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DAVVERO “ABBIAMO TOLTO AI PADRI SENZA DAR NIENTE AI FIGLI”?

“La sinistra, anche quella incartapecorita non c’è più. Dove è finito il suo popolo?” – Una questione su cui a sinistra occorre fare chiarezza

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Lettera di Canio Lagala, giuslavorista, in riferimento al mio editoriale telegrafico dell’8 marzo,
La sinistra e la contrapposizione fra garantiti e non garantiti [1]Segue la mia risposta In argomento v. anche la lettera precedente dello stesso C.L. del 5 marzo 2019 [2]: ivi anche una sua scheda biografica .
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Canio Lagala

Caro Pietro, dopo due anni dal nostro ultimo confronto [2] torno a scriverti sollecitato dal tuo ultimo editoriale dell’8 marzo scorso [1] nel quale, di fronte all’allargarsi delle differenze tra chi è più esposto ai colpi della crisi pandemica (lavoratori autonomi, lavoratori stagionali, partite IVA, giovani e donne, immigrati etc…) e chi no (pubblico impiego, pensionati e dipendenti di medie e grandi imprese non colpite dalla crisi), hai ripreso a picconare quella (vecchia) sinistra, un po’ incartapecorita, come dici tu, che imperterrita considera ancora come prioritarie ed irrinunciabili le vecchie battaglie in difesa dei privilegi dei garantiti.  Aggiungi infine, con coerenza e coraggio, che le stesse critiche andrebbero rivolte alla giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni in materia di pubblico impiego, diritti pensionistici e licenziamenti.

Sono posizioni che tu sostieni da sempre e di cui apprezzo molto la chiarezza, la coerenza e la fermezza con le quali le porti avanti. Dico di più: sono posizioni che in larga parte condivido. Ed è proprio perché le condivido in larga parte che voglio condividere con te alcune mie riflessioni che qui ti riporto “telegraficamente”, così come sono i tuoi editoriali.

C’era una volta la sinistra, e i suoi partiti, con un suo popolo, i suoi ideali, le sue battaglie. Oggi quella sinistra non c’è più, nemmeno quella incartapecorita alla quale tu fai riferimento ha consensi elettorali degni di nota. Dove è andato quel popolo? Credo che non ci voglia molto per riconoscere che una parte ha trovato rifugio nei 5 Stelle e un’altra parte ha trovato più rassicuranti le proposte della Lega. Le battaglie elettoralmente più significative di queste due forze politiche sono state sicuramente il Reddito di Cittadinanza per l’assistenza ai più poveri e Quota 100 in materia pensionistica. La tutela pensionistica e quella assistenziale alle fasce più deboli della popolazione erano due temi propri della “vecchia” sinistra che però … si sono persi per strada e sono stati regalati alla destra e al populismo.  E questo è successo anche con l’art. 18 dello Statuto, abbandonato in cambio della promessa di una seria riforma degli ammortizzatori sociali che non è mai arrivata. Voglio dire che per costruire una sinistra moderna – che, come noi due, tanti altri vorrebbero – non basta buttare a mare le vecchie bandiere, ma bisogna alzarne anche di nuove e portarle alla realizzazione concreta degli obiettivi che indicano. Ai “no” devi far seguire e realizzare anche dei “sì”. Altrimenti perdi semplicemente il tuo “popolo” e rappresenti soltanto clientele locali o, nella migliore delle ipotesi, quel ceto politico “illuminato” espressione, come si dice oggi, delle zone a traffico limitato. A te certamente non manca il progetto per una sinistra moderna. Hai spesso parlato delle nuove tutele e garanzie da costruire per chi è fuori dalla cittadella delle protezioni storiche e anch’io avrei da aggiungere le mie idee e proposte. Ma la verità è che sono state soltanto “sbaraccate” le vecchie tutele senza costruire quelle nuove. Ci siamo fatti carico più di tutti della sostenibilità finanziaria del sistema Italia mentre altri praticavano la spesa pubblica facile con condoni, flat tax e robuste spese assistenziali.  Ma i sacrifici chiesti al popolo della “vecchia sinistra” non hanno portato più equità nel sistema né sono serviti per costruire un futuro più garantito per i giovani; ciò che si è tolto ai padri non è andato ai figli o ai nipoti. La politica dei due tempi non ha pagato e non può pagare.

E qui si pone un altro grosso problema: come è possibile abbandonare le vecchie tutele per costruirne contemporaneamente di nuove con un sistema politico-istituzionale così instabile quale è quello che stiamo vivendo da un po’ di tempo in Italia?  È facile e di immediata realizzazione cancellare una norma di tutela, ma per costruire un progetto, portarlo a realizzazione e verificarlo ci vogliono alcuni anni. Se però il quadro politico è instabile e si cambia continuamente governo nessuno è disposto a cedere i  “privilegi” che ha conquistato nel tempo, perché mancano le garanzie per ciò che viene promesso in cambio. E chi lo fa, come è successo a mio avviso per la sinistra, senza distinzione tra quella vecchia che quella illuminata, ne paga amaramente le conseguenze sino alla perdita della sua stessa rilevanza elettorale. Oltre al progetto, quindi, è indispensabile avere anche una proposta politico-istituzionale coerente con il progetto stesso e che consenta di avere a disposizione i tempi necessari per la sua realizzazione. E a tale fine non credo che aiuti in alcun modo la proposta di riforma elettorale proporzionale sposata dall’ultimo PD di Zingaretti.

Per concludere consentimi un ricordo preso dalla mia esperienza politica di ben 40 anni addietro quando, alla guida del mio piccolo Comune, con grande fervore giovanile intrapresi la battaglia contro l’assistenzialismo dei cantieri di forestazione. Ai braccianti del posto, che pure rappresentavano la base elettorale con la quale avevamo vinto le elezioni amministrative, dissi che non mi sarei posto alla testa dei loro cortei per rivendicare le giornate di forestazione (dove percepivano salari contrattuali pieni ma con un lavoro poco produttivo e fortemente criticato dai contadini del posto), ma avrei comunque assicurato loro il lavoro, quello produttivo.  Nei 5 anni del mandato mantenni la promessa trasformando le terre del demanio comunale con l’impianto di decine di ettari di vigneti e pescheti che diedero ai braccianti le stesse giornate di lavoro e gli stessi salari che negli anni passati erano stati assicurati dalla forestazione, ma questa volta con un lavoro vero che aveva restituito loro la dignità persa con l’assistenza del lavoro forestale. Per la cronaca mi piace ricordare che alle elezioni successive fui riconfermato, anche se poi con il passare degli anni si è preferito ritornare a seguire la strada più comoda e facile dell’assistenzialismo dei cantieri di forestazione. Con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti… ma qui apriremmo un altro grosso capitolo sul quale vorrei potermi confrontare con te di persona in una iniziativa pubblica da organizzare non appena le condizioni sanitarie lo permetteranno e sempre che tu possa e voglia venirmi a trovare.

Un cordialissimo saluto

Canio

LA MIA RISPOSTA

Ringrazio C.L. di questo suo nuovo, stimolante intervento. Ma gli chiedo: si può sostenere davvero che, con il superamento dell’articolo 18 dello Statuto, siano state “tolte le protezioni ai padri”? Si è passati da un regime assimilabile a quello di job property tipico del settore pubblico a un regime di stabilità del rapporto a tempo indeteriminato più vicino a quello vigente nel resto d’Europa, ovvero nella regione del mondo in cui il lavoro è meglio protetto che in qualsiasi altra del mondo, con la previsione di livelli di indennizzo comunque nettamente superiori rispetto al resto d’Europa. E la riforma non ha portato affatto a un aumento della probabilità di essere licenziati, che tra il 2012 e il 2020 è rimasta sostanzialmente stabile.

[4]E poi: si può sostenere davvero che il superamento dell’articolo 18 sia avvenuto senza alcuna contropartita sul piano della sicurezza nel mercato del lavoro? È vero che l’assegno di ricollocazione è stato soffocato in culla e che sulle politiche attive del lavoro siamo in grave ritardo, ma è anche vero che tra il 2012 e il 2015 il sostegno del reddito offerto a tutti i lavoratori dipendenti che perdono il posto è stato aumentato dal 60 al 75 per cento dell’ultima retribuzione e la sua durata è stata aumentata da 8 a 24 mesi. Ed è stato aumentato per tutti, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda: dunque, per quel terzo dei lavoratori che dipende da aziende di piccole dimensioni il sistema dalla protezione ha registrato un netto incremento nel capitolo trattamento di disoccupazione, senza una variazione rilevante sul versante della disciplina del licenziamento.

Insomma, se condideriamo la sostanziale invarianza della probabilità di subire un licenziamento prima e dopo la riforma, l’aumento drastico della durata e dell’entità del trattamento di disoccupazione, e il fatto che questo beneficio è stato offerto a tutti i dipendenti a tempo indeterminato indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, mi sembra che davvero non si possa sostenere che il livello di protezione del lavoro sia stato ridotto. Le cause della debolezza politica della sinistra – a mio modo di vedere – dobbiamo cercarle altrove.   (p.i.)

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