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UN LIBRO CHE AIUTA A LIBERARCI DEI SENSI DI COLPA

“[…] Un avvincente racconto diretto di una non comune esperienza di vita, con alcuni momenti a me noti ma anche con tante sorprese e scoperte […]”

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Lettera di Giuseppe (Pepe) Giolitti pervenuta il 23 luglio 2018 – Le altre lettere e recensioni de
La casa nella pineta sono raccolte nella pagina web dedicata al libro
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Pepe Giolitti

Carissimo Pietro, ci ho messo un po’ a decidermi a scriverti dopo aver finito di godermi l’epopea da te così ben descritta “di una famiglia borghese del novecento”, poco prima della presentazione da Gigi Pedroli. […] Insomma, poco tempo per pensare ad altro fino ad ora, e finalmente posso dedicarmi a te.

La lettura della “Casa nella Pineta”, come puoi immaginare, per me, in primo luogo, è stata l’occasione, felicissima,  per rivedere, riflessa nei tuoi racconti della prima parte su infanzia e prima giovinezza, tanta parte della mia, di infanzia e prima giovinezza; una vera e propria immersione, nel ritrovare tanti  punti di contatto tra noi Giolitti e voi Ichino, entrambi con una casa dell’anima (noi Cavour, voi il Forte), culla di affetti profondi, coltivati nei lunghi soggiorni estivi di adulti e ragazzi, spesi a condividere passatempi simili, le gite in bicicletta, le interminabili partite a croquet dopo pranzo, le regate nei ruscelli irrigui lungo i campi di mais, gli spettacoli pirotecnici organizzati da noi ragazzi (Stefano e io) con le “fusette” comprate dal cartolaio del paese (ricordo che una volta un lancio riuscì male, si diffuse un po’ di fumo, e dopo qualche istante sentimmo zio Antonio chiedere con voce incerta: “Stefano, ci sei?”).

Antonio Giolitti

E poi, lì davvero vicini e insieme, le vacanze al Forte, noi alla pensione Bertelli, Antonio Elena e Stefano in casa in affitto (ricordo quella in via Civitali) e con voi in spiaggia, in gita alle Apuane e sotto la pineta, come testimoniano le fotografie che ti ho mandato poco tempo fa.

La parte dedicata all’età adulta per me è stato invece come riincontrare un vecchio amico, allontanatosi per lavoro, che mi racconta le sue vicende, condividendo con me  successi e delusioni, realizzazioni e frustrazioni, in lunghe piacevoli serate: la lettura è stata come un avvincente racconto diretto, fatto a me personalmente, di una non comune esperienza di vita, con alcuni momenti a me noti ma anche con tante sorprese e scoperte. Una scoperta è stata la tua grande creatività: mi ha molto colpito, per esempio, la narrazione del geniale sistema che escogitasti per rendere più rapide le trasmissioni come marconista (ah. le ridotte attitudini militari! Pensa che io, presentatomi alla prima chiamata non sapendo (per fortuna!) di poter fare il rinvio per motivi di studio – ero alto 1,76 e pesavo 47 chili – venni riformato per “grave debolezza costituzionale”…). Creatività che hai messo in pratica tutte le volte che ti sei trovato ad affrontare situazioni nuove, trovando soluzioni efficaci, anche se a volte c’è voluto del tempo per superare gli ostacoli di chi remava contro.

Ma il libro è importante e hai fatto bene a scriverlo anche perché si deve sapere quale sacrificio abbia comportato per te l’essere stato tanto a lungo sotto scorta, quale lo stress di sentirti costantemente sotto minaccia, e vedere il coraggio con cui hai affrontato la situazione, quando la cieca ottusità di un’ideologia portata alle estreme conseguenze trasforma presunti militanti in assassini, per di più recidivi nelle intenzioni.

Non solo: mi hai dato la possibilità di entrare nella vita e nell’intimità di una famiglia diversa, rispetto alla mia, sia per formazione e appartenenza dei genitori, sia per la loro esperienza politica; tendenzialmente liberale, cattolica e credente  la tua, laica e costitutivamente antifascista la mia (non mi tornava molto, da piccolo, la fierezza con cui papà raccontava di essere stato in prigione). Ho così potuto riconoscere e ritrovare, pur nella diversità, la sostanziale condivisione, ma anche la saldezza, di comuni principi educativi ed etici. E sì, diciamolo: principi educativi ed etici della borghesia (be’ della parte migliore della borghesia), scoprendo, sia pure in età avanzata, che alla fin fine non c’è davvero motivo per provare quel sottile sentimento di colpa, quando non di vergogna, che ci veniva instillato dai “rivoluzionari” e militanti nei gruppi marxisti-leninisti che dal 68 e per non pochi anni ci hanno circondato, anche da vicino.

Un’ultima osservazione: mi è piaciuta moltissimo l’appendice. L’avevo inizialmente un po’ trascurata (come capita quasi inevitabilmente con le appendici) ma per fortuna la ho ripresa in mano e bene ho fatto: i temi dei sei ragazzini sono la miglior dimostrazione della bravura di don Lorenzo come maestro elementare: la loro scrittura semplice e diretta riporta alla luce l’antica solida cultura contadina (grazie a Stefano e Andrea andati in Toscana negli anni ’70, ho conosciuto a suo tempo contadini di quella tempra), da cui scaturiscono espressioni fulminanti, pareri di una schiettezza e di una precisione sorprendenti e commoventi. Davvero straordinari quei sei temi. […]

Un forte abbraccio a te e a Costanza

Pepe