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IL MIO INCONTRO DA ADOLESCENTE CON DON GIOVANNI BARBARESCHI

Il suo discorso andava sempre a parare sulla grande questione: “qual è il senso che vuoi dare alla tua vita?” – Non mirava a riunirci in una comunità a sé stante, ma ci spronava a impegnarci in tutte le “formazioni sociali” attive a Milano in quegli anni: dalla Gioventù di Azione Cattolica alle Associazioni studentesche di istituto

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Ricordo scritto per una pubblicazione su don Giovanni Barbareschi curata da don Giuseppe Grampa e Pippo Ranci – In argomento v. anche l’omelia pronunciata dallo stesso don Grampa alla messa per il funerale di don Barbareschi [1], che era morto il 4 ottobre 2018
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don Giovanni Barbareschi, mezzo secolo dopo il mio incontro con lui al Liceo Manzoni di Milano (non ho trovato alcuna sua foto di allora)

Venivo dalla scuola media inferiore, nella quale avevo avuto un insegnante di religione abbastanza tradizionale nel metodo didattico e nei contenuti. L’incontro con don Giovanni Barbareschi in quarta ginnasio, al Manzoni, fu per me molto sorprendente: capii immediatamente che quel prete imponente, con la sua voce profonda e quegli occhi che scrutavano dentro i nostri, ci avrebbe condotto per strade completamente nuove e più impegnative. Le cose per noi straordinarie di cui ci parlava, e il modo in cui ce ne parlava, conquistavano la nostra attenzione e non la mollavano più, fino alla fine della lezione; e anche oltre, perché il discorso con lui proseguiva appassionato in corridoio durante l’intervallo, poi ancora quando il professore dell’ora successiva era già entrato in classe e aveva incominciato la sua lezione.

Che ci parlasse della sua esperienza nel gruppo delle Aquile randage, durante la Resistenza, o del significato profondo di alcuni passaggi della prima parte della Costituzione, oppure della questione sociale o della fame in quello che allora chiamavamo il Terzo Mondo, oppure ancora di qualche tema che proprio allora era al centro delle discussioni dei vescovi riuniti a Roma in Concilio, il suo discorso andava sempre a parare sulla grande questione sulla quale voleva imporci di riflettere: “qual è il senso che vuoi dare alla tua vita”, “che cosa fa sì che alla fine della tua giornata, del tuo anno, della tua esistenza, ciò che hai vissuto attinga l’eternità, assuma un valore assoluto, non possa essere considerato un soffio di fumo nel vento”.

[3]Ci riusciva, a farci riflettere su questo interrogativo; perché ci scuoteva e ci entusiasmava. A differenza, però, di don Luigi Giussani, che in quegli stessi anni scuoteva ed entusiasmava gli adolescenti del Berchet e non solo, don Giovanni non mirava a riunirci in una comunità a sé stante qual era Gioventù Studentesca, bensì ci spronava a impegnarci in tutte le “formazioni sociali” attive a Milano in quegli anni: dalla Gioventù di Azione Cattolica alle Associazioni studentesche di istituto, dalle Acli ai partiti politici. Sì, “i partiti”. Ricordo come fosse ieri la sua risposta a un mio compagno che gli chiedeva un consiglio sull’organizzazione giovanile in cui incominciare a muovere i primi passi in politica: con gli occhi che dardeggiavano e scandendo le parole una per una gli rispose “non avrai mai da me, sacerdote, l’indicazione del partito in cui militare: vai, guarda con occhio critico, e scegli quello che ti pare tutto sommato il migliore; purché non diventi mai per te una chiesa”.

Era la stessa cosa che a me diceva un altro grande sacerdote, padre Giuseppe Acchiappati, che ha avuto un ruolo importantissimo nella mia formazione. Ma don Barbareschi aveva una capacità peculiare di darci, con i suoi racconti, un assaggio di che cosa possa significare la passione politica, nel senso più alto e puro di questo termine.

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