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SE IL PIL NON CRESCE LA DISOCCUPAZIONE NON SCENDE

Qualche calcolo a partire dai dati sulla disoccupazione degli ultimi dieci anni mostra l’inversione di tendenza consentita dalle riforme Poletti-Renzi e il contributo della crescita del Pil al calo dei senza lavoro – È invece presto per valutare gli effetti del “decreto dignità”

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Articolo di Francesco Daveri [1], professore di macroeconomia all’Università Bocconi, pubblicato su Lavoce.info [2] il 5 luglio 2019 – In argomento v. anche
Dalla metà del 2018 aumentano i contratti a termine e si riducono quelli stabili [3], n. 43 di Mercato del Lavoro News, bollettino della Fondazione Anna Kuliscioff

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Il professor Francesco Daveri

Un metodo per interpretare le variazioni della disoccupazione

I buoni dati di maggio sul mercato del lavoro (disoccupazione sotto al 10 per cento per la prima volta dal 2012; percentuale di occupati sulla popolazione in età lavorativa al livello record del 59 per cento) sono stati registrati con giusta soddisfazione del ministro del Lavoro Luigi Di Maio che, dal giugno 2018, aveva assistito impotente, e forse un po’ deluso, a oscillazioni mensili della percentuale dei disoccupati intorno al 10,5 per cento della forza lavoro. È ancora presto per dire se siamo davanti a una inversione di tendenza. Usando i numeri degli ultimi dieci anni si può però fare qualche calcolo in funzione del quale valutare se e quanto le variazioni nei dati mensili siano destinate a durare.

A far andare su e giù la disoccupazione sono sostanzialmente due circostanze. La prima è data dalle caratteristiche di maggiore o minore flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti del mercato del lavoro. Sono caratteristiche costanti per lunghi periodi di tempo, a meno che non intervenga una riforma legislativa o regolamentare. Esempi di riforme sono il “decreto Poletti” del febbraio 2014, volto a facilitare la stipula e il rinnovo di contratti di lavoro precario, e il Jobs act di Matteo Renzi che, associato nel 2015 e 2016 a sconti contributivi per chi assumeva lavoratori a tempo indeterminato, voleva incoraggiare appunto la stipula di contratti di lavoro permanenti. Altro esempio recente è il cosiddetto “decreto dignità” del ministro Di Maio che aveva l’obiettivo opposto del decreto Poletti, mirando a favorire le conversioni dei contratti di lavoro verso il tempo indeterminato.

Oltre all’influenza delle regole del mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione subisce anche oscillazioni di breve periodo che per lo più derivano dalla crescita del Pil del trimestre precedente: se il Pil sale, le aziende ci pensano un po’ per capire se l’aumento è duraturo, ma poi assumono di più e la disoccupazione scende. Se il Pil scende, accade il contrario. Oltre al Pil, di trimestre in trimestre, pesano anche altre circostanze difficili da misurare.

Semplificando, un riferimento per ragionare è dunque quello di ritenere che la variazione della disoccupazione trimestrale sia una costante (determinata dalle regole del mercato del lavoro) a cui si aggiungono gli effetti delle variazioni del Pil trimestrale rispetto al trimestre precedente (più altri eventuali effetti residuali che non riusciamo a capire o misurare).

Usando i dati trimestrali degli ultimi dieci anni (dal primo trimestre 2010 al primo trimestre 2019) e guardando alle relazioni medie tra le variabili, si possono così calcolare tre numeri:

  1. la costante che misura la variazione del tasso di disoccupazione tra il 2010 e l’inizio del 2014 (cioè prima delle riforme Poletti e Renzi). È un numero positivo e pari a 0,22
  2. la costante che misura l’evoluzione della disoccupazione dopo le riforme Poletti e Renzi. È un numero statisticamente pari a zero
  3. il coefficiente che lega la variazione nella disoccupazione trimestrale alla crescita del Pil del trimestre precedente. Il coefficiente è un numero negativo e pari a -0,37. È il cosiddetto coefficiente “di Okun”, da Arthur Okun, il consulente di Robert Kennedy che lo calcolò per primo negli anni Sessanta con dati Usa.

Cosa dicono le statistich [5]e degli ultimi dieci anni

Sugli ultimi dieci anni i dati mostrano due cose semplici. La prima è sul 2010-2014. Se in quegli anni la crescita del Pil fosse stata uguale a zero in tutti i 16 trimestri tra inizio 2010 e inizio 2014, la disoccupazione sarebbe salita di 0,2 punti circa in ogni trimestre e dunque di 3,5 punti in quattro anni (=0,22 moltiplicato per 16): dal 7,2 per cento del primo trimestre 2010 al 10,7 per cento del primo trimestre 2014.

La vera disoccupazione di inizio 2014 è stata invece ben più elevata, pari al 12,7 per cento, e i calcoli dicono che circa metà dell’aumento aggiuntivo di due punti è spiegato dal calo del Pil. Infatti, tra inizio 2010 e inizio 2014, il Pil scese del 3 per cento, e -3 moltiplicato per -0,37 fa circa +1,1 punti percentuali, circa la metà dell’aumento di 2 punti da 10,7 a 12,7 per cento. L’altro punto percentuale di maggiore disoccupazione è probabilmente da attribuire all’esaurirsi della protezione temporaneamente garantita dai programmi di cassa integrazione – attivati massicciamente durante la crisi 2008-2009, ma che non è stato più possibile rinnovare.

Poi, dal primo trimestre 2014, arrivano le riforme di Poletti e Renzi (l’una qualitativamente di segno opposto rispetto all’altra, ma comunque tutte e due con l’obiettivo di incoraggiare l’occupazione). La disoccupazione scende dal 12,7 al 10,5 per cento a metà 2018. Dai calcoli viene fuori che le riforme Poletti-Renzi sembrano aver trasformato la crescita per così dire “naturale” della disoccupazione del periodo 2010-2014 (era un +0,22 per trimestre, forse attribuibile alla lunga coda della crisi 2008-09) in un coefficiente trimestrale pari a zero. Come dire che, in assenza di crescita del Pil, da inizio 2014 a metà 2018, la disoccupazione sarebbe rimasta quella che era. Non la rivoluzione sbandierata da Renzi, ma una chiara inversione di tendenza rispetto all’andamento precedente. I dati indicano che il calo della disoccupazione dal 2014 a metà 2018 sarebbe invece da associare essenzialmente alla crescita del Pil, il cui aumento complessivo (del 4,4 per cento) moltiplicato per -0,37 (il coefficiente di Okun) spiegherebbe un calo della disoccupazione di circa 1,6 punti percentuali (la gran parte della riduzione verificatasi).

Cosa sta succedendo ora?

I calcoli riportati sopra consentono anche di fare qualche commento su ciò che è accaduto nell’ultimo anno e una previsione su ciò che potrebbe accadere al mercato del lavoro.

Per il momento non è ancora possibile valutare se e in che senso il “decreto dignità” – che ha prodotto i suoi primi effetti nel novembre 2018 – ha modificato la tendenza del mercato del lavoro, cioè se lo zero calcolato per gli anni 2014-18 è cambiato nel tempo con il decreto.

Si può però dire qualcosa su quanta parte del (possibile, ma ancora da consolidare) calo della disoccupazione da 10,5 al 10 per cento di aprile-maggio sia riconducibile al Pil. Pare non molto. Il Pil, infatti, ristagna da un anno, mentre la disoccupazione è appunto calata di mezzo punto. Non è però impossibile che i dati positivi di aprile e maggio risentano almeno parzialmente del ritorno alla crescita del Pil nel primo trimestre 2019 (ma 0,1 di crescita moltiplicato per -0,37 produce un numero piccolissimo, pari a nemmeno un decimo del calo della disoccupazione osservata).

Per fare calcoli più precisi occorrerà aspettare qualche trimestre, sia per trarne conclusioni ottimistiche che pessimistiche. Una corretta valutazione delle politiche richiede un’attenta analisi dei dati, non la rincorsa del numero mensile che più si presta a sostenere tesi preconcette. L’analisi dell’esperienza passata suggerisce però almeno una conclusione: senza crescita del Pil la disoccupazione non scende in modo duraturo.

Equazione stimata alla base dei numeri riportati nell’articolo

Nota: qui sono scaricabili i dati [6]

La variazione della disoccupazione spiegata dai calcoli indicati è il 55 per cento del totale e i test statistici dicono che non c’è evidenza di errata specificazione della relazione (il test di Durbin-Watson vale 2,1). I coefficienti stimati per il periodo 2010-14 e per la relazione tra crescita e disoccupazione (0,22 e -0,37) sono statisticamente significativi. Cioè i loro valori sono abbastanza ragionevoli da farne un punto di riferimento per l’analisi. Il coefficiente stimato per il periodo 2014-19 è invece sostanzialmente uguale a zero.

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