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IL METODO SPERIMENTALE AL SERVIZIO DEL LAVORO E DEL WELFARE

I neo-premiati Nobel Angrist, Card e Inbens già 30 anni or son0 mostravano come il metodo sperimentale sia utilmente applicabile anche per la verifica degli effetti delle misure di politica economica e sociale; ma la politica non ha ancora fatto propria questa lezione

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Articolo di Andrea Ichino pubblicato sul
Corriere della Sera il 15 ottobre 2021 – In argomento v. anche un altro articolo dello stesso A.I. pubblicato sul Corriere della Sera nel 2013: Tornare al metodo galileiano per le riforme [1]: ivi i link ad altri documenti e interventi sullo stesso tema 

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[2]Durante la pandemia abbiamo capito l’importanza degli esperimenti controllati per valutare l’efficacia dei vaccini: esperimenti che si basano sul confronto tra due campioni statisticamente simili, dei quali uno viene trattato con il vaccino e l’altro con un placebo.  Se il campione trattato ha una frequenza di infezioni inferiore a quella del campione di controllo è ragionevole concludere che la causa della differenza sia il vaccino.

I vincitori del Nobel 2021 per l’Economia, Josh Angrist, David Card e Guido Imbens, avevano capito l’importanza di questi esperimenti 30 anni fa e hanno rivoluzionato il modo di fare ricerca empirica in economia, suggerendo che anche ogni analisi volta a individuare nessi causali di tipo sociale dovrebbe basarsi su un esperimento. A maggior ragione questo è vero per la valutazione degli effetti delle leggi e delle politiche pubbliche, perché solo un esperimento può dirci se sono davvero efficaci e se valgono la spesa per finanziarle.

Se pensiamo che un esperimento sia necessario per stabilire l’efficacia dei vaccini, perché non richiedere lo stesso standard per ogni altro intervento di politica sociale?

Invece, per una strana forma di schizofrenia, il metodo sperimentale che riteniamo necessario nel campo medico, viene sorprendentemente dimenticato nel campo sociale. Riforme come il Jobs Act, il reddito di cittadinanza o la Buona Scuola, avrebbero potuto essere valutate preliminarmente con un esperimento, prima di estenderle a tutto il Paese con un atto di vera e propria presunzione.

Gli esperimenti controllati in campo sociale, per motivi tecnici ed etici, non sono sempre facili da realizzare, ma questo è vero anche in campo medico, eppure lì sono addirittura obbligatori per l’avvio dell’uso generalizzato di una medicina. E quando l’esperimento non è possibile, i ricercatori hanno comunque accesso a dati che consentono di riprodurre situazioni “quasi sperimentali’’, per valutare le terapie.

[3]In campo sociale invece nemmeno l’accesso ai dati è spesso possibile perché il Garante per la Privacy lo vieta sulla base di una concezione assolutistica della tutela della riservatezza, che sottovaluta la necessità di bilanciarne l’applicazione con altri valori di rango costituzionale. Nessun peso viene dato dal Garante a quanto potrebbe migliorare la politica sociale italiana se fosse consentito un accesso ai dati anche solo simile a quello possibile in altri Paesi.

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