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IL DEBITO ICI DELLA CHIESA: GIUSTIZIA EUROPEA, PROBLEMA ITALIANO

Dalla sentenza della Corte di Giustizia una spinta a riconsiderare un’ipotesi molto seria: se si assegnasse a ciascuno studente una borsa da 3000 euro da poter spendere in istituti parificati e questo raddoppiasse il numero di alunni di questi istituti, non ci sarebbero “oneri aggiuntivi per lo Stato” e aumenterebbe la concorrenza

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Articolo di Alessandro De Nicola pubblicato su
la Repubblica il 7 novembre 2018 – In argomento v. anche gli articoli e documenti raccolti nel portale Il finanziamento indiretto degli atenei mediante il sistema degli income contingent loans [1] .
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Alessandro De Nicola

La notizia è eclatante: la Corte di Giustizia Europea ha deliberato che lo Stato italiano deve incassare l’Ici, tassa dalla quale gli edifici della Chiesa erano esentati fino al 2011, considerando la mancata riscossione un aiuto di Stato proibito dai trattati europei. Sono state così annullate una decisione della Commissione del 2012 e la successiva sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano invece sancito “l’impossibilità di recupero dell’aiuto a causa di difficoltà organizzative” nei confronti degli enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi.

La vicenda ha avuto origine da un ricorso presentato nel 2013 dalla scuola privata Montessori che contestava, appunto, la decisione della Commissione. La Corte di Giustizia, puntualizzando come che i ricorrenti fossero situati “in prossimità immediata di enti ecclesiastici o religiosi che esercitavano attività analoghe” e dunque l’esenzione Ici li poneva “in una situazione concorrenziale sfavorevole (..) e falsata” ha per l’appunto, deciso che le difficoltà organizzative dello Stato Italiano non lo esimono dal richiedere il pagamento dei mancati incassi.

L’equiparazione di benefici fiscali ad aiuti di Stato illeciti è una costante della giurisprudenza europea, basti pensare alla recente sentenza Apple che ha imposto all’Irlanda di recuperare ben 14 miliardi di imposte.

Il problema che ora dobbiamo porci riguarda le conseguenze di tale provvedimento nei confronti delle scuole paritarie cattoliche (gli altri enti hanno una situazione simile ma non svolgono un servizio pubblico diffuso come gli istituti scolastici). Si parla infatti potenzialmente di versare miliardi di euro, il che potrebbe portare alla chiusura di molte di esse. Ebbene, qui non si tratta di essere a favore o meno delle scuole confessionali, ma di riconoscere il rilevante servizio pubblico svolto dagli istituti paritari, i quali, per essere accreditati, devono sottostare ad un sistema pubblico di controlli e verifiche. Invero, per l’età prescolare, senza asili nido privati centinaia di migliaia di famiglie non saprebbero dove sbattere la testa e i circa 900.000 alunni che frequentano le paritarie costano allo Stato 550 euro ciascuno (l’attuale dotazione pubblica è di 500 milioni, sebbene alcune regioni aggiungano ulteriori contributi) mentre la spesa pro-capite degli scolari degli istituti pubblici è di 6.000 euro. Se domani tutte le scuole paritarie cattoliche chiudessero è ovvio che le casse pubbliche avrebbero un aggravio di vari miliardi di euro all’anno.

Ebbene, da questa decisione della Corte di Giustizia potrebbe scaturire l’occasione di riconsiderare l’approccio del nostro paese all’offerta formativa. Senza naturalmente distinzione tra istituti religiosi e laici, il governo potrebbe cominciare a ragionare sul fatto che se, ad esempio, assegnasse borse da 3000 euro a ciascun studente da poter spendere in collegi paritari e questo raddoppiasse il loro numero di alunni, non ci sarebbero “oneri aggiuntivi per lo Stato”, grazie ai risparmi di spesa per la scuola statale (ovviamente ci sono economie e diseconomie di scala da considerare, ma si tratta di un esempio illustrativo). Non solo, concorrenza tra scuole significa maggiore innovazione, sforzo di migliorarsi e riconoscimento concreto che tra le libertà personali fondamentali, esiste anche la libertà educativa, pure all’interno di linee guida, controlli e curriculum scolastici approvati dallo Stato.

L’urgenza di evitare la chiusura di centinaia di scuole, potrebbe trasformarsi insomma in opportunità di miglioramento del nostro sistema scolastico compatibilmente coi vincoli di bilancio. Staremo a vedere.

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