dell’eguaglianza e quello della libertà. La scelta fondamentale è tra stare al gioco della globalizzazione oppure no. Se si accetta quella sfida ci si deve attrezzare per trarre dalla globalizzazione il massimo di benefici e sostenere e indennizzare le minoranze che ci perdono. Nel vecchio continente questo significa costruire una Unione Europea forte e capace di governare l’economia e la difesa comune e controllare efficacemente i confini esterni.

E chi la globalizzazione la detesta?
Chi la detesta sta dall’altra parte e cerca di contrastarla ripristinando la sovranità nazionale, chiudendo le frontiere. Questo nuovo spartiacque passa all’interno sia del vecchio fronte della destra, sia di quello della sinistra: la cosa è evidentissima in Grecia, in Austria, nella Gran Bretagna della Brexit, in Olanda e in Francia. In tutti questi Paesi i partiti schiettamente “sovranisti” si rafforzano perché sono gli unici a schierarsi in modo inequivoco rispetto a questo spartiacque. Gli altri, continuando a parlar d’altro e a dividersi secondo gli schemi del secolo scorso, che non corrispondono più alle scelte che si compiono in Parlamento, finiscono col disorientare i loro elettori e togliere loro fiducia nella politica. Perché è una politica che non corrisponde più alle scelte che veramente si compiono.

Renzi, dopo la vittoria di Macron, ha detto che si vince al centro. Il socialismo è finito?
Che si vinca al centro non lo dice solo Renzi: lo hanno spiegato da tempo diversi politologi. Ma oggi anche questo concetto di “centro” ha perso gran parte del suo significato politico: in Italia, oggi, possono considerarsi “centrali” nel sistema politico sia il Pd, sia i centristi, sia il M5S. Se non si mette bene a fuoco il vero spartiacque di cui si è detto, non si capisce niente di quello che sta accadendo, in Parlamento e fuori. E qui ci sarebbe da dire una cosa importante che riguarda anche Forza Italia.

La dica.
Berlusconi non può continuare a ignorare quello spartiacque. Deve dire chiaro e tondo che Forza Italia, appartenendo al Partito Popolare Europeo, non può allearsi con chi chiede il referendum per l’uscita dall’euro. Se non fa questo, Berlusconi condanna Forza Italia a fare la fine dei repubblicani francesi.

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

In Francia il riformismo è incarnato da Macron, che ha rotto con il Partito socialista francese. Qui Renzi è rimasto nel Pd. Chi ha scelto la via migliore?
La differenza sta nel fatto che in Francia un partito analogo al Pd non è ancora nato. Macron ha capito che per vincere occorre schierarsi in modo molto chiaro rispetto allo spartiacque fondamentale, tra europeismo e “sovranismo”; e occorre parlare soprattutto di questo, spiegare perché la chiusura è peggio per tutti. Questo non avrebbe potuto farlo dentro il vecchio partito socialista.

Su Alitalia Renzi ha detto che bisogna trovare una soluzione che comunque salvi la compagnia di bandiera. Ha ragione?
Mi sembra che abbia detto un’altra cosa: che bisogna cercare una soluzione che conservi l’identità dell’azienda, quale che sia l’acquirente. Cioè evitare la sua vendita a pezzi.

Nelle ultime settimane su Iva, tasse e Alitalia, non sono mancate tensioni tra Renzi, il Pd e il governo. Dopo questa legittimazione popolare, aumenterà il livello dello scontro?
Spero di no. E che, invece, sia nella maggioranza parlamentare sia nel Governo aumenti il tasso di riformismo. Che negli ultimi tempi mi è parso un po’ in ribasso: penso alle mancate riforme del Catasto e della della Motorizzazione civile, alla conservazione del monopolio SIAE, alla questione irrisolta delle partecipate pubbliche inutili, alla concorrenza nel settore dei taxi, ai ritardi nell’attuazione delle politiche attive del lavoro.

Molti pensano che Renzi userà la legittimazione ottenuta dalle primarie per votare in autunno. Lo ritiene possibile?
Questo è proprio escluso, perché comporterebbe che si andasse all’esercizio provvisorio di bilancio: una cosa impensabile.

Cosa ne pensa di Calenda? È lui il nuovo Macron?
Lui stesso ha spiegato che non è il suo mestiere.

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