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I RITARDI DELL’ITALIA NEL GIOCO DELL’ECONOMIA APERTA

I casi Pirelli, Meridiana e Italo mostrano quanto abbiamo da guadagnare dall’aprirci al mercato planetario degli investimenti; ma per questo occorre un sistema di servizi per l’impiego di cui non abbiamo ancora saputo dotarci

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Primo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 471, 26 febbraio 2018 – In argomento v. anche il mio secondo editoriale telegrafico, Caso Whirpool: perché la Cig è la risposta sbagliata [1], e il mio articolo del maggio 2015: Quando sono i lavoratori a selezionare e “ingaggiare” l’imprenditore [2]       .
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Malpensa: +17% nel 2017

Malpensa: +17% di traffico nel 2017

Tra il 2015 e il 2017 sono entrati in Italia investimenti diretti stranieri per quasi 100 miliardi di euro. Tra gli investimenti più rilevanti ricordo quello della ChemChina su Pirelli, che ne ha rafforzato la leadership nel settore e aumentato gli organici; quello della Quatar Airways che ha salvato Meridiana dal fallimento, offrendole ora la prospettiva dell’acquisto di 20 nuovi aerei e di 1500 nuove assunzioni, con la trasformazione di Malpensa in hub internazionale della nuova compagnia, e aumento dei viaggiatori da 2,5 a 10 milioni l’anno; da ultimo quello del Fondo americano Global Infrastructure Partners su NTV, che punta a fare di Italo il primo colosso europeo dell’Alta Velocità low cost. È evidente che far parte di un sistema di economia aperta e dinamica ci conviene. Per altro verso, farne parte implica accettare che gli investimenti, oltre che entrare, possano anche uscire. È giusto accollare all’impresa che decide di andarsene il costo sociale della propria scelta; questo ha fatto, per esempio, la nostra ultima legge di Bilancio, raddoppiando i costi per l’impresa del licenziamento collettivo; e si può regolare la cosa anche meglio. Ma siamo noi che, anche con quei soldi, dobbiamo farci carico in modo efficace della sicurezza dei lavoratori coinvolti. Insomma, da un’economia aperta e dinamica abbiamo moltissimo da guadagnare, in termini di quantità e qualità del lavoro; a patto, però, che ci dotiamo dell’attrezzatura necessaria per stare a questo gioco; in particolare, che ci diamo gli strumenti indispensabili per assicurare un sostegno robusto ed efficace a tutti coloro che per queste dinamiche perdono il vecchio lavoro e stentano a trovare da soli il nuovo. Occorre dire chiaro che, su questo terreno, se si esclude la riforma del trattamento di disoccupazione (la NASpI), l’Italia è ancora gravemente in ritardo [3]: la sperimentazione della nuova rete dei servizi basata sulla collaborazione fra centri per l’impiego e operatori privati e sullo strumento dell’assegno di ricollocazione, prevista già dalla finanziaria 2014, è ancora al palo di partenza.