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SUL SEVERANCE COST E IL CONTENUTO ASSICURATIVO DEL RAPPORTO DI LAVORO IN ITALIA E IN CINA

Una utile discussione suscitata dal confronto tra la disciplina dei licenziamenti italiana e quella cinese, modificate entrambe tra il 2012 e il 2015, in modi e con contenuti differenti ma che presentano notevoli analogie

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Messaggio di Sergio Briguglio,
ricercatore Enea oltre che mio ex-studente del Master Europeo in Scienze del Lavoro, pervenuto il 15 aprile 2019, in riferimento al mio editoriale telegrafico Il Jobs Act comunista [1]Segue la mia risposta – Sulle nozioni di severance cost e di “contenuto assicurativo del rapporto di lavoro” v. il mio ultimo corso di Istituzioni di Diritto del Lavoro [2], e ivi particolarmente le lezioni 3, 22-23 e 29-32; inoltre, più ampiamente, il mio scritto su Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento e il contenuto assicurativo del rapporto di lavoro [3], pubblicato sul n. 4/2018 della Rivista Italiana di Diritto del Lavoro
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[4]Caro Pietro, nel tuo terzo editoriale telegrafico di oggi affermi che la normativa italiana prevede un severance cost per il licenziamento di entità doppia (se rapportata alla retribuzione mensile del lavoratrore) rispetto a quella prevista dalla normativa cinese (per il caso di cui al primo comma dell’art. 47 di quel Codice del Lavoro). A me sembra che la normativa italiana fissi comunque un tetto pari a 24 mensilità. L’entità è quindi doppia solo per licenziati con anzianità di servizio non superiore a 12 anni.
Inoltre, il severance cost italiano si riduce a zero se il giudice ritiene che il licenziamento sia adeguatamente motivato sotto il profilo oggettivo. L’articolo 46 della legge cinese impone invece la corresponsione dell’indennita’ anche in casi (es.: art. 40) in cui il motivo oggettivo evidentemente sussiste.
Da questo punto di vista, mi pare che il diritto cinese sia molto più attento di quello italiano a preservare il contenuto assicurativo del rapporto di lavoro subordinato. Dove sbaglio?
Un caro saluto
Sergio

Nella realtà delle relazioni industriali italiane, l’indennizzo previsto dalla legge per il licenziamento basato su di un motivo oggettivo (economico-organizzativo) finisce coll’essere di fatto un severance cost, nel senso che esso viene pagato quasi sempre, tranne che nelle chiusure per fallimento o comunque catastrofiche. Questo accade perché l’incertezza assoluta e irriducibile circa l’esito del giudizio induce sempre il datore di lavoro a pagare: altrove mi sono proposto di spiegare come il “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento sia costituito, in ultima analisi, da un evento futuro (la perdita che il datore di lavoro si attende dalla prosecuzione del rapporto, superiore a una soglia di sopportabilità), come tale non suscettibile di prova giudiziale; l’entità della soglia di sopportabilità non è peraltro definita dalla legge, bensì è affidata dalla legge al giudice caso per caso. Però S.B. ha ragione nel denunciare una imprecisione – per la quale l’unica mia scusa è il vincolo giornalistico delle 2000 battute entro cui devono stare gli “editoriali telegrafici” per poter continuare a chiamarsi così – in riferimento al rapporto tra severance cost italiano e severance cost cinese: in Italia il massimo è oggi di 36 mesi (dopo il c.d. “decreto-dignità” del 2018), mentre in Cina – curiosamente – è stato stabilito un numero massimo di mensilità solo per il caso del licenziamento del lavoratore di professionalità più elevata.   (p.i.)

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