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PERCHÉ IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI FA MALE A TUTTI

Meglio rafforzare il trattamento di disoccupazione, che incentiva gli interessati ad attivarsi nella ricerca di una nuova occupazione che non è affatto impossibile, e ridurre drasticamente il cuneo sulle buste-paga

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Secondo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 530, 19 ottobre 2020 – Sul modo corretto di affrontare una grave crisi occupazionale v. anche Che cos’è il diritto al lavoro e come lo si rende effettivo [1]  .
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[2]La UILM propone a Governo e Confindustria uno scambio: proroga del blocco dei licenziamenti e pari rinvio del rinnovo dei contratti coi relativi aumenti retributivi. Capisco l’intento, ma non mi sembra una buona idea: per quattro motivi. Il primo e più grave è che vietare i licenziamenti collocando le persone automaticamente in cassa integrazione – poiché di questo si tratterebbe – significa condannare le persone stesse a un periodo lungo di sostanziale disoccupazione (lo schema è già in atto da sette mesi che verrebbero triplicati!), con deterioramento progressivo della loro employability: è noto infatti che, a parità di altre condizioni, quanto più dura il periodo di inattività tanto più è difficile trovare un nuovo lavoro; mentre tuttora centinaia di migliaia di posti di lavoro restano scoperti [3] per mancanza delle persone adatte a ricoprirli. Il secondo motivo è che la misura avrebbe un effetto di aumento della vischiosità dell’intero mercato del lavoro, riducendo la propensione delle imprese ad assumere, quindi anche la mobilità interaziendale, e scoraggiando la ricerca del nuovo posto di lavoro quando potrebbe dare rapidamente esito positivo: la CIG non è fatta per attivare le persone nella ricerca, ma al contrario per tenerle legate all’azienda di origine. Il terzo motivo è che le persone “messe in letargo” guadagnerebbero tutte molto meno di quanto guadagnerebbero tornando al lavoro: l’integrazione è mediamente di mille euro al mese; se invece passassero dalla CIG al trattamento di disoccupazione si potrebbe sperare nella ricollocazione almeno di una parte consistente di esse. Infine l’aumento del debito pubblico: mantenere in CIG un milione di persone costa all’Erario circa un miliardo al mese subito, più il valore futuro della pensione corrispondente alla contribuzione figurativa; per tutto il 2021 circa 20 miliardi. Non sarebbe meglio usare questi soldi per un robusto investimento sui percorsi utili per mettere in comunicazione l’offerta con la domanda di lavoro esistente, coniugato con un rafforzamento del trattamento di disoccupazione?

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