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È UN BEL REBUS! – 3. IL REBUS MUTO, TRA OLLE E REDI, REI E GNU

Questo gioco particolarmente facile ci offre l’occasione per familiarizzare con i materiali testuali che ricorrono più frequentemente nella prima lettura, dei quali ci si serve per costruire la soluzione

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Terza lezione, pubblicata il 9 aprile 2022 dal quotidiano 
Gazzetta di Parma – È online su questo sito anche la lezione precedente [1] .

Nelle puntate precedenti abbiamo esaminato due giochi nei quali le chiavi erano individuate da altrettanti grafemi costituiti da lettere. Ora ne vediamo uno nel quale invece non compare alcuna lettera e ciascuna chiave è individuata da un asterisco: nel linguaggio degli addetti ai lavori questo è indicato come “rebus muto”. Per una regola che è venuta affermandosi nel tempo, oggi in Italia sempre rispettata, i grafemi sono costituiti o da lettere o da asterischi, ma non è ammessa la commistione tra le une e gli altri: o solo lettere, o solo asterischi.

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La figura, estratta dal mio libro L’Ora desiata vola (Bompiani) e qui riprodotta per gentile concessione del quotidiano La Stampa (autore Minigame), ci dà l’occasione per incominciare a familiarizzarci con alcune chiavi che in questo gioco compaiono con grande frequenza, perché sono parole corte con le quali è facile costruire altre parole.

La prima è una ragazza in preghiera; nel linguaggio dei rebus può essere “pia”, oppure – se la chiave è costituita dall’azione che sta compiendo – “ora”, od “orante”. La seconda chiave è costituita da uno “gnu”. La terza da due “coli”. Seguono degli scritti poetici appartenenti al genere letterario delle “odi”, l’antico dio egizio “Ra” e una “gazza” (che qualche volta va invece indicata col sostantivo “pica”).

Se mettiamo in fila queste chiavi, la metamorfosi testuale salta subito all’occhio senza bisogno di fare ricorso al diagramma per collocare le cesure tra le parole:

Pia, gnu, coli, odi, Ra, gazza = Piagnucolio di ragazza.

Il linguaggio dei rebus è pieno di parole brevi come queste, che forniscono mattoncini testuali facilmente utilizzabili per costruirne altre, anche molto più complesse. In alcuni casi sono parole che l’immagine richiama subito alla mente: per esempio un “avo”, dei “mici”, delle “ali”, una tazza di “tè”, un “ciocco”, un “emù”, o il dio “Siva”.

[3]In altri casi, invece, sono parole poco usuali, che però il bravo solutore deve conoscere perché ricorrono con grande frequenza: pochi sanno, per esempio, che nel linguaggio dei rebus le pentole panciute sono “olle“; le frecce sono “dardi”; le torce sono “tede” o “faci”; le rane con un grosso gozzo sono “ile”; i cavalli giovanissimi sono “redi”; i “tini” vanno distinti dalle “tine”, che sono svasate verso l’alto; una persona ferma, mentre un’altra se ne va, “sta” o “resta”; i bebé in un reparto ospedaliero maternità e i pulcini o tartarughe che sbucano da un uovo appena rotto sono “nati” o “nate”; la rosa bianca è una “tea”; “are” non sono soltanto gli altari degli antichi ma anche una specie di pappagalli sudamericani, mentre gli “ari” sono delle piante; e le persone ammanettate nel mondo dei rebus sono senz’altro “rei” e “ree” in barba a ogni presunzione costituzionale di innocenza.

Le sillabe “fa” o “fan” vengono spesso ottenute come voci del verbo “fare” nel significato di “rappresentare” o “disegnare”: se dunque CO dipinge dei meli, può trarsene fa meli CO = famelico. Mentre se A e F ritraggono dei bebé nelle culle di un reparto di ostetricia, può trarsene A F fan nati = affannati.

Ci sono, poi, dei materiali testuali che nei rebus possono essere rappresentati in due o più modi diversi. Per esempio il suffisso “-mente”, che serve per costruire moltissimi avverbi di modo, può essere ottenuto con due o più bottiglie contenenti tipi diversi di “menta” (piperita, glaciale, marocchina, ecc.); ma anche con un bimbo che ha appena rubato una fetta di torta oppure rotto una finestra con un sasso, ma “mente” all’adulto che lo sgrida sostenendo di non averlo fatto e nascondendo dietro la schiena la refurtiva o la fionda.

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