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L’ECCESSO DI AMMORTIZZATORI SOCIALI NON FA BENE

L’applicazione dell’integrazione salariale in tutti i settori era stata già disposta dal Jobs Act; ora il ministro del Lavoro si propone l’applicazione anche alle imprese con meno di sei dipendenti, dove per un verso l’imposizione del relativo contributo è molto sgradita, per altro verso l’abuso è facilissimo e difficilissimo il controllo

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Colloquio con Pietro Ichino a cura di Valerio Valentini pubblicata su
il Foglio il 13 novembre 2021 – In argomento v. anche la mia intervista a [1]la Stampa [1] del 7 novembre [1]

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Il ministro del Lavoro Andrea Orlando

Roma. Più che una riforma a lui pare un “ritocco di qualcosa che già c’era”. E un ritocco neppure venuto bene, peraltro. Se per riforma degli ammortizzatori si intende l’estensione della copertura assicurativa contro il rischio della sospensione del lavoro alle imprese di tutti i settori, questa riforma era già stata fatta nel 2015 con il Jobs Act: precisamente con il decreto legislativo n. 148 del 2015. Ora ci si propone soltanto un modesto ritocco della durata del sostegno del reddito e l’estensione anche alle imprese con meno di sei dipendenti. Ma questo, francamente, mi sembra un errore”.

Si tratta, insomma, della rottura di un tabù: l’estensione di fatto della cassa integrazione anche alle microimprese, inserita nella legge di Bilancio appena licenziata dal governo Draghi. “Ed è un errore, perché le aziende di minime dimensioni costituiscono un pulviscolo molto esteso – sono milioni – e molto impalpabile, difficilmente controllabile. Soprattutto al sud, dove il senso civico è meno radicato e diffuso, il rischio dell’abuso è elevatissimo: che cosa c’è di più facile che accordarsi tra datore e prestatore per fingere una sospensione del lavoro, continuando a lavorare come prima?”

Eppure, escludere le aziende più piccole da questo circuito di welfare è, a detta di molti, una discriminazione sul piano dei diritti. “Discriminare significa differenziare un trattamento per un motivo illecito, o sulla base di una differenza che dovrebbe essere ignorata. Il questo caso, invece, la differenza costituita dalla minima dimensione dell’azienda è molto rilevante e non può essere ignorata, proprio per il motivo che ho detto prima. Altrimenti si può avere la certezza di generare una vasta zona di abuso, e al tempo stesso di recare un danno ai piccoli imprenditori onesti e ai loro dipendenti”.  Un danno? “L’aumento del cuneo contributivo, che si traduce in una riduzione delle retribuzioni. Perché stiamo parlando di un rapporto assicurativo, che implica l’imposizione di un contributo. Proprio mentre ci stiamo proponendo di ridurre il peso del cuneo contributivo, introduciamo un nuovo prelievo”.

Però occorre trovare un modo per tutelare i lavoratori delle piccole imprese contro il rischio della sospensione del lavoro. Se questo modo non va bene, quale? “Guardi che la Cassa integrazione è una assicurazione a beneficio dell’impresa, per evitarle di dover pagare le retribuzioni anche nei periodi di sospensione del lavoro per cause oggettive. Dove questa assicurazione non opera, la sospensione resta un rischio a carico dell’imprenditore: anche se sospende il lavoro, le retribuzioni ai dipendenti deve pagarle”. E allora perché i piccoli imprenditori, che dovrebbero esservi interessati, invece si oppongono a questa misura? “Perché preferiscono tenersi il rischio piuttosto che dover pagare questo nuovo contributo”.

Però durante la pandemia la Cig-Covid l’hanno chiesta e l’hanno goduta tutti. “La pandemia è un evento assolutamente eccezionale, cui in tutti i Paesi dell’OCSE si è fatto fronte con un massiccio intervento pubblico di natura assistenziale, non assicurativa. E quando il beneficio è gratuito non si vede perché non si dovrebbe usufruirne. Ma qui non stiamo parlando di assistenza per eventi eccezionali, bensì di una nuova polizza assicurativa obbligatoria, che inevitabilmente ha il suo costo per l’impresa”.  A meno che paghi Pantalone, cioè il contribuente. “Appunto. Ma non si vede un solo motivo per cui dovrebbe essere la fiscalità generale a sotenere una misura assistenziale a sostegno del tessuto produttivo: la politica sociale ha altri compiti che quello di erogare aiuti di stato alle imprese, per quanto piccole esse siano”.

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