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LA SENTENZA DELLA CONSULTA NON SCALFISCE L’IMPIANTO DEL JOBS ACT

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Secondo le notizie dell’ultima ora la Corte costituzionale, con un solo voto di maggioranza e un membro giuslavorista (Giulio Prosperetti) in missione, ha deciso una modifica della disciplina dei licenziamenti introdotta con il decreto n. 23 del 2015.

Più precisamente, ha ritenuto che l’indennizzo cui il lavoratore licenziato ha diritto, nel caso di insufficienza del motivo addotto dall’imprenditore, non possa essere rigidamente predeterminato dalla legge in proporzione alla sola anzianità di servizio: rientra dunque nella discrezionalità del giudice determinarlo, pur sempre entro il minimo e il massimo stabilito dalla legge, ma anche in riferimento ad altri parametri. Quali parametri? Vedremo se la motivazione della sentenza si spingerà a fornire qualche indicazione in proposito; fin d’ora si può ipotizzare che i giudici attribuiscano qualche peso al carico di famiglia, alle condizioni del mercato del lavoro locale, ma anche eventualmente al comportamento tenuto dalle parti nel corso del rapporto e durante il giudizio.

La Corte ha invece respinto la censura mossa dal Tribunale di Roma alla parte della legge nella quale si stabiliscono un minimo e un massimo dell’indennizzo dovuto: il giudice dovrà dunque in ogni caso rispettare questi limiti. Si può dire dunque – salvo sorprese nella motivazione, che si conoscerà soltanto tra qualche settimana – che la sentenza non scalfisce il contenuto essenziale della riforma del 2015, consistente tecnicamente nel passaggio da un regime di job property (cui corrisponde la sanzione della reintegrazione) a un regime fondato su di una liability rule (la sanzione indennitaria, predeterminata nel minimo e nel massimo). L’effetto della sentenza sarà un aumento dell’incertezza circa l’entità dell’indennizzo deciso dal giudice, con conseguente probabile aumento del contenzioso giudiziale. La sentenza avvantaggia più di tutti i lavoratori con anzianità minore, per i quali la protezione contro il licenziamento può aumentare notevolmente di peso: questo avrà un effetto disincentivante sulle assunzioni a tempo indeterminato; mentre non ne avranno vantaggio i lavoratori con anzianità di servizio elevata (per ora solo pochissimi casi di anzianità convenzionale, poiché la nuova norma si applica soltanto ai rapporti costituiti dal 7 marzo 2015), la cui indennità resterà predeterminata nella misura massima prevista dalla legge.

La predeterminazione dell’indennizzo strettamente in funzione dell’anzianità di servizio era stata decisa dal legislatore del 2015 in considerazione del fatto che è sempre molto difficile determinare l’entità del danno che una persona subisce in concreto per la perdita del lavoro: esso infatti dipende in misura preponderante dal comportamento che la persona stessa tiene nella fase successiva al licenziamento, nella ricerca della nuova occupazione, e dalle alternative occupazionali di cui essa può disporre. Per questo motivo è prevedibile che la maggior parte dei giudici continui, anche dopo questa sentenza della Consulta, ad assumere l’anzianità di servizio del lavoratore come parametro principale per la determinazione dell’indennizzo tra il minimo delle sei mensilità e il massimo delle trentasei. Se così sarà, l’impatto pratico della sentenza sarà tutto sommato limitato.

Rappresentazione grafica degli effetti
della sentenza costituzionale

Questa tabella (elaborata dal dott. Fabio Perrone, che ringrazio per l’autorizzazione a pubblicarla) illustra l’andamento dei trattamenti economici previsti nel d.lgs. n. 23/2015.

La linea gialla e la linea azzurra rappresentano rispettivamente gli indennizzi giudiziali “forte” e “debole” previsti dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 23/2015 per il difetto di giustificazione del licenziamento e per il vizio formale o procedurale: la sentenza della Corte costituzionale incide soltanto su questi indennizzi che non si sommano alla reintegrazione, lasciandone inalterato il limite minimo e il massimo, ma consentendo al giudice di determinarne l’importo in ciascun caso concreto anche in riferimento a circostanze diverse dall’anzianità di servizio.

Alcuni altri chiarimenti per la lettura della tabella:
– con il termine “tardività”, in riferimento alle linee blu e rossa (che rappresentano il caso di indennizzo in aggiunta alla reintegrazione, applicabile nel caso di licenziamento nullo per illiceità del motivo: discriminazione, rappresaglia, ecc.), nella tabella si intende il ritardo nella reintegrazione rispetto al licenziamento, con la conseguente omissione contributiva e le relative sanzioni civili e amministrative applicate dall’Inps;
la linea marrone rappresenta l’indennizzo in aggiunta alla reintegrazione previsto dal d.lgs. n. 23/2018 per il caso di licenziamento disciplinare nel quale risulti dimostrata in giudizio l’insussistenza del  “fatto materiale” della mancanza contestata  al lavoratore;
– la linea verde rappresenta l’indennizzo esente da Irpef nel caso di “conciliazione standard”: la sentenza della Corte costituzionale non incide su questo indennizzo, che le parti restano libere di determinare pattiziamente come vogliono, ma la cui parte esente da Irpef resta determinata esclusivamente in funzione dell’anzianità di servizio fino a un massimo di 27 mensilità.