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IL PESO DELL’OFFERTA DI LAVORO INADEGUATA SULLA CRESCITA IN ITALIA

Statistiche del lavoro europee: in Italia un mercato del lavoro da Europa Orientale (di un po’ di anni fa, però), con un prelievo fiscale da Scandinavia

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Articolo di Claudio Negro tratto dal suo blog, 7 gennaio 2020 – In argomento v. anche l’articolo di Francesco Daveri su lavoce.info del 5 luglio 2019, Se il PIL non cresce, la disoccupazione non scende [1] .
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[2]Esiste una relazione che è utile rilevare tra offerta di lavoro (occupati + disoccupati ma attivi in ricerca di lavoro) e prestazioni delle economie europee. Per maggior chiarezza occorre anche prendere in considerazione dati quali la durata della vita lavorativa (e quindi l’età effettiva del pensionamento), le ore effettivamente lavorate nel sistema dell’economia nazionale, la produttività del lavoro, e quindi l’incidenza del livello di istruzione sull’occupazione e sulla produzione di valore aggiunto, e di conseguenza sul reddito da lavoro, nonché l’incidenza dei pensionati sul totale della popolazione e in rapporto ai lavoratori attivi.

La tesi che vorremmo dimostrare è che lo stato di salute delle economie nazionali e di conseguenza la loro capacità di produrre e redistribuire reddito è diretta funzione (tra l’altro) della quantità e qualità di offerta di lavoro. E osserveremo che esiste una redistribuzione di questi indicatori su un asse Nord-Sud in Europa.

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1. Tasso di occupazione

Partiremo ovviamente dal tasso di occupazione (persone occupate sul totale della popolazione). Qui sotto potete vedere una tabella che reca i tassi di occupazione sia rispetto alla popolazione attiva che alla popolazione totale.

(Tutti dati riportati sono di fonte Eurostat, o altrimenti specificato)

Occupati su popolazione attiva/occupati su popolazione totale

GEO/TIME 2000 2018 2000 2018
European Union – 28 countries : 73,7 : 68,6
Euro area (17 countries) 67,6 73,4 61,4 67,3
Belgium 65,1 68,6 60,5 64,5
Bulgaria 60,7 71,5 50,4 67,7
Czechia 71,3 76,6 65,0 74,8
Denmark 80,0 79,4 76,3 75,4
Germany 71,1 78,6 65,4 75,9
Estonia 70,9 79,1 60,3 74,8
Ireland 71,5 72,9 68,3 68,6
Greece 63,8 68,2 56,5 54,9
Spain 65,4 73,7 56,3 62,4
France : 71,9 : 65,4
Croatia : 66,3 : 60,6
Italy 60,1 65,6 53,7 58,5
Cyprus 69,2 75,0 65,8 68,6
Latvia 67,4 77,7 57,6 71,8
Lithuania 70,9 77,3 59,1 72,4
Luxembourg 63,6 71,1 62,0 67,1
Hungary 60,1 71,9 56,3 69,2
Malta 57,8 74,7 54,0 71,9
Netherlands 75,2 80,3 72,9 77,2
Austria 71,0 76,8 68,5 73,0
Poland 65,8 70,1 55,0 67,4
Portugal 71,4 75,1 68,4 69,7
Romania 68,4 67,8 63,0 64,8
Slovenia 67,5 75,0 62,8 71,1
Slovakia 69,9 72,4 56,8 67,6
Finland 74,5 77,9 67,2 72,1
Sweden 76,1 82,7 71,8 77,4
United Kingdom 75,5 77,9 71,2 74,7
Norway 80,2 77,9 77,5 74,8
Switzerland : 84,2 : 80,1

 

Come si può constatare l’Italia è in fondo alla classifica sia per occupati rispetto alla popolazione attiva (65,6%) che rispetto alla popolazione complessiva (in età da lavoro, ovviamente): 58,5%. Va dato atto che questi indicatori sono significativamente in crescita (attorno al 5%) rispetto al 2000, però non tanto da recuperare rispetto all’area €, che nel frattempo è aumentata del 6%. Con il 58,5% di occupati sul totale di popolazione ci collochiamo al penultimo posto in Europa, e col 65,6% sulla popolazione attiva addirittura all’ultimo posto!

 

2. Tassi di attività

D’altra parte la scarsa partecipazione al mercato del lavoro in Italia è confermata dalla tabella dei tassi di attività della popolazione in età da lavoro (non completa per buchi Eurostat, ma ugualmente indicativa):

Tassi attività 3° trimestre 2000 e 3° trimestre 2019

GEO/TIME 2000Q3 2019Q3
Belgium 65,9 69,6
Bulgaria 61,2 74,2
Czechia 71,3 76,9
Denmark 80,0 79,6
Germany : 79,5
Estonia 71,2 79,4
Ireland 70,0 73,5
Greece 64,0 :
Spain 65,7 73,9
France : 71,5
Italy 60,5 65,4
Cyprus : 76,1
Luxembourg : 72,1
Hungary 60,5 72,8
Netherlands 75,6 81,1
Austria 71,1 77,7
Poland 65,8 :
Portugal 71,7 75,8
Romania 70,2 :
Slovenia 68,7 :
Slovakia 70,0 72,8
Finland 75,6 :
Sweden : 83,7
United Kingdom 75,9 78,3

Il tasso di attività dell’Italia (persone occupate + in cerca di occupazione) è significativamente inferiore a quello dei nostri più diretti interlocutori in UE. In particolare è la più alta del Continente la percentuale di NEET (giovani che né lavorano né studiano): nel 2018 erano il 28,9% della fascia di età tra 20 e 34 anni, contro una media europea del 16,5%, in Germania 11,4%, in Francia 17,7% e in Svezia 8%.

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[3]3 – Quantità di lavoro erogata

Valutare la quantità di lavoro erogata nei singoli Paesi e fare una comparazione è poco indicativo, perché ovviamente la quantità di ore lavorate varia a seconda dell’economia e della popolazione dei vari Paesi. Si può istituire un confronto tra la media di ore lavorate pro capite, come illustrato nella tabella seguente:

Ore settimanali medie effettivamente lavorate pro capite
terzo trimestre 2010/terzo trimestre 2019

Belgium 37,4 36,3
Bulgaria 40,9 39,9
Czechia 40,2 39,0
Denmark 35,9 34,2
Germany 35,9 35,1
Estonia 39,1 38,0
Ireland 35,6 36,6
Greece 42,0 :
Spain 38,5 37,3
France 37,4 36,7
Croatia 40,1 :
Italy 38,0 37,4
Cyprus 39,8 39,3
Latvia 39,1 :
Lithuania 39,0 :
Luxembourg 38,4 37,6
Hungary 39,5 39,1
Malta 37,8 :
Netherlands 32,2 32,1
Austria 37,7 36,0
Poland 41,1 :
Portugal 39,1 38,6
Romania 39,8 :
Slovenia 39,2 :
Slovakia 39,4 39,1
Finland 37,5 :
Sweden 36,6 35,9
United Kingdom 35,5 35,9
Iceland 39,5 :
Norway 34,7 34,4
Switzerland 37,4 36,1

Come si vede in questa graduatoria l’Italia è abbastanza nella media. Tuttavia occorre tener presente che per istituire un paragone anche solo indicativo circa la quantità di lavoro effettivamente erogato occorre moltiplicare le ore settimanali pro capite per il numero degli occupati di ogni singolo Paese. Per cui le 35,1 ore della Germania van moltiplicate per un numero di addetti ben superiore al nostro, e lo stesso, con numeri più ridotti, vale per la Francia. Si tratta di Paesi paragonabili al nostro per dimensione dell’economia e della popolazione. Da notare lo strano dato dell’Olanda, che in realtà è determinato dalla grandissima diffusione del part time soprattutto femminile.

 

[4] 4. Produttività per ora lavorata

Purtroppo occorre rilevare che, mentre in Italia calano le ore lavorate pro capite come in tutta Europa, non aumenta la produttività della singola ora lavorata, al contrario di tutta Europa (tranne la Grecia); infatti la diminuzione di ore lavorate corrisponde direttamente ad un calo del PIL (che in effetti non è ancora tornato ai livelli ante crisi). Ossia: in Italia si è contratta l’offerta di lavoro; fenomeno abbastanza insolito e in controtendenza palese con le dinamiche post crisi dell’Europa.

Produttività per ora lavorata – 2010 = 100 – Terzo trim. 2010 / terzo trim. 2019

European Union – 28 countries 100,3 108,9
Euro area (19 countries) 100,3 107,7
Bulgaria 100,7 129,0
Czechia 100,2 114,4
Denmark 101,1 112,4
Germany 100,5 108,5
Estonia 102,0 123,2
Ireland 101,7 143,6
Greece 98,7 94,0
Spain 100,0 108,3
France 100,2 107,5
Italy 100,6 100,6
Cyprus 100,8 104,6
Latvia 97,3 130,1
Lithuania 97,8 127,5
Luxembourg 100,0 101,0
Hungary 100,1 110,6
Malta 100,4 123,0
Netherlands 99,3 104,3
Austria 100,4 107,2
Poland 100,6 133,4
Portugal 99,9 106,1
Romania 99,2 146,7
Slovenia 100,4 112,7
Slovakia 100,3 119,3
Finland 101,1 106,6
Sweden 99,6 107,1
United Kingdom 100,2 103,5
Norway 98,0 103,3

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5. Durata effettiva della vita lavorativa

Un dato particolarmente significativo è quello della durata effettiva della vita lavorativa: come potete vedere nella tabella sotto l’Italia è in assoluto il Paese dove la vita lavorativa è più breve, anche più di altri Paesi Mediterranei come Grecia e Croazia. Positivo il fatto che dal 2000 al 2018 sia aumentata di 3,3 anni, ma nei Paesi più sviluppati nello stesso periodo è aumentata ben di più (+ 4,4 la Germania, + 3,7 la Francia, + 5 l’Olanda) e partendo da basi che erano molto superiori a quella italiana. I dati della tabella sono inequivocabili: nei Paesi dove si lavora più a lungo sono quelli dove si produce più ricchezza e la si redistribuisce in modo migliore.

 Durata della vita lavorativa

GEO/TIME 2000 2018
European Union – 28 countries 32,9 36,2
Euro area (19 countries) 32,2 35,9
Belgium 30,2 33,2
Bulgaria 29,0 33,1
Czechia 33,6 36,3
Denmark 38,3 39,9
Germany 34,3 38,7
Estonia 33,4 39,0
Ireland 33,2 37,0
Greece 31,4 32,9
Spain 30,9 35,2
France 31,9 35,4
Croatia 30,4 32,4
Italy 28,5 31,8
Cyprus 34,2 37,1
Latvia 31,7 36,7
Lithuania 33,6 36,7
Luxembourg 29,2 33,5
Hungary 27,5 34,1
Malta 28,9 35,9
Netherlands 35,5 40,5
Austria 33,5 37,5
Poland 31,1 33,5
Portugal 35,7 38,0
Romania 36,0 33,5
Slovenia 31,8 36,1
Slovakia 32,1 34,1
Finland 36,4 38,6
Sweden 36,9 41,9
United Kingdom 37,0 39,2
Iceland 46,2 46,3
Norway 38,9 39,6
Switzerland 39,8 42,7

Il  dato della tabella sopra va letto assieme a quello del numero dei pensionati rispetto alla popolazione totale e attiva di ogni Paese, che potete vedere nella tabella sotto (mia elaborazione su dati Eurostat 2018)

Stato % pensionati su popolazione totale % pensionati su popolazione attiva
GERMANIA 28,18 58,99
SPAGNA 20,71 50,86
FRANCIA 28,71 74,60
ITALIA 26,25 61,22
OLANDA 20,71 44,76
SVEZIA 26,70 56,72
REGNO UNITO 23,60 51,96

Come si vede l’incidenza  dei pensionati sul totale della popolazione per l’Italia è abbastanza nella media dei Paesi che possono confrontarsi con noi, tenuto anche conto dell’oggettiva maggiore anzianità della popolazione italiana rispetto a quella degli altri Stati Europei. Le cose cambiano però se si prende in considerazione il numero dei pensionati rispetto alla popolazione attiva (occupati o in cerca di occupazione): i dati di Italia e (soprattutto) Francia sono molto superiori a quelli degli altri Paesi. Non a caso la Francia sta affrontando in modo drammatico l’esigenza di rendere sostenibile il sistema previdenziale. In Italia significa che ci sono 1,41 attivi per ogni pensionato; in Francia addirittura 1,33. In Germania, che pure ha una situazione sociale ed economia paragonabile a Italia e Francia, per ogni pensionato ci sono 1,7 attivi.

 

[5]6. Sistema formativo e mercato del lavoro

Un altro elemento di debolezza dell’offerta di lavoro in Italia è costituito dal profondo scollamento tra il sistema formativo e il mercato del lavoro. Non solo l’Italia è il Paese Europeo con meno laureati (tranne la Romania) ma il tasso di occupazione dei (pochi) laureati è il più basso in Europa, come si può riscontrare nella tabella sotto (mia elaborazione su dati Eurostat 2018)

Paese % laureati su popolazione totale % laureati su popolazione attiva % occupati con istruzione primaria % occupati con istruzione secondaria % occupati con istruzione terziaria o oltre
UE 28 paesi 18,2 42,5 46,4 71,7 84,5
Area Euro 17,7 42,2 46,5 71,1 83,6
Germania 19,6 33,5 48,3 80,2 88,5
Spagna 22,0 54,0 51,3 60,6 80,1
Francia 20,0 51,9 40,1 67,0 82,9
Italia 10,9 29,4 43,8 64,3 78,7
Olanda 21,0 45,3 60,4 79,1 88,5
Svezia 23,2 49,1 46,8 83,0 88,6
Regno Unito 24,2 53,3 61,1 74,4 85,3

Un’avvertenza per non trarre conclusioni errate dai dati: il relativamente basso tasso di laureati per la Germania è l’effetto di un sistema di Formazione Professionale ottimo e parallelo ai percorsi di istruzione, che garantisce occupazione quasi certa e molto qualificata. Per l’Italia ai bassissimi tassi di istruzione terziaria occorre sommare  il fenomeno della sovraistruzione, che per i laureati tocca il 40%: ossia il 40% dei laureati occupati svolge funzioni per le quali è troppo qualificato (G.Gazzoli – Il Punto Pensioni e Lavoro). In sostanza, pochi laureati che  molto spesso fanno lavori inferiori  alla propria preparazione.

[6]Il che ha un riflesso sulle retribuzioni: in media la retribuzione lorda è appena superiore a 2.000 € mensili (esattamente 2033) sostanzialmente uguale alla media UE (2.000) ed inferiore a tutti i Paesi scandinavi, Benelux, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Irlanda.

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 7. I contratti a termine

Infine, per eliminare in dubbio che si tratti di una perfida trama padronale, vediamo i dati riconducibili al precariato: i contratti e termine sono poco sopra la media europea, come si evince dalla tabella sotto

GEO/TIME 2000 2018
European Union – 28 countries : 12,1
Euro area (19 countries) : 13,9
Belgium 7,7 9,3
Bulgaria : 3,6
Czechia 6,2 7,0
Denmark 8,9 10,3
Germany 11,6 11,5
Estonia 2,7 3,1
Ireland 8,2 8,6
Greece 8,0 7,6
Spain 25,8 22,7
France (metropolitan) 13,8 14,7
Italy 7,3 13,4
Cyprus 8,1 12,2
Latvia 6,0 2,4
Lithuania 3,9 1,4
Luxembourg 3,1 8,9
Hungary 6,0 6,5
Malta 3,5 6,8
Netherlands 11,9 17,8
Austria 6,7 8,1
Poland 4,1 19,5
Portugal 15,2 19,0
Romania 1,7 0,9
Slovenia 11,7 13,5
Slovakia 4,4 6,9
Finland 14,1 14,2
Sweden 12,8 14,5
United Kingdom 6,0 4,7
Iceland : 8,3
Norway : 7,9

 

[7]8. Part-time

Anche per quanto riguarda il part time siamo nella media europea:

GEO/TIME 2000 2018
European Union – 28 countries : 19,2
Euro area (19 countries) : 21,3
Belgium 17,5 24,5
Bulgaria : 1,8
Czechia 4,7 6,3
Denmark 21,0 24,8
Germany 19,2 26,8
Estonia 7,6 11,1
Ireland 16,9 19,5
Greece 4,3 9,1
Spain 7,8 14,5
France (metropolitan) 16,5 17,9
Croatia : 5,2
Italy 8,3 18,4
Cyprus 7,5 10,8
Latvia 10,6 7,2
Lithuania 9,9 7,1
Luxembourg 11,0 17,7
Hungary 3,0 4,2
Malta 6,5 13,2
Netherlands 41,2 50,1
Austria 16,4 27,3
Poland 9,3 6,4
Portugal 8,2 8,1
Romania 14,0 6,5
Slovenia 5,6 9,7
Slovakia 1,8 4,9
Finland 11,9 15,1
Sweden 21,0 22,6
United Kingdom 24,3 24,6
Iceland : 21,5
Norway : 25,7

 

9. In conclusione

In conclusione: l’offerta di lavoro in Italia è sensibilmente più debole rispetto ai Paesi dell’Europa Settentrionale, e talvolta anche rispetto a Francia e Spagna. Il gap si manifesta soprattutto nel tasso di partecipazione al Mercato del Lavoro (somma di chi lavora e chi cerca lavoro) e di conseguenza nel tasso di occupazione. La durata della vita lavorativa in Italia è la più bassa d’Europa. Le ore lavorate pro capite sono bassine rispetto alla media europea. Ma soprattutto la crescita della produttività per ora lavorata è la più bassa dell’Unione, fatto che si spiega in gran parte con la scarsa preparazione professionale e il mismatch tra formazione e mercato del lavoro. Il che, a cascata, produce basse retribuzioni. Inutile cercare scuse nella precarietà: i contratti a termine sono più utilizzati in Italia rispetto alla media europea, ma non incidono sulle ore lavorate e sulla retribuzione media. Più significativo il tasso di lavoro part time, che pur essendo in linea con le medie europee sconta il fatto di essere in gran parte involontario.

Sostanzialmente il quadro che se ne ricava è quello di un’economia timida sul piano dell’occupazione (la propensione al part time obbligato) ma anche di una offerta di lavoro che si autolimita in modo molto importante: i dati sembrano attestare il luogo comune di un Paese ansioso di andare in pensione il più presto possibile e orientato a consumare ricchezza già prodotta piuttosto che a crearne di nuova. Del resto la ricchezza totale delle famiglie nel 2018 ammontava a più di 10mila miliardi, (azioni, bond e depositi per 4.400 miliardi, abitazioni e terreni pari a 6.300 miliardi). La ricchezza reale è pari a 5,5 volte il reddito disponibile e quella finanziaria è 3,8 volte. La ricchezza totale al netto dei debiti  è 8,5 volte il reddito (dati Bankitalia 20128) Tuttavia gli investimenti privati sono molto bassi rispetto al risparmio.

Naturalmente un clima sociale con questi presupposti non favorisce l’innovazione (anzi tendenzialmente ne diffida) né premia il merito, talché le menti più brillanti se ne vanno all’estero.

Certamente ci sono persone e imprese che si muovono controcorrente, ma nonostante i loro sforzi il main stream del Paese è quello descritto da Ricolfi in “la società signorile di massa”.

Vorrei chiudere con un paradosso, ovviamente da non prendersi alla lettera: il Paese assomiglierebbe sempre di più a quelli le cui economie sono connotate da bassa occupazione, scarsa professionalità, bassi salari, verso i quali le imprese occidentali delocalizzano la manifattura per risparmiare sui costi di produzione, se non fosse per l’alta pressione fiscale e i costi sociali collaterali. Sicchè riusciamo nell’impresa, appunto paradossale, di mettere assieme un mercato del lavoro da Europa Orientale (di un po’ di anni fa, però…) e un fisco e oneri sociali da Scandinavia (quanto al costo, non all’efficienza).

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