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UN DIRITTO PER IL LAVORO DEI RIDER

“Un intervento legislativo è indispensabile […]  Su tutto il resto, mi parrebbe meglio promuovere un processo serio di contrattazione collettiva, che adatti le altre protezioni alle caratteristiche peculiari di questa forma di organizzazione del lavoro, rispettandole”

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Intervista a cura di Oscar Serra pubblicata il 26 giugno 2018 sul sito
Lo Spiffero – In argomento v. anche Un diritto per il lavoro nella terra di mezzo [1]  .
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Una ciclofattorina di Foodora in piazza Gae Aulenti a Milano

Professor Ichino, la sentenza del Tribunale del Lavoro di Torino ha sancito l’assenza di un rapporto di dipendenza dei rider con la piattaforma Foodora. Una decisione contro la quale si è pronunciata una parte della sinistra e del sindacato, soprattutto la Cgil, al punto che proprio questa sentenza ha accelerato almeno nell’opinione pubblica, la necessità di un intervento legislativo. Qual è il suo punto di vista?
La sentenza torinese non ha fatto altro che attenersi a un orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli ultimi trent’anni in riferimento al caso dei pony-express: se il contratto lascia libero il lavoratore di presentarsi al lavoro o no, e anche quando si è presentato lo lascia libero di rispondere o no alla chiamata, questo assetto del rapporto è incompatibile con la subordinazione. Ciò non toglie l’esigenza di non lasciare i ciclo-fattorini privi di qualsiasi protezione: per questo occorre un intervento normativo, che prescinda dalla qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata.

Il neo ministro del Lavoro Luigi Di Maio aveva preannunciato un decreto, poi accantonato. Secondo lei su questa materia è opportuno un intervento diretto del governo o è necessario un lavoro parlamentare maggiormente concertato, coinvolgendo anche le parti sociali?
Se si vuole stabilire uno standard retributivo minimo, l’assicurazione anti-infortunistica Inail e quella pensionistica Inps, un intervento legislativo è indispensabile. Eventualmente anche in forma di decreto-legge. Su tutto il resto, mi parrebbe meglio promuovere un processo serio di contrattazione collettiva, che adatti le altre protezioni alle caratteristiche peculiari di questa forma di organizzazione del lavoro, rispettandole.

Sul tema della gig economy il Lazio si è “fatto” la sua legge e di questo passo in ogni regione le condizioni di lavoro potrebbero essere diverse. Il Piemonte, per iniziativa dell’assessore al Lavoro e dei consiglieri della sinistra, intende predisporre una proposta di legge da presentare in Parlamento. C’è il rischio di un’anarchia legislativa su questo tema?
Il disegno di legge preannunciato dalla Giunta Zingaretti costituisce soprattutto un atto politico, importante per il suo tempismo; ma non diventerà legge entro pochi giorni, e anche quando ciò accadrà la norma riguarderà soprattutto gli aspetti sanitari, di prevenzione degli infortuni e di formazione professionale. Quello della Regione Piemonte, invece, è un disegno di legge nazionale. In ogni caso non c’è alcun pericolo di diversificazione della disciplina applicabile al rapporto di lavoro da regione a regione: questa materia rientra nella competenza esclusiva dello Stato.

Nel merito, il provvedimento del Piemonte prevede l’inquadramento dei lavoratori come prestazione subordinata. È una impostazione corretta, secondo lei?
Applicare a questa forma di organizzazione del lavoro le categorie del diritto del lavoro del secolo scorso è molto problematico e rischia di costituire una forzatura.

Come può risolversi, allora, il problema?
Questa forma di organizzazione del lavoro ben può essere assoggettata a una disciplina che rispetti le sue caratteristiche essenziali, in particolare per quel che riguarda la sua marcatissima flessibilità nell’interesse di entrambe le parti. Occorre comunque proteggere il lavoratore da distorsioni dell’equilibrio contrattuale che possono nascere da asimmetrie informative o difetti di mobilità o di possibilità di accesso a percorsi di riqualificazione professionale: effetti del cosiddetto monopsonio dinamico. In questo ordine di idee, indipendentemente dalla qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata, può essere garantito in tutti i casi un primo livello di protezione essenziale: sicurezza e igiene del lavoro, assicurazione pensionistica e antinfortunistica, libertà di coalizione, divieto di discriminazioni e loro prevenzione mediante l’imposizione della trasparenza dell’algoritmo che governa l’abbinamento tra domande e offerte da parte della piattaforma digitale.

Basterebbe questo, od occorrerebbe anche dell’altro?
Compiuto questo primo passo, indispensabile anche per rendere la nuova categoria visibile e darle una sorta di autocoscienza nel sistema delle relazioni industriali, un livello di protezione ulteriore può, in prospettiva, essere ottenuto per via contrattuale o legislativa in riferimento ai casi nei quali l’attività lavorativa sia svolta non soltanto come “lavoretto” a carattere interstiziale, ma con maggiore impegno di tempo e continuità: qui il criterio potrebbe essere quello di una durata minima settimanale del lavoro. In questo caso, potrà dunque essere introdotto anche il diritto al riposo quotidiano, settimanale e annuale, una protezione almeno per i casi di malattia di durata non brevissima, un preavviso di scioglimento del rapporto e una assicurazione contro la disoccupazione. Per arrivare a una estensione di tutte le protezioni proprie del lavoro dipendente nel caso del lavoro in regime durevole di monocommittenza e a tempo pieno o quasi, entro una soglia massima di retribuzione, utilizzando per questo segmento della forza-lavoro una tecnica normativa già sperimentata con la legge Fornero n. 92/2012.

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