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QUANDO IL SETTORE PUBBLICO DÀ IL MEGLIO DI SÉ

Un caso di buon funzionamento di una amministrazione pubblica, pur nella fase difficilissima della pandemia nella primavera scorsa: il Comune di Firenze

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Intervista a Cecilia Del Re, Assessore all’Urbanistica, all’Ambiente, all’Agricoltura urbana, al Turismo, alle Fiere e Congressi, Innovazione tecnologica del Comune di Firenze, pubblicata dal
Corriere Fiorentino il 6 agosto 2020, con alcuni tagli per motivi di spazio – La pubblico doverosamente per documentare un caso di buon funzionamento di una amministrazione pubblica, pur nella fase difficilissima della pandemia nella primavera scorsa – In argomento v. anche i numerosi documenti e interventi raccolti nel nuovo portale sullo Smart working [1].
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Cecilia Del Re

Efficienza e rapidità nel dare risposte a cittadini e imprenditori: quel che si chiede agli uffici comunali (ultimi in ordine di tempo sono stati gli Architetti) in sostanza è sempre questo. Giusto. Ma come si può garantire ciò che è dovuto con svariate centinaia di dipendenti in meno di quelli che servirebbero? A sollevare la domanda è l’assessora Cecilia Del Re che, tra le altre, oltre alla delega all’urbanistica, ha anche quella all’innovazione tecnologica e sistemi informativi.

“Nel 2010 il Comune di Firenze aveva 5.400 dipendenti diretti, oggi ne ha 3.900. E’ una situazione di diminuzione del personale generalizzata, che riguarda tutti gli enti locali, che però diventa cruciale nel momento in cui si ragiona sulla destinazione dei fondi che arriveranno dall’Europa attraverso il Recovery Fund: benissimo investirli sul territorio per potenziare infrastrutture e servizi, ma servono i dipendenti della Pubblica Amministrazione per lavorare su questi progetti. In dieci anni il Comune ha perso 1.500 dipendenti a causa del blocco del turn over che inizialmente imponeva di non assumere per poi essere allentato e consentire una nuova assunzione ogni cinque pensionamenti. Da due anni possiamo assumere in misura pari alle uscite e nel 2019 nel Comune di Firenze sono entrati 450 dipendenti: ma dieci anni di blocco non si recuperano”.

Per far sì che la macchina comunale sia efficiente è necessario tornare sui livelli di dieci anni fa?

“Non necessariamente, ma servono più dipendenti e soprattutto servono figure tecniche qualificate per i diversi settori, dall’edilizia all’ambiente, per non parlare del campo dei sistemi informativi: si parla spesso di digitalizzazione, benissimo, ma per metterla in pratica servono gli informatici. L’anagrafe del Comune ha, per esempio, la metà dei dipendenti rispetto al 2009, ma oggi oltre il 50% dei certificati si fa online: per far questo però servono tecnici informatici, magari in numero inferiore rispetto ai dipendenti che erano in servizio all’anagrafe. E sono figure con competenze molto specifiche, perciò richieste con forza dal privato che ce le porta via perché si può permettere di pagarle di più. In Comune un informatico neo assunto guadagna 1.100 euro al mese. Sa qual è il risultato? L’anno scorso abbiamo fatto un bando per assumere 38 informatici: ne abbiamo trovati 28 e 4 se ne stanno già andando perché hanno trovato posti di lavoro remunerati meglio”.

E meno male che questi 28 c’erano, altrimenti sarebbe stata dura gestire lo smart working durante i mesi scorsi…

“Esatto. All’inizio della pandemia il Comune di Firenze aveva 40 dipendenti in smart working che nel giro di pochi giorni sono saliti quasi a duemila: senza una buona squadra di esperti informatici sarebbe stato impossibile riuscirci. Questo è l’esempio migliore per dimostrare che per migliorare l’efficienza del Paese serve una riflessione seria sulla riforma della Pubblica Amministrazione, che abbia al centro il tema dei suoi dipendenti, in numero e in competenze, come avviene in altri paesi europei, vedi la Francia, che ha un numero di dipendenti pubblici doppio rispetto all’Italia in proporzione agli abitanti e punta molto su formazione e competenze. Invece da noi persiste un atteggiamento che punta principalmente al ribasso anziché ragionare su un nodo cruciale. Addirittura durante la pandemia la ministra Lamorgese ha emesso un decreto che in qualche modo ha imposto nuove restrizioni alle assunzioni: avevamo in programma un piano per l’assunzione di 113 persone nel 2020 e ci siamo dovuti mettere a rifare i calcoli secondo i nuovi criteri. Per fortuna il saldo alla fine è invariato, potremo fare nuove assunzioni, compresi ad esempio nuovi tecnici istruttori all’edilizia, ma la data dei concorsi è slittata in avanti e le modalità per realizzarli si sono molto complicate”.

Lo smart working è stata una vacanza mascherata a spese dei contribuenti come qualcuno sostiene?

“Non si può generalizzare, dipende dalle persone. Sicuramente nei grandi enti c’è di sicuro chi ha lavorato anche più di prima per gestire un’emergenza di dimensioni enormi, mentre nelle posizioni non apicali può esserci stato chi ha fatto di meno. Il punto è che anche durante lo smart working ci deve essere una pianificazione del lavoro e un monitoraggio da parte dal datore di lavoro ed il Comune, come molti altri enti pubblici, si è trovato a gestire una transizione di questa portata in pochissimo tempo. Il modello organizzativo dello smart working deve essere ancora implementato, il nostro Comune era in fase di sperimentazione quando è scoppiata la pandemia, e quindi ci possono essere stati degli effetti distorsivi. In tanti però vanno ringraziati perchè i servizi sono andati avanti e la città non si è fermata”.

Però il fatto che il rientro in ufficio stia procedendo con tempi più lenti rispetto al privato è vero…

“E’ una disposizione della direzione generale basata sui provvedimenti governativi: se lo stato di emergenza non fosse stato prorogato, tutti i dipendenti avrebbero potuto rientrare prima in servizio. Con la proroga è stato disposto un rientro graduale negli uffici, da concordare con i sindacati. Oggi il 60% dei nostri dipendenti è in ufficio tutta la settimana, il 40% ancora in smart working per metà della settimana”.

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