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UNA RIFORMA DELLA CONTRIBUZIONE PREVIDENZIALE SU CUI RAGIONARE

La contribuzione obbligatoria non dovrebbe gravare sull’intera retribuzione, bensì soltanto sul minimo tabellare, rispettando il dettato dell’articolo 38 Cost. e liberando risorse per la previdenza complementare

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Sintesi della relazione di Armando Tursi al congresso dell’AIDLaSS-Associazione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, svoltosi a Palermo nei giorni 17,18 e 19 maggio 2018 – In argomento v. anche Che cosa contiene la Legge di Bilancio in materia di Lavoro e Welfare [1]  .
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Scarica il testo integrale della relazione [2]

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Armando Tursi

SINTESI DELLA RELAZIONE

1. La retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale, nonostante la tendenziale omologazione alla nozione fiscale di “reddito da lavoro”, resta agganciata al concetto di “corrispettività”, per cui solo ciò che è dovuto al lavoratore a causa del contratto di lavoro è assoggettato a contribuzione previdenziale, salvo le esclusioni previste espressamente dalla legge

Le liberalità vengono assoggettate a contribuzione perché non è possibile distinguere ciò che è dovuto da ciò che è liberale, se chi effettua la liberalità è colui che riceve la prestazione di lavoro

Le somme riconosciute a titolo di transazione novativa – ossia al solo scopo di evitare l’alea del giudizio e senza riconoscimento di alcun diritto – non sono assoggettate a contribuzione. Però restano assoggettabili a contribuzione  le somme che erano dovute a titolo retributivo, anche se il lavoratore vi abbia rinunciato accettando la transazione. Ciò significa, in concreto, che se il lavoratore aveva diritto a 1000 a titolo retributivo, e riceve 800 a titolo di transazione novativa, lui dovrà accontentarsi di 800, ma i contributi verranno pagati su 1000 (sempre che l’INPS dimostri che gli 800 spettavano effettivamente …)

Le somme percepite a titolo di risarcimento, sono imponibili ai fini contributivi se sostitutive di retribuzioni (per es.: mancato pagamento di retribuzione a seguito di licenziamento illegittimo); non lo sono, se derivano dall’inadempimento di obblighi non retributivi (per es.: l’obbligo di sicurezza)

2. E’ sbagliato identificare il cd. “minimale contributivo” con l’intera retribuzione; bisognerebbe riformare il sistema, limitando il minimale contributivo ai soli “minimi tabellari” dei ccnl. Infatti, venuto meno il sistema di calcolo “retributivo”, soppiantato da quello “contributivo”, la pensione pubblica deve limitarsi a fornire “mezzi adeguati alle esigenze di vita” dei lavoratori (art. 38 Costituzione), e non (più) a garantire il mantenimento del tenore di vita raggiunto nella vita professionale; e quindi è giusto che essa venga finanziata con la retribuzione “sufficiente ad assicurare una ‘esistenza libera e dignitosa’ ” (art. 36 Costituzione).

Ciò risolverebbe, inoltre, 2 problemi:
quello dell’eccessivo costo del lavoro dovuto al “cuneo contributivo” (si pagherebbero meno contributi obbligatori), con un conseguente miglioramento dei salari netti;
quello della difficoltà di individuare il cd. “contratto leader”, ossia il contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Infatti, per determinare il “minimale contributivo” sarebbe sufficiente fare riferimento ai minimi tabellari del ccnl applicato.

Il problema dei cdd. “contratti pirata” (i ccnl che fissano retribuzioni molto più basse di quelli firmati dai sindacati “più rappresentativi”) andrebbe risolto fissando un salario minimo legale, e non imponendo l’applicazione dei contratti firmati dai sindacati “più rappresentativi”. Oppure condizionando i benefici fiscali, contributivi e normativi per le aziende, all’applicazione di tabelle salariali determinate per legge o amministrativamente, anche (non necessariamente) facendo riferimento ai suddetti contratti collettivi. O in entrambi i modi.

3. La riforma di cui al punto 2, libererebbe risorse per la previdenza contrattuale e complementare, e per il welfare aziendale. Questi, poi, adeguatamente incentivati e promossi, potrebbero perseguire il fine del mantenimento del tenore di vita (che non è garantito dalla pensione pubblica).

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