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ANCORA SULLA QUESTIONE DELLA TRASPARENZA E CONFRONTABILITÀ DELLE RETRIBUZIONI

La “zona grigia” fra lavoro subordinato e lavoro autonomo sempre più larga, e  la sempre più forte necessità di renderla facilmente accessibile e attraversabile, mi inducono a ritenere auspicabile una semplificazione e maggiore trasparenza immediata della retribuzione del lavoro dipendente

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Uno scambio di opinioni tra Calogero Massimo Cammalleri, professore di diritto del lavoro nell’Università di Palermo e me, in riferimento al mio editoriale telegrafico
La direttiva UE sul minimum wage e la trasparenza dei salari [1], 2 novembre 2020 .
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Il professor Calogero Massimo Cammalleri

Caro Pietro, in merito a quanto scrivi a proposito dell’ipotetica direttiva UE sul salario minimo [1] legale e alle critiche che perciò muovi (non da oggi invero) alla struttura retributiva italiana, vorrei osservare che la struttura attuale, almeno secondo me, non è di alcun ostacolo né alla trasparenza né alla comparazione. Svolgo al riguardo alcune brevissime osservazioni, anche un po’ apodittiche, riguardo alla “incomparabilità” tra una retribuzione semplicemente oraria e una che invece prevede tutte le articolazioni che enumeri nel tuo editoriale.

Credo che il problema vero, in tema di salario minimo legale (problema che io però non intendo neanche minimamente affrontare in questa sede) come ben sai, risieda nei rapporti tra questo e la contrattazione collettiva e incida – in Italia più che altrove (l’art. 39 Cost. è sempre lì) – sui rapporti di forza tra gli attori del mercato del lavoro, incluse le conseguenze sui rapporti “tra” sindacati (e anche questo è tema rilevante).

Ora, al netto di questi temi non secondari, non credo affatto che occorra modificare (o se preferisci ammodernare) la struttura della retribuzione per rendere agevolmente comparabile la retribuzione oraria minima legale (e ciò certo non per legge, anzi mai per legge). Uno di essi è che il minimum wage che – essendo minimum – è unico per tutti i lavori e non è detto che non contrasti con la necessaria proporzionalità dell’art. 36 della. Ma sorvolo anche su questo aspetto e anzi ve ne aggiungo un altro che potrebbe rendere più oscura la comparabilità del salario orario (anzi già la rende senza aspettare il salario minimo legale). Ed è questo: il salario del lavoratore è costo per l’impresa e la comparazione è più interesse di questa che di quello. Mi riferisco all’obbligo contributivo del datore di lavoro che solo tecnicamente, natura giuridica, è del datore di lavoro, ma economicamente, cioè nel mondo reale, è una quota del valore del lavoro che riduce il salario netto. Dovremmo allora abrogare i contributi sociali datoriali? (Io direi si, ma non è questo il punto ora). E che dire dell’imposta progressiva e della selva di detrazioni? (Quanto interessa al lavoratore il salario lordo rispetto a quello netto?)

Adducere inconveniens non est solvere argumentum, né per solvere argumentum la soluzione può essere fare tabula rasa dell’attuale disciplina della retribuzione.

Io credo che si possa ottenere una perfetta comparabilità e una (finalmente vera) trasparenza, su quanto vale, perciò su quanto costa un’ora di lavoro e quindi su quanto è pagata, semplicemente modificando gli elementi che devono essere obbligatoriamente inseriti nel cedolino paga. Ora, senza scomodare la sempre presente intelligenza artificiale, basterebbero poche righe di codice nei programmi di elaborazione delle paghe per fare e rendere palese quello che ogni imprenditore fa quando calcola il costo del lavoro per unità di prodotto.

Basterebbe partire dal costo del lavoro annuo e indicare in detrazione, come se fossero accantonamenti contabili, tutte le quote indirette che compongono (e oscurano) la retribuzione reale.

Ecco il conto della serva: fatto 30.000 il costo (effettivo globale) del lavoro annuo, avremo 2.500 costo mensile. Da esso dedurre 1/12 per la 13a, 1/12 per la 14a, 1/12 per (pagare la retribuzione durante le) ferie, x/12 per i permessi, etc. etc., 10/135 per il TFR, cioè il credito che il lavoratore matura. Ma anche e soprattutto il valore che produce e cioè: x% contributi IVS, x% contributi INAIL, x% contributi NAsPI/CIG, etc. Quella differenza tra 2.500 e quel poco che resta, diviso 26 per la paga giornaliera, diviso 173 per quella oraria lorda. Non ho infatti indicato contributi e imposte a carico del lavoratore (che già nel cedolino ci sono e già lo fanno infuriare!).

Ciò fatto non solo ogni comparazione sarà immediata (anche in termini di costo), ma l’evidenziazione degli oneri sociali (c.d.) a carico delle imprese renderebbe noto al lavoratore quanto vale il suo lavoro; quanto vale il welfare che lo assiste. (E anche un po’ a zittire al lagna degli imprenditori sulla pressione contributiva).

Per finire, che già l’ho fatta troppo lunga, giusto per restare in tema di trasparenza (questa volta del mio pensiero) devo dire che personalmente io sarei per una integrale modifica del sistema di imposizione contributiva, eliminando del tutto i contributi a carico del datore di lavoro calcolati sulla retribuzione. Ma come fare questo lo dico un’altra volta.

Calogero Cammalleri

LA MIA RISPOSTA

Ringrazio il collega C.M.  per questa riflessione. La sua idea di riforma radicale del sistema di finanziamento del sistema pensionistico merita di essere approfondita e discussa. Proprio il contenuto di questo suo intervento, però, rafforza in me l’opinione secondo cui è necessaria una semplificazione della struttura della retribuzione del lavoro subordinato. Il “cuneo” fiscale e quello contributivo incidono anche sulle retribuzioni del lavoro autonomo; ma non l’obbligo per l’impresa di accantonare (riprendo quanto scrive C.M.) 1/12 per la 13a, 1/12 per la 14a, 1/12 per (pagare la retribuzione durante le) ferie, x/12 per i permessi, etc. etc., 10/135 per il TFR. Stiamo andando verso un mondo nel quale la “zona grigia” fra lavoro subordinato e lavoro autonomo sarà sempre più larga, il confine tra subordinazione e autonomia sempre più difficile da definire, sempre più forte la necessità di rendere facilmente accessibile e attraversabile quella “zona grigia”, sia per chi proviene dall’area della subordinazione sia per chi proviene da quella dell’autonomia. Per questo una semplificazione e maggiore trasparenza immediata della retribuzione del lavoro dipendente mi sembra auspicabile.    (p.i.)

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