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SE È IL LAVORATORE A SCEGLIERE L’IMPRESA

Nel mercato del lavoro del futuro saranno sempre più anche le persone a selezionare le imprese e non solo viceversa – La protezione più efficace della libertà e sicurezza di chi lavora sarà dunque costituita sempre di più dal potenziamento dei servizi di orientamento, informazione e formazione mirata

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Articolo pubblicato sul sito
lavoce.info il 3 giugno 2022 – Le tesi esposte nell’articolo sono più ampiamente sviluppate nel mio libro L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore [1]; tutti gli altri miei articoli e interviste sugli stessi argomenti sono facilmente raggiungibili dalla pagina web dedicata al libro [1]

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[2]Il nuovo paradigma del mercato del lavoro

Come negli USA, anche al di qua dell’Atlantico aumenta il numero delle persone che lasciano l’azienda per migrare altrove. Che sono, cioè, effettivamente in condizione di scegliere fra diverse opportunità occupazionali. La persona che vive del proprio lavoro non è, dunque, più soltanto oggetto di selezione da parte delle imprese, ma diventa un soggetto, un protagonista che in maggiore o minore misura ha la capacità di negoziare le condizioni dell’ingaggio.

Questa capacità di scelta non l’hanno ancora tutti; ma i dati sulla mobilità spontanea [3] dei lavoratori, in netta crescita in quest’ultimo periodo, e quelli sulle situazioni di skill shortage [4] sempre più diffuse indicano che chi ne è totalmente privo fa parte ormai di una minoranza. L’obiettivo che dobbiamo proporci è di mettere anche questi ultimi in condizione di cambiare lavoro, di scegliere; ma il lavoratore privo di scelta non costituisce più la figura dominante.

Prendere atto di questo fenomeno implica considerare il mercato del lavoro anche come un “mercato dell’imprenditoria” [1], nel quale è normale le persone si trovino a scegliere fra aziende in competizione tra loro per l’attrazione della manodopera di cui hanno bisogno.

[5]L’impatto del mutamento di paradigma sulle tecniche di protezione

Tutto questo comporta un mutamento nel modo in cui si concepisce la protezione del lavoro. Il DNA originario del nostro sistema di protezione rispecchia le caratteristiche del mercato del lavoro all’indomani della prima rivoluzione industriale, sintetizzate nel modello del monopsonio strutturale: l’impresa industriale come una cattedrale nel deserto, unica alternativa alla miseria della disoccupazione o della sottoccupazione agricola. In quel contesto, la sola protezione possibile consisteva nell’imposizione – prima per mezzo di contratti di tariffa, poi per mezzo di leggi inderogabili – degli standard minimi di trattamento atti a erodere, se non eliminare del tutto, la rendita conseguita dall’imprenditore in conseguenza della distorsione monopsonistica del mercato. Il modello cui corrisponde il mercato del lavoro attuale, almeno nell’occidente industrializzato, è molto lontano da quello del monopsonio originario: oggi la domanda di manodopera intellettuale e manuale è espressa da una miriade di imprese; il problema principale non è costituito dalla scarsità delle alternative nel mercato dell’occupazione, ma semmai dal difetto di informazione su di esse e sui servizi di formazione necessari per potervi accedere, se non dal difetto dei servizi stessi; e anche dal difetto di mobilità (per i vincoli familiari e le difficoltà di spostamento dell’abitazione) normalmente caratteristico della situazione della persona che vive del proprio lavoro.

La scienza economica ben conosce anche questa situazione nella quale l’impossibilità di scelta tra le diverse opportunità occupazionali è causata non da un difetto di pluralità e concorrenza sul lato dell’offerta, ma da difetti di informazione e di servizi adeguati di formazione e assistenza alla mobilità: si parla in proposito di monopsonio dinamico (in contrapposizione al monopsonio strutturale). E la stessa economia del lavoro avverte che, quando di questo si tratti, la soluzione migliore non consiste nel difendere le persone dal mercato, cioè nel sostituire alla loro autonomia negoziale l’imposizione di modelli rigidi preconfezionati di rapporto contrattuale, secondo il paradigma dell’ordinamento protettivo originario, ma deve essere perseguita col correggere il difetto di informazione, formazione e mobilità che tipicamente impedisce alla persona di trarre profitto dalle alternative occupazionali effettivamente disponibili. In altre parole: non col difendere la persona dal mercato, ma col rafforzarne la posizione nel mercato. Dunque col potenziare i servizi indispensabili per aumentare la possibilità di scelta delle persone e soprattutto garantirla a tutti: servizi di orientamento scolastico e professionale come “primo anello della catena”, servizi moderni e non burocratici di informazione e mediazione tra domanda e offerta di lavoro, servizi di formazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e capillarmente controllata nella sua efficacia, servizi di assistenza alla mobilità.

[6]Un esempio paradigmatico: il platform work

Per farci un’idea del rovesciamento del modello dell’apparato protettivo di cui stiamo parlando, come conseguenza del rovesciamento del modo stesso di considerare il mercato del lavoro, consideriamo il modo in cui è stato fin qui affrontato il problema della protezione dei cosiddetti rider, i ciclofattorini il cui lavoro si svolge per mezzo del collegamento a distanza con la piattaforma digitale che li pone direttamente in contatto con gli utenti del servizio. L’approccio tradizionale, che fin qui ha prevalso in Italia e si è tradotto nella norma protettiva varata con la legge n. 128/2019, muove dalla constatazione della condizione di debolezza contrattuale delle persone coinvolte in questa forma nuova di organizzazione del lavoro, per giungere a porvi rimedio imponendo inderogabilmente le forme di tutela tipiche del vecchio modello del lavoro subordinato: anche quando il rapporto abbia di per sé le caratteristiche proprie del lavoro autonomo, la prestazione di lavoro, se continuativa, deve comunque – di regola – essere assoggettata a un orario predeterminato e deve essere retribuita esclusivamente in ragione della sua estensione temporale.

Un approccio alla questione più sintonico rispetto al contesto attuale del mercato del lavoro dovrebbe invece consistere nel limitare il contenuto della norma inderogabile alla garanzia di standard minimi essenziali sul piano del trattamento economico e assicurativo, dell’igiene e sicurezza del lavoro, della protezione antidiscriminatoria, della trasparenza degli algoritmi utilizzati per l’organizzazione del lavoro, senza però impedire che la prestazione lavorativa si svolga secondo lo schema essenzialmente proprio del platform work (quindi, tra l’altro, senza impedire che essa sia misurata e retribuita esclusivamente in ragione del risultato); e focalizzando il sostegno alla persona interessata sulla possibilità per la stessa di cambiare lavoro attrezzandosi sul piano professionale in relazione alle migliori opportunità abbondantemente offerte dal mercato. Così, per esempio, al rider che intenda cambiar mestiere dovrebbe essere offerto innanzitutto un servizio di orientamento professionale in grado di tracciarne il profilo delle aspirazioni e delle capacità; e sulla base di quanto ne emerge dovrebbero essergli indicati i percorsi di formazione necessari per accedere a qualcuna delle centinaia di migliaia di vacancies che le imprese faticano a coprire, in tutti i settori e anche a tutti i livelli professionali, anche quelli medio-bassi.

Il tessuto produttivo oggi presenta, in tutte le fasce professionali, una miriade di opportunità di lavoro che non si traducono in nuova occupazione a causa della difficoltà che le imprese incontrano per trovare le persone in possesso delle capacità richieste. Per chi vuole sottrarsi a un rapporto di lavoro poco gratificante non c’è protezione migliore, sul piano economico come su quello della libertà e della dignità personale, che la possibilità effettiva di accedere a uno o più percorsi verso aziende dove le sue capacità possono essere meglio valorizzate.