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OLIVERI: OBBLIGO VACCINALE? COSA DICONO L’ARTICOLO 32 E LA REALTÀ

Prima di una legge ad hoc, che potrebbe essere opportuna ma non è indispensabile, saranno i rapporti contrattuali a spingere la copertura vaccinale, perché anche in assenza della legge ben può essere il contratto a imporre questa misura di protezione

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Intervento di Luigi Oliveri pubblicato sul sito Phastidio.net [1]il 29 dicembre 2020 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata sul [2]Corriere della Sera [2] nello stesso giorno [2] e citata nel testo dell’intervento, nonché il mio articolo pubblicato il 31 dicembre su lavoce.info
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[3]Egregio Titolare, il  tema della pretesa libertà di non vaccinarsi o, meglio, del diritto di non vaccinarsi è inspiegabilmente salito alla ribalta di un dibattito pubblico incapace di comprendere i dettati delle norme ed impermeabile alle pronunce della Consulta. L’interpretazione delle norme viene affidata a chi col diritto ha pochissima confidenza, mentre gli approfondimenti dei costituzionalisti e dei giuristi sono bollati come interventi di “professoroni”, incomprensibili e tendenziosi.

Dell’articolo 32 [4] della Costituzione si è fatto un totem, senza comprenderne il reale significato. La norma è molto semplice:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Sui social imperversa un commentino sottolineato stile Bignami, sintetico e lacunoso, che lascia apparire agli inesperti di diritto la “libertà di non vaccinarsi” come un diritto inviolabile. Le cose non stanno affatto così.

Una legge per l’obbligo

Accedendo a questi [5] link [6] è possibile comprendere, se si ha voglia di approfondire, che è perfettamente possibile obbligare a vaccinarsi. Ma, basta saper leggere, utilizzando semplicissimi strumenti di comprensione del testo, l’articolo 32, per comprendere che è legittimo costituzionalmente prevedere l’obbligo del vaccino.

Infatti, leggendo al contrario il secondo comma dell’articolo 32, esso va così inteso: un determinato trattamento sanitario può essere imposto a ciascun cittadino solo con legge. Ed il terzo comma va letto nel senso che l’imposizione per legge di un trattamento sanitario non deve comportare pregiudizio alla persona umana: il trattamento, quindi, non può essere imposto a rischio e pericolo e senza la previsione di cautele ed eventuali risarcimenti, nel caso di danno da profilassi.

La Consulta ha già spiegato

Questi concetti sono spiegati perfettamente dalla sentenza della Corte costituzionale 307/1990:

La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.

Infatti, da sempre, molti vaccini e trattamenti sanitari sono obbligatori, per legge.

In rapporto al terzo comma dell’articolo 32 della Costituzione, la stessa sentenza della Consulta 307/1990 aggiunge:

Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri.

Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute – e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario-implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.

Non pare sussistano residui dubbi sulla possibilità astratta che il Parlamento legiferi in merito all’obbligatorietà del vaccino anti Covid-19, producendo una legge capace di ottenere il bilanciamento degli interessi evidenziato dalla Consulta.

L’obbligo contrattuale

Sta di fatto che chi si appella a letture radicali ed erronee dell’articolo 32 della Costituzione, rivendicando libertà e diritti assoluti inesistenti, non si rende conto che comunque l’accesso a servizi e, appunto, a libertà non è regolato solo dallo Stato e dalla legge, ma anche da contratti e prassi commerciali.

È un dato di fatto che le compagnie di trasporto abbiano tutto l’interesse (ad un tempo egoistico sotto il profilo del loro interesse, ma indirettamente generale, per gli effetti che producono le loro cautele) a consentire di viaggiare nei loro mezzi solo chi dimostri di essersi vaccinato: in questo modo, infatti, si assicurano la riduzione degli ingenti costi connessi alle misure di sicurezza necessarie.

Altrettanto possibile è che ogni altro esercente o professionista possa pretendere di intrattenere rapporti negoziali con chi possa ragionevolmente assicurare di non essere un potenziale portatore del virus.

propugnatori delle “libertà” senza rendersi conto che esse hanno confini precisi, laddove il loro esercizio rischi di compromettere le libertà altrui (non pare sia nemmeno immaginabile la “libertà di contagiare”…) non si rendono conto che non esiste arma alcuna, salvo imbattersi in qualche bislacca pronuncia di qualche giudice di pace qui e là, per impedire che il “mercato” imponga comunque la vaccinazione, anche se lo Stato non dovesse renderla obbligatoria, condizionando i propri servizi ed i propri contratti ad essa.

Il ragionamento svolto dal prof. Pietro Ichino nell’intervista rilasciata al Corriere della sera titolata Vaccino Covid, Ichino: «Liberi di non vaccinarsi, ma non a rischio degli altri» [2] evidenzia appunto come la negoziazione privata possa condurre alla pretesa che la controparte dimostri di essere vaccinata.

[7]Così, dunque, come un’impresa di trasporto potrebbe chiedere ai passeggeri la dimostrazione del vaccino, condizionando ad essa l’erogazione del servizio, allo stesso modo il datore di lavoro pubblico o privato che sia può pretendere dal prestatore di lavoro – una volta che tutte le dosi necessarie siano diffuse e disponibili, ben inteso – la vaccinazione, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ai sensi del quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Il datore di lavoro

Il datore di lavoro ha tutto l’interesse, e ne è anche penalmente responsabile, a garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In ambienti chiusi, ristretti e con poca aerazione, nei quali le misure di sicurezza finiscono per pregiudicare la produzione, il datore può pretendere un ulteriore innalzamento di dette misure.

A maggior ragione, il datore può disporre il più elevato grado di profilassi possibile, cioè oltre a distanza, igiene delle mani, aerazione e mascherine, anche il vaccino, quando il personale è a diretto contatto col pubblico, e quindi ad un tempo esposto all’epidemia e potenziale fattore di contagio. Questo vale, e non vi sarebbe troppa necessità di spiegarlo, sicuramente per medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici ospedalieri, e tutti i dipendenti pubblici (ma anche privati) addetti a sportello o chiamati ad un contatto col pubblico.

Non si vede per quale ragione l’espletamento di attività che comunque sono a rischio – tanto che i datori pubblici e privati si sono dotati da mesi di protocolli proprio per ridurre i rischi di contagio – non possa comprendere l’adozione di misure ulteriori di contenimento.

[8]Certo, in assenza di una legge attuativa dell’articolo 32 della Costituzione, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di vaccinarsi. Può solo condizionare il rapporto alla vaccinazione. Il lavoratore potrebbe, proprio per l’assenza della legge, rifiutare di adempiere. Ma, a quel punto, il datore potrebbe adottare misure come modifica delle mansioni, fino anche al demansionamento, e misure sanzionatorie, conservative o financo espulsive (a seconda della valutazione della gravità dell’inadempimento), allo scopo di ottenere sul piano negoziale il più alto livello di profilassi dal datore liberamente ritenuto opportuno e necessario.

Resterebbe al lavoratore la scelta di contemperare la libertà di non vaccinarsi, in assenza di una legge, con quella di sacrificare alcuni aspetti della propria attività lavorativa, magari provando a tutelarsi in giudizio.

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